Aconitum variegatum

Famiglia : Ranunculaceae

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Testo © Prof. Giorgio Venturini

 

Aconitum variegatum, Ranunculaceae, Aconito variegato, Aconito screziato

L’Aconitum variegatum è una specie tipica dei rilievi del’Europa temperata, fra i 500-2000 m di quota © Giuseppe Mazza

Il genere Aconitum presenta circa 250 specie, di cui circa 12 sono presenti in Italia.

Il genere, appartenente alla famiglia delle Ranunculaceae, è tipico delle regioni collinari e montuose dell’emisfero setten- trionale. La maggior parte delle specie è asiatica, meno numerose sono le specie europee e poche quelle nord-americane.

Le specie del genere Aconitum sono spesso caratterizzate da una grande variabilità morfologica, anche dovuta a frequenti feno- meni d’ibridazione e poliploidia.

L’Aconito variegato, detto anche Aconito screziato (Aconitum variegatum L. 1753) è una pianta erbacea perenne con fusto eretto, glabro o pubescente nella parte superiore, alto tra i 50 cm e i 150 -200 cm. Il fusto è in genere ramificato nella parte più alta. È una geofita rizomatosa: si tratta cioè di una pianta che presenta un fusto sotterraneo, il rizoma, che ogni anno produce radici e fusti aerei.

Le foglie, di colore verde scuro, sono prive di stipole e hanno una disposizione a spirale lungo il fusto. Le foglie basali, sono glabre, palmate, larghe 10 – 20 cm, profondamente divise in 5 segmenti, portate da un picciolo di circa 10 cm. Le venature sono evidenti nella faccia inferiore. Le foglie del fusto sono più piccole e le dimensioni sono decrescenti nella parte superiore del fusto.

I fiori, raccolti in infiorescenze a pannocchia, ramificate a zig-zag, sono di colore azzurro o viola, con striature più chiare. La forma del fiore è caratteristica, con cinque tepali, dei quali uno, quello superiore, forma un vistoso elmo di forma compressa, molto convesso; due sepali sono disposti lateralmente e due, lineari, inferiormente. La corolla è ridotta e visibile soltanto dopo aver spostato l’elmo, presenta due nettarii e sei elementi filamentosi. Gli stami sono numerosi e scuri, disposti a spirale e sono presenti 3-5 carpelli. Il frutto è formato da 3-5 capsule che, quando mature, si fessurano rilasciando i semi.

L’impollinazione è entomofila, garantita soprattutto da api e vespe. Nel fiore maturo il casco spesso è perforato ad opera degli insetti impollinatori che si aprono a forza la strada verso i nettarii. La pianta si riproduce anche vegetativamente per divisione del rizoma. Fioritura da giugno a settembre.

Diversi insetti si nutrono delle foglie dell’aconito. Tra questi ricordiamo vari lepidotteri: Melanchra persicariae (Noctuide), Ectropis crepuscularia e Eupithecia absinthiata (Geometridi), ed il Limantride Euproctis similis. Inoltre alcuni imenotteri (Bombidi) si cibano dei fiori di diverse specie d’aconito.

Distribuzione e habitat

Specie tipica dei rilievi dell’Europa temperata, in Italia è presente nei rilievi delle regioni settentrionali, tra i 500 e i 2000 m. L’habitat tipico è quello delle radure umide e dei sottoboschi. La pianta è protetta. La suddivisione di Aconitum variegatum in sottospecie è oggetto di discussione.

Aconitum variegatum, Ranunculaceae, Aconito variegato, Aconito screziato

I fiori, raccolti in infiorescenze a pannocchia, ramificate a zig-zag, sono di colore azzurro o viola, con striature più chiare. Stami disposti a spirale. I frutti recano 3-5 capsule deiscenti © G. Mazza

Etimologia e tossicità

Sull’origine del nome “aconitum” esistono, fin dai tempi antuichi, numerose versioni. In greco con il nome “akoniton” (ακονιτον) si indicava una pianta velenosa, probabilmente proprio l’aconito. La parola secondo alcuni deriverebbe da “akontion” (ακοντιον), che significa dardo o giavellotto, in relazione all’uso che si faceva della pianta per avvelenare le frecce. Altri sostengono una derivazione da “konè”, (κονε), uccisione, oppure dal nome di una località, Acona, presso cui la pianta sarebbe stata abbondante e dove, secondo il mito, si sarebbe trovato uno degli ingressi agli inferi. Si deve anche ricordare che in greco “aconitos” (ακονιτοσ) significa anche “senza contrasto, senza fatica” e secondo alcuni questo potrebbe essere in relazione con le proprietà anestetiche e sedative della pianta.

La versione certamente più suggestiva e poetica è quella riportata da Ovidio (Le Metamorfosi, libro VII) che narra come il fiore dal veleno mortale sarebbe nato dalle gocce della bava del cane infernale a tre teste, Cerbero, che Eracle trascinava, incatenato e sbavante dalla rabbia, fuori dagli inferi. Il nome “aconitum” secondo Ovidio deriverebbe da “akòne” (ακονη), pietra, a causa dell’habitat roccioso. Nello stesso brano Ovidio ci narra come la maga e avvelenatrice Medea avesse tentato di uccidere Teseo proprio con una bevanda a base di aconito.

Ovidio. Le Metamorfosi libro VII : “Ed ecco che, dopo aver pacificato col suo valore l’Istmo fra i due mari, giunge Teseo, ancora sconosciuto al padre. Per farlo morire, Medea prepara con l’aconito, che aveva portato con sé dalle terre di Scizia, una pozione. È un’erba, questa, che si dice nata dai denti del cane di Echidna. C’è una spelonca il cui ingresso è occultato dalla foschia: da qui, lungo una via scoscesa, Ercole, l’eroe di Tirinto, trascinò fuori, stretto in catene d’acciaio, Cerbero, che s’impuntava e storceva gli occhi non sopportando gli accecanti raggi del sole: dibattendosi come una furia per la rabbia, il mostro riempì il cielo di un triplice latrato, cospargendo l’erba dei campi di bava bianchiccia. E si pensa che questa, coagulandosi, trovasse alimento nella fertilità del suolo e divenisse un’erba velenosa, che nasce rigogliosa in mezzo alle rocce, ed è chiamata per questo acònito dai contadini.”

Anche molti dei nomi volgari dell’aconito richiamano la sua tossicità: Il termine inglese wolfsbane deriva da “wolf”(lupo) e da “bane”, parola dell’antico inglese che significa “morte”, analogamente a uno dei nomi greci della pianta “lycoctonos” (λυκοκτονος) che vuol dire “uccisore di lupi”. Sulla stessa linea sono anche i nomi volgari inglesi “leopard’s bane” e “women’s bane” (rispettivamente morte dei leopardi e morte delle donne). Anche i nomi scientifici di altre specie del genere Aconitum, come Aconitum vulparia e Aconitum lycoctonum richiamano la tossicità e l’uso per avvelenare animali nocivi. Nel dialetto piemontese, l’aconito è detto “ciancia d’osta” (chiacchiera dell’ostessa) forse in relazione alla confusione mentale, simile a quella data dall’alcol, causata dal tossico.

Altri nomi volgari richiamano invece la caratteristica forma a elmo del fiore: oltre all’inglese “monkshood”, cappuccio del monaco e al francese “Casque-de-Jupiter”, ricordiamo il nome danese “elmo di Troll”, quello tedesco “elmo di ferro”, il norvegese “cappello di Odino”.

Proprietà farmacologiche e tossiche

Aconitum variegatum è uno dei vegetali più tossici e questa caratteristica è condivisa dalla maggior parte delle specie del genere. Il principio tossico principale è la aconitina, una neurotossina che blocca in condizioni di apertura i canali per il sodio sulle membrane delle cellule nervose e muscolari. Altre tossine sono la mesaconitina e la jesaconitina, simili alla aconitina.

Per comprendere il meccanismo di azione degli alcaloidi dell’aconito dobbiamo accennare alla natura degli impulsi nervosi. Tra i due lati della membrana delle cellule esiste una differenza di potenziale elettrico, dell’ordine di alcune decine di millesimi di volt, dovuta ad una asimmetrica distribuzione di ioni. Gli impulsi nervosi consistono in una rapida e transitoria variazione del potenziale elettrico di membrana, dovuta alla transitoria apertura di canali permeabili agli ioni. In seguito alla chiusura dei canali il potenziale ritorna ai valori di partenza e la cellula nervosa è pronta per produrre un nuovo impulso. Gli alcaloidi dell’aconito si legano ai canali ionici della membrana e li bloccano in posizione di apertura, provocando quindi una eccitazione prolungata e impedendo poi la produzione di nuovi impulsi.

La tossina è contenuta in tutte le parti della pianta, con la concentrazione più alta nei rizomi.

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Il fusto, spesso ramificato in alto, può raggiungere i 2 m d’altezza © Giuseppe Mazza

Usi medici

L’aconito è usato nella medicina tradizionale orientale fin dall’antichità, con le indicazioni più diverse, spesso manipolato secondo ricette che dovrebbero ridurne la tossicità. Nella medicina tradizionale cinese l’uso prevalente è quello di anti infiammatorio e anti dolorifico. I rizomi venivano usati nella medicina Ayurvedica per molte affezioni, dopo averli sottoposti a trattamenti capaci di attenuare la pericolosità (i trattamenti prevedevano l’uso di latte e urina delle vacche sacre).

Anche la medicina dei Greci e dei Romani prevedeva l’uso di diverse specie di aconito. Per uso esterno veniva applicato come unguento per i dolori da sciatica e per i reumatismi. Le applicazioni per uso esterno come antidolorifico, comunque pericolose, sono giustificate dal fatto che la aconitina viene assorbita dalla pelle ed agisce direttamente sui nervi inibendo la conduzione degli impulsi dolorifici.

In Europa l’aconito viente coltivato da moltissimo tempo per uso medico e nel passato venivano importati dall’Oriente suoi estratti. Venivano usati infusi e tinture come sedativi e antidolorifici soprattutto per la sciatica, il mal di denti o la gotta e il suo uso è stato suggerito come sedativo, nel trattamento della laringite, per le palpitazioni di cuore, per la polmonite, della difterite e per l’asma.

A causa della pericolosità (la dose terapeutica efficace è molto vicina alla dose tossica), la medicina occidentale moderna ha praticamente abbandonato l’uso di questa pianta, sostituita da sostanze meno tossiche e più efficaci.

L’aconito è stato utilizzato per il trattamento della polmonite e della difterite o dell’asma ma soprattutto come sedativo per le palpitazioni di cuore. La somministrazione in effetti, dopo una transitoria accelerazione, riduce la frequenza del battito cardiaco e la pressione sanguigna. Se le dosi sono elevate si giunge all’arresto cardiaco. Gli effetti sono dovuti sia ad una azione sui centri nervosi che regolano la attività cardiaca e respiratoria sia ad una azione diretta sul muscolo cardiaco. Dal momento che l’aconitina inibisce la attività anche delle terminazioni nervose sensitive può svolgere attività antidolorifica. Per questa azione preparati a base di aconito vengono utilizzati nella medicina tradizionale cinese come analgesico.

L’utilizzazione razionale dell’aconito in medicina inizia nel 1763 da parte di Anton Stoerck che propose di utilizzarlo per alleviare i dolori reumatici e nevralgici. Nel 1845 Alexander Fleming descrisse gli effetti tossici dell’aconitina (l’alcaloide caratteristico dell’aconito), che risulta mortale in dosi da 1 a 4 milligrammi (in confronto la dose tetale del cianuro è di 150-300 milligrammi). Dapprima eccita e poi paralizza i centri nervosi, la morte avviene per paralisi respiratoria o arresto cardiaco. Per questo motivo è stato quasi abbandonato dalla moderna medicina, ma in erboristeria è ancora usato per il suo effetto analgesico, sedativo ed antinevralgico e viene impiegato per il trattamento locale delle nevralgie del trigemino. Viene usato frequentemente in omeopatia, soprattutto per il trattamento delle malattie da raffreddamento con febbre, di nevralgie e di disturbi cardiaci.

Tossicologia

L’intossicazione da aconito è estremamente grave e potenzialmente mortale. L’aconito ha sui nervi una azione inizialmente eccitatoria e successivamente inibitoria anche per applicazione esterna. È necessaria la massima cautela anche nella manipolazione di parti della pianta. Agisce sulla circolazione, sulla respirazione e sul sistema nervoso. Rallenta notevolmente il battito cardiaco e a forti dosi il cuore si arresta in diastole.

I principali bersagli della aconitina sono l’apparato cardiocircolatorio e il sistema nervoso centrale e secondariamente il tratto gastrointestinale, con manifestazioni che includono vomito e diarrea, aritmie ventricolari, convulsioni, collasso cardiocircolatorio, paralisi respiratoria. I primi sintomi insorgono rapidamente, con insensibilità e formicolii della bocca e della lingua, salivazione, nausea e vomito; nelle intossicazioni gravi sono prevalenti gli effetti sul cuore, che possono permanere anche per parecchi giorni, le convulsioni e alterazioni sensoriali. Compaiono disturbi nella regolazione della temperatura corporea. I centri bulbari possono venire inizialmente eccitati e successivamente inibiti. L’azione dell’aconitina sul cuore è conseguenza dapprima di una stimolazione del centro cardio-inibitorio del bulbo e successivamente di una azione tossica diretta sulle cellule cardiache.

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La corolla è ridotta e visibile soltanto dopo aver spostato l’elmo, presenta due nettarii e sei elementi filamentosi. L’impollinazione è affidata a farfalle ed imenotteri © Venturini

Il ritmo respiratorio viene rallentato grazie alla azione dell’aconito sui centri encefalici e la morte insorge a causa di questa azione. I sintomi dell’intossicazione compaiono molto rapidamente, in genere entro un’ora. Con dosi letali la morte sopraggiunge entro poche ore e in alcuni casi è quasi immediata. Altri sintomi compendono sudorazione, difficoltà respiratoria e confusione. La morte è provocata in genere da paralisi cardiaca o da blocco respiratorio.

Anche il semplice maneggiamento delle foglie può provocare un avvelenamento per via cutanea, dal momento che la aconitina viene facilmente assorbita dalla pelle. In questo caso mancano i sintomi gastrointestinali e le prime manifestazioni sono formicolii o insensibilità che, cominciando dalla zona di contatto, si estendono poi al braccio e alla spalla prima che compaiono i sintomi cardiaci. L’uso di pomate è fortemente sconsigliato, soprattutto in caso di presenza di abrasioni.

Il trattamento delle intossicazioni è soltanto quello sintomatico; intervenendo entro un’ora dall’ingestione si può tentare una decontaminazione gastrointestinale mediante la somministrazione di carbone attivo. Dal momento che l’alcaloide viene eliminato rapidamente, se il paziente sopravvive per 24 ore la prognosi è in genere buona.

Storia e Usi magici

L’aconito era sacro a Ecate, la dea delle streghe, degli inferi e dei sortilegi, che tra l’altro se ne era servita per avvelenare il padre. Nell’antica Grecia l’aconito veniva usato per preparare bocconi avvelenati per volpi e per lupi (da cui il nome greco “lykotonon” = ammazza lupi). Molto diffuso era l’uso per avvelenare punte di lancia e soprattutto le frecce.

Nella mitologia anche Eracle avvelenava le sue infallibili frecce con l’aconito (ma anche con il sangue o la bile dell’Idra) e con una freccia avvelenata colpì per errore a un ginocchio il suo maestro, il Centauro Chirone, infliggendogli un ferita dolorosissima e inguaribile. Essendo immortale Chirone soffrì a lungo, fino a che Giove, impietosito dalle sofferenze, non gli concesse la morte. Si dice che nell’isola greca di Ceos i vecchi divenuti un peso per la società venissero avvelenati con una bevanda a base di aconito. Dioscoride nel De materia medica e Teofrasto nell’Historia plantarum affermavano che aveva il potere di paralizzare uno scorpione.

Nell’antica Roma venne limitata la sua coltivazione per il largo uso che se ne faceva come veleno e la “Lex Cornelia de sicariis et veneficis”, legge promulgata da Silla nell’81 AC per combattere i delitti e gli avvelenamenti, faceva esplicito riferimento all’aconito. Negli stessi anni il Barbablu dell’antica Roma, Calpurnio Bestia, losco personaggio coinvolto nella congiura di Catilina, lo aveva usato per avvelenare diverse sue mogli. Plinio descrive la pianta in maniera assai dettagliata nella Naturalis historia e riferisce che “i barbari cacciano le pantere con carni sfregate con l’aconito. Subito un dolore prende le loro fauci e per questo alcuni chiamano soffoca-pantere questo veleno”. Poi curiosamente aggiunge “la belva si cura con gli escrementi dell’uomo ed è tanto avida di questi….”.

Ibn Wahshiyya alchimista, storico, agronomo ed egittologo arabo del X secolo (riuscì tra l’altro a decifrare in parte i geroglifici egiziani) scrisse un libro dei veleni, un vero trattato di tossicologia, dove tratta diffusamente dell’aconito.

Nel passato era diffusa la convinzione che un veleno potesse essere antidoto contro un altro veleno (e ancora oggi gli omeopati sostengono una teoria simile) e l’aconito, veleno potentissimo, era considerato antidoto contro il veleno più terribile, quello dello scorpione (Ben Jonson, 1603, Sejanus). Nel Medioevo fino a tutto il Rinascimento, l’aconito veniva usato nelle ricette della stregoneria europea come componente di unguenti magici e gli erbari del passato lo trattano ampiamente. L’aconito era uno dei veleni utilizzati nelle ordalie: in India gli accusati di delitti, invocando Brahma, si sottoponevano a prove di somministrazione di aconito per dimostrare la propria innocenza. Nell’Impero Bizantino l’uso del veleno era molto diffuso, anche per assassinare i sovrani (una moda allora assai diffusa), e l’aconito era una delle sostanze più usate.

In tempi recenti gli abitanti dell’isola Kodiak cacciavano i leoni di mare con frecce avvelenate con aconito, come anche quelli delle Aleutine e di Kamchatka e gli Ainu di Sakhalin e del Giappone usavano Aconitum ferox e Aconitum japonicum per leoni di mare e per orsi, poi tagliavano via la carne circostante la ferita avvelenata. Usi analoghi erano diffusi in altri paesi orientali.

Tra gli usi magici ricordiamo la utilizzazione dell’aconito come difesa contro i vampiri e i lupi mannari e nella consacrazione dei pugnali rituali. Il legame ad Ecate rende l’aconito utile per l’accesso al mondo dell’aldilà. Indossando un amuleto ottenuto avvolgendo i semi di aconito in una pelle di lucertola si ottiene l’invisibilità e anche una collana di pelle di serpente contenente radici di aconito rende invisibili (la proprietà di una pianta di rendere invisibile chi ne indossa delle parti è condivisa da altre specie, come ad esempio la Stella alpina (Leontopodium nivale). Un sacchetto con fiori di aconito posto nel letto fa diventare più intelligenti. L’aconito entrava nella composizione degli unguenti usati dalle streghe, assieme a belladonna, giusquiamo e stramonio, come allucinogeno: sotto l’effetto della pozione le streghe sognavano di volare e di partecipare ai sabba.

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Decisamente velenosa, anche al tatto, è una specie protetta che ha fatto molto parlare e scrivere fin dall’antichità © Giuseppe Mazza

Sembra che l’unguento venisse applicato per via vaginale tramite un bastone: da qui l’idea di volare a cavallo di un bastone o di un manico di scopa. Anche i maghi che suscitavano le tempeste si spalmavano un olio estratto dall’aconito per volare sulle nuvole.

Nei riti Tantrici si consumava l’aconito come droga psicoattiva che permetteva il contatto con Shiva (Shiva era blu, per aver mangiato l’aconito, quindi man- giando l’aconito si entrava in contatto con Shiva. In alcuni rituali veniva fumato, ma l’uso (prudentemente) era riservato solo agli adepti più esperti.

L’uso dell’aconito a scopi delittuosi continua ancora oggi: uno dei casi più famosi è stato quello del “delitto al curry” verificatosi in Inghilterra nel 2009. Una donna di origine indiana è stata condannata al carcere per aver assassinato il suo amante con un manicaretto al curry avvelenato con aconito. Numerosi sono i casi di intossicazioni accidentali per ingestione di parti della pianta, scambiata per specie commestibile o per uso sconsiderato a scopi medici.

L’aconito nella letteratura

Anche la letteratura è stata attratta da questa splendida pianta e la sua tossicità lo ha reso un simbolo del male, ad esempio Virgilio, per elencare i pregi dell’Italia, ci dice che qui è è sempre primavera, le messi abbondano e non c’è l’aconito che possa ingannare i raccoglitori di erbe “nec miseros fallunt aconita legentes “(Georgiche libro II).

Il poeta greco Hedylos, per dire della incapacità di un medico, scrisse che era peggiore dell’aconito “l’aconito è nulla in confronto a questo veleno a due zampe e le pompe funebri dovrebbero ricompensarlo per tutto il lavoro che procura loro“

Il Tasso cita l’aconito nella creazione delle erbe tossiche in Le sette giornate del mondo creato: “Nacque col grano la cicuta insieme; con gli altri cibi immantinente apparve l’elleboro, e il color fu bianco e negro… Poi l’aconito…. “

Shakespeare ricorda la tossicità dell’aconito nell’ Enrico IV : “la coppa unica del loro sangue, anche se mescolato col veleno delle calunnie che inevitabilmente i tempi vi verseranno, mai s’incrinerà, per quanto esso operi con la forza dell’aconito o della polvere da sparo.”

Lord Arthur, il protagonista de “Il delitto di Lord Savile” di Oscar Wilde, tenta di avvelenare con un bonbon all’aconito la vecchia parente Lady Clementina (che invece muore di morte naturale prima di aver assaggiato il mortale bonbon).

Gabriele D’Annunzio, sensibile alla bellezza del fiore (inoltre conosceva bene la tintura d’aconito con la quale curava i suoi terribili mal di denti), nell’Undulna scrive: “Azzurre son l’ombre sul mare. Come sparti fiori d’aconito. Il lor tremolio fa tremare l’infinito al mio sguardo attonito”.

Nel libretto per il Macbeth di Verdi, Francesco Maria Piave associa due simboli del veleno: “ tu rospo venefico che suggi l’aconito….” nella preparazione delle bevande infernali delle streghe.

Sinonimo : Aconitum cammarum Jacq.

 

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