Thaumetopoea pityocampa

Famiglia : Notodontidae

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Testo © Prof. Giorgio Venturini

 

La Processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa Denis &Schiffermüller, 1775) è un lepidottero appartenente alla famiglia dei Notodontidae.

Il nome del genere Thaumetopoea deriva dal greco thauma (θαῦμα), meraviglia, ammirazione e poieo (ποιέω), io faccio, e quindi significa “che genera meraviglia”, a causa delle straordinarie processioni dei bruchi. Anche il nome specifico pityocampa deriva dal greco pitus (πιτυσ), pino e campe (καμπη), bruco e significa quindi “bruco del pino”. Pityocampa  era il nome latino della processionaria e pityocampe (πιτυοκαμπη) quello greco.

Al genere Thaumetopoea appartengono altre sei specie tra le quali ricordiamo la processionaria della quercia (Thaumetopoea processionea Linnaeus, 1758) che, come quella del pino, rappresenta un importante agente dannoso per il patrimonio boschivo e per la salute dell’uomo.

Questa falena è famosa per i gravi danni che   provoca ai pini, per il forte potere urticante dei suoi peli e soprattutto per il comportamento dei suoi bruchi, che si spostano in lunghe file, con ogni individuo che tiene la testa a contatto con l’estremità posteriore del precedente (da cui il nome comune di processionaria).

Thaumetopoea pityocampa, Processionaria del pino maschio, Thaumetopoeidae

La Processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa) è una farfalla notturna mediterranea con bruchi infestanti le conifere, principalmente pini ma talora anche i cedri. Il maschio, qui ritratto, raggiunge i 3-4 cm d’apertura alare. Si riconosce subito dalle antenne pettinate che gli permettono di localizzare rapidamente nel buio la compagna © Philippe Mothiron

“I montoni del mercante Dindenaut seguivano quello che Panurgo aveva maliziosamente  gettato in mare, e l’uno dopo l’altro si precipitavano, giacché, dice Rabelais,: la natura del montone, il più sciocco e inetto animale del mondo, è di sempre seguire il primo, in qualunque parte vada. Il bruco del pino, non per inettitudine, ma per necessità, è ancora più pecoresco: dove è passato il primo, passano tutti gli altri in fila regolare, senza intervalli vuoti.”

Così il grande entomologo Francese Jean-Henri Fabre, descriveva nel XIX secolo il comportamento dei bruchi della processionaria, rifacendosi all’episodio del Gargantua e Pantagruel di Rabelais in cui Panurgo, per vendicarsi dell’arroganza del mercante Dindenaut, spinge in mare il montone capo del suo gregge, che viene subito seguito da tutti gli altri montoni, dal mercante stesso e dai suoi servitori che cercano di trattenerli. Fabre descrivendo con grande precisione il comportamento delle processionarie, narra anche il suo celebre esperimento in cui i bruchi, indotti a disporsi ad anello, continuano a muoversi in tondo per giorni e giorni incuranti del gelo e del digiuno (anche se osservazioni più recenti suggeriscono che questo risultato eclatante fosse determinato dalle manipolazioni effettuate da Fabre: in realtà i bruchi riprendono in poco tempo un percorso normale).

La Processionaria del pino è presente in tutte le zone temperate del bacino del Mediterraneo, dove infesta diverse conifere, soprattutto i pini, ma anche cedri.

Thaumetopoea pityocampa, Processionaria del pino femmina, Thaumetopoeidae

Le femmine, un po’ più grandi, con esili antenne, possono raggiungere i 5 cm d’apertura alare © Maciej Matraj

Originaria dell’Europa meridionale la processionaria, soprattutto negli ultimi decenni, si sta espandendo in molte aree dell’Europa centrale e settentrionale, fino al nord della Francia, la Germania, i Paesi Bassi e Inghilterra. È probabile che questa espansione sia una conseguenza del riscaldamento climatico globale, che ha comportato una diminuzione delle gelate primaverili.

Questa specie, i cui bruchi si nutrono degli aghi dei pini, è considerata uno dei parassiti più pericolosi per queste piante e il principale fattore che limita lo sviluppo e la sopravvivenza delle pinete mediterranee.

Morfologia

Gli adulti sono grigiastri con bande trasversali più scure e la testa ornata di fitti peli. Il maschio, con una apertura alare di 3-4 cm, è leggermente più piccolo della femmina che può raggiungere i 5 cm.

In ambo i sessi il torace è peloso, nella femmina l’addome è più grosso e coperto di squame giallastre all’estremità posteriore. Le ali anteriori sono grigio-cenere con tre strie trasversali, mentre quelle posteriori  sono più chiare, con una macchia bruna nella regione anale. Il colore e le striature risultano mimetiche sulla corteccia degli alberi. Le antenne sono evidentemente pettinate nel maschio, molto più esili e quasi filiformi nella femmina.

Le larve si sviluppano attraverso 5 stadi e all’ultimo stadio raggiungono una lunghezza di circa 4 cm; sono dapprima bruno-giallastre e divengono più scure ad ogni muta.  Il tegumento agli ultimi stadi è caratterizzato da una colorazione da grigio-bluastra a nera, tendente all’ocra ventralmente. Il corpo è caratterizzato da tubercoli rossastri che portano delle lunghe setole giallo-biancastre, non urticanti. Le setole urticanti, molto più corte e appena visibili, si sviluppano soprattutto a partire dalla seconda muta. La testa è nera. Le pupe, lunghe circa 2 cm, sono di forma ovale e rossastre, avvolte da un bozzolo di seta dello stesso colore.

Ciclo biologico

La Thaumetopoea pityocampa, che ha una sola generazione per anno, è estremamente prolifica e, in alcune regioni, con una periodicità di 6-8 anni la popolazione subisce improvvisi forti incrementi. Gli adulti emergono in estate, in genere tra luglio e agosto, anche se talvolta le pupe possono rimanere dormienti in diapausa per alcuni anni, fino a 6, probabilmente per condizioni climatiche avverse. Gli adulti rimangono nascosti negli alberi durante il giorno e volano di notte alla ricerca del partner. I maschi in genere appaiono per primi e sono migliori volatori delle femmine. Gli adulti sopravvivono pochissimi giorni. Le uova, sferiche, di circa 1 mm di diametro, sono di colore bianco-giallastro e vengono deposte sugli alberi, formando un manicotto cilindrico attorno alla base degli aghi dei pini.

Ogni gruppo, formato da un numero molto variabile di uova, da poche decine a  oltre 300, assume in massa una colorazione argentea perché avvolto dalla seta e da squame provenienti dall’addome della femmina.

Thaumetopoea pityocampa, Processionaria del pino uova, Thaumetopoeidae

Le piccole uova sferiche biancastre, di circa 1 mm, sono protette da solide strutture argentee, a manicotto, costruite attorno alla base agli aghi di pino con la seta e squame provenienti dall’addome della femmina © Maciej Matraj

I bruchi compaiono in genere dopo circa 25-40 giorni dalla deposizione delle uova. Le larve, gregarie, si nutrono sugli alberi dall’autunno alla primavera e si sviluppano attraverso 5 fasi larvali. Le larve della Processionaria del pino costruiscono con la seta dei tipici nidi invernali, o tende, sulle cime degli alberi. L’aspetto vistoso e inconfondibile dei nidi rende facile la diagnosi dell’infestazione.

Il nido, che ospita in genere circa 200 esemplari, è formato da fili di seta, ingloba aghi di pino, escrementi e peli delle larve, può estendersi per alcuni decimetri ed è così ben coibentato da riuscire a mantenere una temperatura al di sopra dello zero anche in nottate molto fredde.

Durante l’inverno i bruchi escono dal nido per nutrirsi sull’albero nelle ore più calde della giornata e in genere rientrano per la notte, muovendosi sempre in fila indiana per formare le tipiche processioni. Se per qualunque motivo la fila viene interrotta i bruchi la ricompongono rapidamente e l’esemplare che casualmente si trova per primo diviene il nuovo capofila, che tutti gli altri seguiranno ordinatamente guidati da una traccia odorosa di feromoni rilasciata dal primo e rinforzata da ogni bruco. Quando il clima diventa più mite le larve escono prevalentemente di notte.

In primavera, in genere tra aprile e giugno, a seconda del clima, i bruchi scendono dagli alberi e, formando le tipiche processioni, si spostano sul terreno per interrarsi e impuparsi. Le larve provenienti dallo stesso nido in genere si impupano tutte insieme, in fitti gruppi. Le nuove larve sgusciano in agosto-settembre, ancora prive di potere urticante, che compare dopo la seconda muta.

È probabile che le larve  si muovano in fila, su una traccia di feromoni, per potersi aggregare nei siti di foraggiamento o di impupamento e anche  per poter ritrovare con facilità la via del rientro al nido che, come abbiamo visto le protegge tanto meglio dal freddo quanto più si riuniscono in gruppi numerosi.  D’altra parte, quando i bruchi escono dal nido per mangiare senza allontanarsi, rimanendo sui rami adiacenti, si muovono in piccoli gruppi o isolatamente, ma comunque sembra che rientrino al nido seguendo tracce odorose. Sembra che per mantenere unita la fila, oltre alla traccia odorosa, sia anche importante il contatto diretto con le sete del bruco precedente.

La processionaria è una specie elioterma, sfrutta cioè l’esposizione al sole per aumentare la propria temperatura corporea. La costruzione di nidi capaci di trattenere il calore del sole permette alle specie sociali di controllare in modo particolarmente efficace la propria temperatura: viste le loro grandi dimensioni le tende della processionaria possono ospitare numerosissimi bruchi che, aggregandosi in masse compatte possono trattenere il calore in modo particolarmente efficace. I nidi sono inoltre orientati in modo da sfruttare al meglio i raggi del sole e le loro pareti sono così fitte da impedire una eccessiva dispersione del calore per convezione.

Siamo abituati a credere che gli animali eterotermi, cioè quelli “a sangue freddo” non siano in grado di produrre calore, in modo tale da mantenere la temperatura corporea al di sopra di quella ambientale. In realtà questa convinzione è errata, dal momento che ogni organismo vivente con il suo metabolismo produce molto calore e questo risulta vero anche per la processionaria che, anche in assenza di irraggiamento solare, può riuscire a mantenere la propria temperatura corporea a valori più alti di quella ambientale. Misurando la temperatura all’interno dei nidi si è potuto osservare infatti che, quando questi sono occupati dai bruchi, risultano di alcuni gradi più caldi che non quando i bruchi sono assenti.

Queste capacità di mantenere relativamente alta la temperatura corporea risultano particolarmente importanti per un animale come la processionaria, la cui larva è attiva in inverno e si impupa soltanto in primavera.

Thaumetopoea pityocampa, Processionaria del pino uova, Thaumetopoeidae

Un manicotto aperto su un lato: può contenere anche 300 uova e le larve che nascono, fortemente sociali, staranno insieme tutta la vita © Maciej Matraj

Danni alla vegetazione apportati dalla processionaria

Giovani alberi possono venire completamente defogliati. La defoliazione indebolisce la pianta, esponendola all’attacco di altri parassiti animali o fungini, che possono portare alla sua morte. Nelle aree infestate gli alberi mostrano una diminuzione di altre il 20% nell’incremento annuo del diametro del tronco. A parte i danni apportati alla silvicoltura la infestazione da parte della processionaria può essere economicamente rilevante nelle aree turistiche e residenziali che divengono meno attrattive per il pubblico.

L’azione urticante

La Thaumetopoea pityocampa, rappresenta anche un danno per la salute pubblica a causa del potere urticante dei suoi bruchi che può provocare importanti reazioni allergiche cutanee, congiuntiviti e asma. Oltre che l’uomo, anche gli animali domestici e il bestiame possono essere danneggiati dal contatto con i peli.

Le proprietà urticanti delle processionarie sono state ben descritte nell’antichità: già intorno al 300 A.C., in Grecia, uno dei primi botanici, Teofrasto di Ereso, consiglia di usare una pianta, l’enula campana (Inula helenium) pestata con olio e vino “contro le vipere, le tarantole e i bruchi del pino” (ancora oggi questa pianta viene utilizzata per il trattamento di eczemi e pruriti).

Thaumetopoea pityocampa, Processionaria del pino vido, Thaumetopoeidae

Dopo aver divorato le foglie adiacenti, i bruchi tessono insieme sull’albero un solido nido di seta esposto al sole. Può estendersi per alcuni decimetri e contenere anche 200 individui che si scaldano l’un l’altro. È così ben coibentato da mantenere al suo interno una temperatura al di sopra dello zero anche in nottate molto fredde © Giuseppe Mazza

Secoli dopo ne descrive l’azione urticante Dioscoride, un medico Greco che visse a Roma ai tempi dell’Imperatore Nerone, quindi nei primi decenni dell’era volgare, e che la chiama “bruco dei pini”. Negli stessi anni anche Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis Historia” descrive il bruco dei pini e consiglia anche un unguento da applicare sulla pelle urticata. I bruchi del pino erano considerati un potente veleno e le leggi dei Romani condannavano a morte gli avvelenatori che propinavano le “pityocampae” (larve del pino).

La recente espansione dell’areale della processionaria ha determinato un notevole incremento delle dermatiti sia tra le persone esposte professionalmente sia tra chi pratica attività sportive all’aperto.

Le larve sono dotate di peli dentellati della lunghezza di circa 0,2 mm che penetrano facilmente attraverso la pelle umana e le mucose. Questi peli, o sete, si distaccano facilmente dal corpo dell’animale, possono essere trasportati dal vento per distanze considerevoli, e mantengono il potere urticanti anche per molti anni.

Gli stadi larvali più sviluppati sono particolarmente pericolosi visto che ciascun esemplare può portare fino a un milione di peli. Al centro degli uriti (segmenti del bruco) sono presenti delle fossette, dette “specchi”, contenenti fino a 100.000 peli urticanti, dentellati.  La parte più sottile è quella prossimale, inserita nello specchio.

Normalmente gli specchi sono ripiegati, introflessi verso l’interno del corpo, e i peli risultano appena visibili, sporgendo all’esterno solo con l’estremità. Quando la larva viene disturbata estroflette gli specchi e  rilascia le sete urticanti. Dal momento che i peli non hanno una apertura, il loro contenuto viene rilasciato soltanto quando, penetrati nella pelle, si spezzano. Gli effetti urticanti sono dovuti alla combinazione tra effetto meccanico delle punture e la presenza di sostanze allergeniche

Il contatto con i peli determina una sensibilizzazione di tipo allergico, con liberazione di istamina e di altri fattori, che porta ad una dermatite tossico-irritativa, a causa di sostanze contenute nel pelo. Tra queste sono state evidenziate delle proteine come le thaumetopoeine (Tha p 1 e Tha p 2), e alcuni enzimi (proteasi a serina), simili a quelli presenti anche in altri lepidotteri urticanti, e coinvolti nei fenomeni infiammatori.

I sintomi consistono fondamentalmente in forte prurito ed un arrossamento che in genere compare entro un’ora e persiste per oltre 24 ore. In alcuni casi compaiono pomfi simili a quello provocati delle punture di insetti. L’eruzione cutanea appare spesso ricoperta da crosticine emorragiche dovute a lesioni da grattamento perché risulta intensamente pruriginosa. Le manifestazioni possono essere particolarmente gravi in alcuni pazienti allergici alle tossine.

La inalazione delle sete produce una forte irritazione delle vie aeree, con tosse e dispnea. Quando sono interessati gli occhi insorgono congiuntivite e gonfiore delle palpebre. I sintomi sistemici possono comprendere febbre, nausea e malessere generale che possono perdurare anche per settimane. In alcune più rare occasioni può insorgere una risposta anafilattica anche grave.

Thaumetopoea pityocampa, Processionaria del pino, Thaumetopoeidae

D’inverno i bruchi escono dal nido per nutrirsi sull’albero nelle ore più calde della giornata e rientrano verso sera, ma quando il clima si fa più mite pascolano in genere di notte. In primavera o inizio-estate secondo il clima, i bruchi ormai maturi scendono in massa dagli alberi. Si spostano al suolo, in fila indiana, per interrarsi e impuparsi © Giuseppe Mazza

La contaminazione può avvenire per contatto diretto con i bruchi o con i nidi che, dal momento che ad ogni muta a ogni muta i peli vengono perduti e poi riformati, risultano pieni di sete urticanti. Anche le sete disperse nell’aria e trasportate dal vento sono fonte di problemi sanitari per l’uomo e per gli animali. Si usa talvolta il termine di lepidotterismo per definire gli effetti sistemici dell’esposizione alle larve di processionaria o di altri lepidotteri, mentre come erucismo, o dermatite da bruchi, si intende più in particolare descrivere gli effetti dermatologici.

Predatori delle processionarie

I bruchi della Thaumetopoea vengono predati da alcune specie di uccelli insettivori e questo rappresenta un importante meccanismo di controllo biologico che può contribuire a limitare la diffusione di questa specie. La presenza di peli urticanti e la colorazione aposematica scoraggiano molti uccelli dall’alimentarsi delle processionarie, ma alcuni predatori hanno sviluppato delle strategie che permettono loro di superare gli ostacoli.

Tra questi uccelli ricordiamo i cuculi, che hanno  le pareti del ventriglio rivestite di un epitelio resistente agli effetti urticanti, i caprimulgi che catturano gli adulti, che non sono urticanti;  le upupe,  che con il lungo becco ricercano le pupe nascoste nel terreno, o alcune cince che predano le uova o le larve molto precoci, non ancora urticanti, oppure che hanno sviluppato tecniche che permettono di consumare soltanto la parte interna del bruco senza  esporsi ai peli.

Thaumetopoea pityocampa, Processionaria del pino, Thaumetopoeidae

Si muovono, una attaccata all’altra nella caratteristica processione, seguendo la traccia odorosa dei feromoni rilasciati dal capofila e rinforzati da ogni larva. I peli sono altamente nocivi. Ogni segmento del bruco presenta una fossetta, detta specchio, contenente i dardi: anche 100.000 peli urticanti dentellati © Giuseppe Mazza

Tra gli insetti predatori delle processionarie il coleottero carabide Calosoma sycophanta, che, per la sua voracità, è considerato un importante agente di controllo delle infestazioni ed è stato utilizzato nella lotta biologica.

Lotta alla processionaria

A causa della gravità dei danni apportati alla vegetazione e della pericolosità per uomo e animali in molti Paesi esiste l’obbligo, per i proprietari dei boschi, di denunciare la presenza dell’insetto e di procedere alla disinfestazione. La lotta contro la processionaria si può basare su mezzi meccanici, chimici, biologici e biotecnologici.

Tra i mezzi meccanici ricordiamo la distruzione dei nidi, che comunque è applicabile soltanto su piccole aree, è problematica per la loro localizzazione nelle parti più alte degli alberi, per i danni che può arrecare alle piante e perché espone gli operatori a ustione della pelle e delle mucose a causa dei peli urticanti che vengono liberati nell’aria. La rimozione dei nidi crea inoltre il problema del loro smaltimento che non può essere effettuato con semplicità per la presenza dei peli urticanti. Un sistema tradizionale è quello di distruggere i nidi con colpi di fucile da caccia. La distruzione dei nidi provoca la morte delle larve esponendole al freddo dell’inverno ma d’altra parte diffonde nell’ambiente i peli urticanti.

Thaumetopoea pityocampa, Processionaria del pino dettaglio sete, Thaumetopoeidae

Ingrandimento al microscopio elettronico delle temibili sete dentellate. Vengono rilasciate con forza, estroflettendo gli specchi, quando l’animale è irritato. Fragili dardi che si spezzano nella pelle dell’importuno ed al dolore per la puntura si aggiunge la presenza di sostanze allergeniche. Possono vagare nell’aria per anni, mantenendo intatto tutto il loro potere urticante. La lotta contro questo devastante parassita non è purtroppo delle più facili: si interviene con mezzi meccanici, chimici, biologici e biotecnologici © Andrea Battisti

Un altro intervento meccanico, che può essere messo in atto prima che le processionarie escano dai nidi in primavera consiste nella applicazione intorno al fusto di collari per impedire che le larve raggiungano il terreno e si impupino in attesa di sfarfallare in estate. I collari, se ben applicati e tenuti puliti possono dare risultati apprezzabili. La lotta chimica o biotecnologica si basa sull’uso di preparati chimici larvicidi, di regolatori dello sviluppo chitino-inibitori o del Bacillus thuringiensis. Quest’ultimo metodo è quello oggi più utilizzato e il preparato può essere anche diffuso con i mezzi aerei.

Un metodo di lotta promettente è quello della endoterapia, che prevede di iniettare i fitofarmaci direttamente nel sistema vascolare delle piante, in modo che possano raggiungere le foglie ed espletare la loro azione tossica sulle larve che se ne nutrono. Questa strategia, che permette di evitare la diffusione indiscriminata dei pesticidi nell’ambiente è già stata applicata con successo nella lotta contro il punteruolo rosso delle palme (Rhynchophorus ferrugineus) e si sta mostrando utile anche contro la processionaria. Nella lotta biotecnologica si ricorre anche alla cattura e all’eliminazione dei maschi adulti mediante trappole con esche a base di feromoni: in questo modo le femmine deporranno uova non fecondate. La lotta biologica si basa sull’uso di insetti entomofagi come ad esempio ditteri Trachinidi e Sirfidi, Imenotteri Icneumonidi, o formiche predatrici.

Sinonimi

Bombyx pityocampa Denis & Schiffermüller, 1774; Traumatocampa pityocampa Denis & Schiffermüller, 1775; Cnethocampa pityocampa Denis & Schiffermüller, 1928.

 

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