Museo oceanografico : il celebre acquario di Monaco

Tutto sul Museo Oceanografico del Principato di Monaco. Intervista al Comandante Cousteau.

 

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Testo © Giuseppe Mazza

 

“Se non fossi francese, vorrei essere italiano”. Il comandante Jacques Yves Cousteau sfoglia con una punta d’invidia la carta patinata di NATURA OGGI.

“La mia non è un’espressione di circostanza”, continua, “io amo davvero il vostro Paese che, assieme al mio, si protende con tante aspettative sul Mediterraneo. Anche se poi la delusione è in agguato perchè il Mediterraneo, purtroppo, peggiora ogni anno che passa”.

Siamo in un austero ufficio del Museo Oceanografico di Monaco, il tempio del mare che il “comandante” dirige dal 1957.

“Parlo volentieri dello stato di salute del mio mare, che sono poi tutti i mari del mondo, in cui mi immergo da più di 50 anni. Oggi, prossimo ai 78 anni, scendo ancora fino ai 60 metri di profondità. C’è chi si meraviglia. E perchè? Anche se la mia vita avventurosa può far pensare diversamente, io non sono mai stato un cultore del pericolo. Ho sempre fatto soltanto quello che mi sentivo di fare. Così adesso. Non mi pongo problemi. Sto bene e mi immergo. Quando non mi sentirò più di farlo, lascerò che altri vadano laggiù al posto mio.

Benvenuti perciò nel Museo Oceanografico di Monaco, che vede ogni anno la presenza di un milione di visitatori. E` una iniziativa importante dovuta all’intraprendenza di quel grande uomo di mare che fu Alberto I° di Monaco, bisnonno del Principe Ranieri.

Le cure dello Stato non gli impedirono di realizzare un numero impressionante di missioni. Convinto, e giustamente convinto, che esistano pochi campi di ricerca scientifica in cui si possa portare avanti la cultura dell’uomo come il regno del mare. Diresse personalmente 28 esplorazioni, con grande profitto per l’acquisizione di nuove conoscenze. Mise in evidenza le incessanti migrazioni in senso verticale degli animali marini pelagici; studiò la penetrazione in acqua della luce; escogitò nuovi impieghi per l’uso della fotografia e della cinematografia; contribuì alla scoperta dell’anafilassi; propose l’impiego dell’idrovolante per la pesca, ma al tempo stesso denunciò le devastazioni prodotte dalle reti a strascico; pubblicò la prima carta batimetrica degli oceani; incoraggiò i sondaggi con gli ultrasuoni; e si dedicò con eguale passione allo studio dei fenomeni dell’alta atmosfera che, diceva, “ricevono dal mare i principali elementi della loro attività”.

Stupisce particolarmente ricordare la profondità cui arrivarono le sue reti per la cattura dei pesci da studiare. Esordì nel 1886 con nasse piombate che pescavano a 120 metri, ma già nel 1887 le sue nasse arrivarono a 1287 metri, e nel 1888 a 2870 metri. Si trattava di operazioni effettuate a forza di braccia, operazioni lunghe e meticolose : non meno di 13 ore per fare discendere le draghe a quella profondità e farle risalire. Il culmine fu raggiunto nel 1910, con un colpo di rete a strascico a 6035 metri di quota. Un record superato soltanto nel 1947. Il successo di questa pescata è reso emblematico dalla scoperta da una specie di grande profondità intitolata al Principe : si chiama Grimaldichthys profondissimus“.

Lo ammiro, in formalina, ancora intatto in un grande boccale nella sala dedicata ai reperti del Principe Alberto 1°.

“A quest’uomo, autentico conoscitore del mare”, continua Cousteau, “si deve la costruzione, nei primi anni del secolo ventesimo, del Museo Oceanografico. Creato per rendere possibile la conservazione, l’osservazione e, quando necessario, la sperimentazione delle creature del mare, è oggi dotato di laboratori e biblioteche specializzate. I programmi di ricerca sono principalmente di biologia marina (soprattutto fisiologia della fauna), geologia e geofisica, chimica e fisica del mare. L’Istituto è dotato anche di una nave destinata alla ricerca nel Mediterraneo : è la Winnaretta Singer, 20 metri di lunghezza, 50 tonellate di stazza. E poi, naturalmente, c’è l’acquario con le sue vasche : per molti, un’occasione unica per vedere con i propri occhi certe specie. Io, come ben sapete, gli abitatori del mare sono abituato a vederli nei loro ambienti, gli oceani, che ho percorso a bordo della Calypso per più di 30 anni e che percorro, da qualche anno a questa parte, a bordo della mia nuova nave a turbovela, l’Alcyone. Ma devo dire che qualche osservazione in acquario ha arricchito anche me”.

Incrociamo un polpo che occhieggia da un’anfora.

“Mi ha sempre colpito”, mi spiega,”la dimestichezza dimostrata dai polpi delle nostre vasche nei confronti dei loro custodi : li riconoscono dalle vibrazioni del passo e li “salutano” spruzzandogli acqua sulla faccia. Scene come queste mi hanno aiutato a riflettere sulle grandi possibilità intellettive di questi animali. Anche se si tratta di potenzialità destinate a rimanere inutilizzate.

Per dare vita a un tipo di civiltà quale noi conosciamo, occorre infatti la combinazione di quattro doti che soltanto gli uomini posseggono : un buon cervello, mani che facciano presa, una voce per comunicare con i propri simili e una vita abbastanza lunga per immagazzinare tante nozioni e farne un patrimonio. Il polpo ha un buon cervello e molti tentacoli, ma non ha voce e soprattutto ha una vita corta e difficile. Vive solo 2 o 3 anni. In cattività, possiamo allungare un po’ la sua esistenza, ma non certo portarla fino a 10 anni. E purtroppo, in questa situazione, il bel cervello resta così com’è.

Esistono invece molte altre circostanze in cui l’osservazione allo stato naturale è insostituibile : ben altre libertà di movimento, ben altri entusiasmi. Mi riferisco, in modo particolare, all’osservazione dei grandi cetacei. La balena è la più straordinaria forma di vita animale nei mari. I sub che lavorano con me da 10 anni, con questa montagna di carne ne hanno combinate di tutti i colori. Le hanno avvicinate, hanno applicato sui loro dorsi dei “segnali”, le hanno cavalcate. E una cosa soprattutto hanno imparato : che le balene sono molto, molto, molto gentili con l’uomo. Quante volte le ho viste comportarsi in modo da evitare di farci del male.

Certo non tutte hanno il medesimo comportamento. Ci sono specie più intelligenti e sensibili di altre. Personalmente prediligo i cetacei muniti di denti anzichè di fanoni, gli odontoceti. Il capodoglio è intelligentissimo.

L’orca ……. mi indigno quando sento parlare di orca assassina. L’uomo della strada non ha idea di quale sensibilità, nei rapporti con noi, possa dimostrare questo splendido animale. Fino a qualche anno fà, l’assassinio delle balene, sì, scriva proprio “assassinio”, era perpetrato in massa. Ora, grazie a un relativo rispetto degli accordi internazionali per la loro protezione, la situazione è un po’ migliorata. Durante i miei viaggi, mi capita spesso di vedere balene. Ma la protezione non basta se l’uomo non rispetta l’elemento in cui vive la balena. L’acqua ricopre più del 70% della superficie del pianeta, dà un’impressione di immensità e di perennità, e forse anche per questo l’uomo le destina tranquillamente tutta la sua immondizia.

Ecco, chi passa davanti alle vasche del nostro Acquario questo fenomeno non lo avverte, e magari può illudersi che tutto sia pulito come l’acqua che vede; ma io che giro il mondo non posso illudermi. Dovunque, in mare, c’è l’insulto dell’uomo. E non parlo soltanto degli scarichi industriali, delle petroliere che lavano le cisterne in pieno oceano. Parlo anche dei rifiuti che l’uomo della strada spesso sottovaluta, perchè sono immondizia sua personale. Cito un solo esempio : lo sapete che ogni anno nell’oceano Atlantico viene scaricato un milione di scarpe vecchie ?

Alla miopia dei politici che trovano scomodo affrontare certi problemi, alla avidità del guadagno di chi specula a spese dell’ambiente, si aggiunge la cecità di tutti gli altri. Tutti considerano il mare la più comoda delle pattumiere. Salvo poi sbarrare gli occhi quando gli si dice che, continuando così, il mare è destinato ad agonizzare.

Ma chi sa le cose ha il dovere di dirle agli altri. Qualcuno sentendomi parlare, mi definisce pessimista, qualcuno, vedendomi agire, mi definisco ottimista. Io non sono nè pessimista nè ottimista. Io sono realista. Mi batto perchè il dio denaro non prenda un definitivo sopravvento sulla natura.

Ma non posso nascondermi che a questo traguardo siamo vicini. Anche se sono stato, credo, uno dei pionieri nel credere nelle risorse che dal mare potrebbero derivare all’umanità. Mi limito a ricordare, negli anni 60, le varie tappe dell’ “Operazione Precontinant”, che vide diversi miei sub soggiornare per settimane dentro apposite abitazioni “pensate” per il fondo marino. Dal mare potrebbero venire il 6-7% delle proteine che ci sono neccessarie. Ma prima bisogna onestamente riconoscere che quanto abbiamo fatto fino ad ora per lo sfruttamento delle risorse ittiche è insensato e criminale. Bisogna cambiare drasticamente i sistemi di pesca, sviluppando l’acquacultura a livello planetario in forme razionali. Bisogna rivoluzionare la nostra concezione di raccolta dei prodotti del mare.

Mi si chiede di spendere due parole sul Mediterraneo. Dolenti note, come dicevo all’inizio. Secondo i nostri rilevamenti, non sono molte le coste dove la gente possa fare il bagno avendo la certezza di non prendersi qualche malattia. Parlo di epatiti virali, di furoncolosi, di salpingiti, di malattie della bocca. Si tratta in prevalenza di affezioni contraibili a causa di germi patogeni che penetrano negli organismi nei momenti in cui si dedica alla gioia della balneazione.

Per quanto riguarda la fauna ittica, ho fatto una proposta che naturalmente resterà inascoltata. Lasciare a riposo per cinque anni la zona di pesca in una vasta fascia che sta fra la Sicilia e la Tunisia. Capisco la difficoltà di applicare un provvedimento che cozza contro un’infinità d’interessi grandi e piccoli. Ma ciò che non si fà oggi con programmata ragionevolezza, si dovrà fare comunque molto presto costretti dalla neccessità. Le risorse ittiche del Mediterraneo non sono inesauribili.

Oggi si parla molto di energia pulita, ma sono soprattutto parole. Eppure dovranno crederci. La Terra riceve energia solare equivalente alla produzione di 70 milioni di centrali nucleari. Due terzi di questa energia è recepita dagli oceani. Ecco una bella prova per la moderna tecnologia, che però non ha ancora approntato strumenti soddisfacenti. Così come non ne ha approntati per sfruttare l’energia eolica che deriva dai venti marini. Una potenzialità immensa, che attende fatti mentre noi ci saturiamo di parole.

In altri casi, la tecnologia ci può già venire molto utilmente in soccorso. Ad esempio, con il controllo esercitato dal cielo dai satelliti. Potrebbero essere preziosi nell’individuare le petroliere che oggi scaricano indisturbate i loro contenuti di veleno. Peccato che gran parte dei satelliti siano adibiti ad uso militare.

Sono andato molto lontano con il discorso. Mi capita sempre così, quando parlo del mare. Oggi il discorso è planetario o non è. Si racconta che già Alessandro Magno provava curiosità per il fondo del mare, facendosi calare dentro una botte di vetro. Ai suoi tempi, di cose da vedere ce n’erano tante. Ce ne sono ancora, ma sempre meno. E ognuno di noi può fare qualcosa per invertire la tendenza. Pensiamo a questo mentre sostiamo davanti a una vasca piena di pesci che ci donano, per ora, i colori dei Tropici”.

Dei problemi di filtraggio e delle vasche si occupa Il Dr. Jacques Maigret, direttore della sezione acquariologica del Museo Oceanografico.

“Questa Murena cioccolata (Lycodontis unicolor),” mi spiega, “è il nostro ospite più vecchio. Quando l’abbiamo presa, 24 anni fa, davanti ad Antibes, era ancora abbastanza comune lungo le nostre coste, ma oggi per trovarla bisogna andare fino alle Baleari o alle Canarie e con l’inquinamento che avanza, molte specie rischiamo di vederle solo in acquario”.

Mi mostra quello che sta dietro le quinte di uno dei più antichi acquari del mondo.

“Quando nel 1910 fu inaugurato dal Principe Alberto I “, continua Maigret, “l’acqua saliva fino a 60 m, sulla terrazza del museo, per mezzo di un’ingegnosa pompa, un va e vieni azionato dal movimento delle onde, e ricadeva in una dozzina di vasche. Il successo fu enorme perchè in quella che venne subito definita “la vetrina del mare”, la gente poteva ammirare, per la prima volta, vivi, i pesci, i crostacei e gli invertebrati noti fino allora solo da morti, in pescheria. Oggi abbiamo quasi 200 vasche, di cui 93 aperte al pubblico, per un totale di 300.000 litri. Due pompe, capaci di 40 m3/h, portano l’acqua da 50 m di profondità a giganteschi serbatoi, ma anche il mare, purtroppo, è cambiato …….”.

“D’accordo l’inquinamento”, lo interrompo, “ma avrete pur sempre dei vantaggi rispetto ad acquari continentali, come Milano o Francoforte, costretti a fare l’acqua marina con le polveri”.

“Non siamo ancora a questo punto, ma poco ci manca. A meno di 100 m dalla nostra presa d’acqua, c’è lo scarico d’un collettore che ci obbliga a speciali filtraggi e sterilizzazioni con ultravioletti, ma l’inquinamento peggiore, contro cui non c’è rimedio, è quello chimico. Nonostante i divieti, le industrie scaricano di continuo in mare sostanze tossiche, e benchè sia bandito da anni, troviamo ancora del DDT negli acquari”.

Ma il filtraggio come avviene ?

“La maggior parte delle vasche è munita di due filtri : uno sotto sabbia, che trattiene lo sporco, ed uno esterno collegato, a una pompa di 3.000 l/h. Dai bacini della riserva giunge poi, goccia a goccia, l’acqua marina fresca, per un ricambio graduale e un apporto continuo d’oligo elementi. Negli acquari tropicali, a salinità più bassa del Mediterraneo, immettiamo anche piccole quantità d’acqua dolce e solo poche vasche refrigerate, con specie di profondità come i coralli, o ad acqua molto molle, per i pesci dell’Amazzonia, hanno un filtraggio totalmente chiuso. Da quasi 20 anni, funzionano poi perfettamente, senza interventi, alcune vasche “antiche”, alimentate esclusivamente da un circuito aperto col mare, in cui si è sviluppata una fauna molto particolare che potremmo quasi definire endemica degli acquari”.

“Quindi la riproduzione è possibile anche negli acquari marini” ?

“Certo. Piccoli invertebrati a parte, le aragoste e le cicale di mare mettono al mondo, ogni 4-5 mesi, migliaia di larve e almeno una dozzina di pesci del Mediterraneo, come saraghi, labridi, scorfani e orate, si riproducono senza problemi. Abbiamo avuto successo anche con gli ippocampi e, di recente, con le seppie”.

“Ma come”, intervengo stupito, “non sono animali difficilissimi, che in acquario durano solo pochi giorni” ?

“Si, e proprio per questo le abbiamo riprodotte”.

Lo guardo con aria perplessa.

“Il difetto delle seppie”, mi spiega Maigret, “è che si spaventano per niente. Schizzano via, con il loro sistema a reazione, e vanno a sbattere contro le pareti delle vasche. Le ferite si infettano e muoiono dopo pochi giorni. Noi abbiamo pensato che delle seppie “domestiche”, nate in acquario, avrebbero avuto meno paura delle altre, e in aprile, quando si riproducono, abbiamo pescato una femmina gravida che ha subito fatto le uova in un acquarietto. I piccoli, allevati in un ambiente tranquillo, si ferivano già molto meno delle solite seppie e, diventati adulti, si sono a loro volta riprodotti. I figli della seconda generazione non temevano quasi più l’uomo, ma purtroppo, per un banale incidente, siamo riusciti a salvare solo una femmina. Si è appena accoppiata con un maschio, preso in mare, e molto probabilmente le seppie che nasceranno potranno essere esposte al pubblico”.

“E i pesci tropicali” ?

“Alcuni clowns, come l’Amphyprion percula e l’Amphyprion frenatus, si riproducono ormai da diversi anni, ma la maggior parte proviene da scambi fra acquari o direttamente dai paesi tropicali”.

“Il grosso verrà dai viaggi di Cousteau, immagino” ?

“No. Nelle sue importanti missioni il Comandante non ha mai tempo. Al più ci mette in contatto con istituzioni ed esportatori locali, ma in genere siamo molto diffidenti con chi traffica i pesci d’acquario”

“Per motivi morali” ?

“Naturalmente, e sopprattutto per i metodi con cui li pescano. Da qualche anno i “professionisti” del terzo mondo usano come “anestetici” dei pericolosi sali di cianuro. A parte le gravi intossicazioni dei pescatori, il cianuro finisce col distruggere, per sempre, la flora e la fauna del reef. I pesci in prossimità muoiono all’istante, e quelli più lontani, drogati, vengono raccolti senza sforzi. Appena tornano in sè li spediscono subito, senza nutrirli, verso i paesi occidentali e chi li riceve è, in un primo tempo, contento. Si tratta quasi sempre d’esemplari in perfetto stato, senza ferite e traumi per la cattura col retino. Poi, come mangiano, muoiono di colpo, senza un motivo apparente”.

“Ma come mai” ? chiedo con sempre maggior interesse.

“Perchè il cianuro, accumulato nel fegato, viene messo in circolazione appena questo riprende a funzionare. Il solo indizio, all’autopsia, è un’orletto nero sui lobi del fegato, ma i dilettanti questo non lo sanno”.

Mi mostra poi tutto quello che stà dietro alle vasche di un grande acquario : impianti sofisticati per ogni esigenza di filtraggio, lampade U.V. e speciali alogene “Metal halide” al posto delle classiche “Grolux”, per dare alle vasche quell’illuminazione mista di luce intensa e zone d’ombra, tipica delle barriere coralline. Voluminose ceste d’insalata e un’inserviente che spalma dei sassi piatti e rugosi con una strana pasta verde maleodorante, attirano la mia attenzione.

“In natura”, mi spiega Maigret, “i pesci dedicano la maggior parte del loro tempo alla ricerca del cibo, e non vogliamo che qui si abbuffino, in pochi secondi. Cespi di lattuga vengono messi interi nelle vasche, per essere “brucati” lentamente dagli erbivori, ed alle specie che “pascolano” fra gli scogli offriamo rocce ricoperte da un misto di agar-agar (gelatina di alghe), krill (condensato di plancton), gamberetti, spinaci, carbonato di calcio e vitamine. Vengono ripulite con cura, come “piatti da portata”, e riutilizzate nei giorni seguenti. La dieta dei pesci d’acquario dev’essere il più varia possibile : i nostri 5.000 ospiti (300 specie in tutto) consumano ogni anno 3 tonnellate di molluschi, 750 kg di sardine e acciughe, 500 kg d’ Artemia salina congelata, 130.000 vermi marini vivi, granchi, gamberetti, calamari, ostriche, ricci di mare, pesci e spinaci surgelati, insalata, legumi liofilizzati e pezzettini di cuore di bue.

Per l’alimentazione dei neonati, oltre alle larve d’Artemia salina, usiamo rotiferi di Brachionus ed alghe unicellulari del genere Chlorella. In collaborazione con industrie farmaceutiche, sperimentiamo anche nuovi alimenti e medicinali per l’aquariologia e l’acquacoltura”.

Mi mostra vasche brulicanti di giovani branzini (Dicentrarchus labrax), con piastrine metalliche di riconoscimento all’opercolo. Fanno parte di un’esperimento di 4 mesi, con pesci nutriti parte in acquario e parte in mare, in gabbie a 30 m di profondità, per provare l’effetto sui lipidi di vari mangimi. Interessanti ricerche sono in corso anche sul comportamento interspecifico degli animali marini : su come, per esempio, i pulitori (Labroides e Stenopus hispidus) vengono riconosciuti e accettati dai rispettivi ospiti. Per ciascun pesce, o gruppo di pesci, una scheda riporta, il luogo e la data di cattura, il peso e la taglia nel tempo, le malattie, le terapie e le operazioni subite.

“Alcuni esemplari molto vecchi”, continua Maigret, “mancano di un occhio o mostrano cicatrici, ma non per questo li sopprimiamo. Se, come le cernie di fondo (Polyprion americanum),diventano troppo ingombranti per la vita in acquario, preferiamo liberarli in mare. Sono nettamente contrario ai “pesci oggetto” ed alla mentalità assurda di certa gente che è arrivata a chiedermi una consulenza per dei pesci che “armonizzassero” col colore dei tendaggi”.

Un altoparlante annuncia in più lingue ai visitatori che l’acquario sta per chiudere, e che, alle 19 in punto, le luci si spegneranno. Anche questa operazione è “pilotata”, e avviene progressivamente, a settori, per non spaventare i pesci. Si sta anche pensando a un impiano più complesso, con lampade a debole intensità, che rimpiazzino gradualmente le alogene, imitando il crepuscolo e il chiarore lunare.

 

 NATURA OGGI – 1988

 

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