Pinnipedia

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Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo

 

Branco di Arctocephalus pusillus doriferus su un isolotto a sud dell’Australia © Giuseppe Mazza

Branco di Arctocephalus pusillus doriferus su un isolotto a sud dell’Australia © Giuseppe Mazza

Vengono detti Pinnipedi i membri della superfamiglia Pinnipedia, sottordine Caniformia ed ordine dei Carnivora, la cui classificazione iniziale fu proposta dal biologo entomologo zoologo tedesco Johann Karl Wilhelm Illiger nel 1811 nella sua grande opera “Prodromus Systematis Mammalium et Avium”.

Presentano un areale di distribuzione relativamente ampio, spesso correlato a correnti d’acqua fredda, che si estende per lo più nelle zone artiche e subartiche, antartiche e subantartiche, con annesse isole e coste afferenti ai continenti limitrofi.

Ma sono anche presenti nelle acque tropicali e subtropicali, e si può quindi parlare di Pinnipedi di aree settentrionali, nell’emisfero boreale, e di specie meridionali, intendendo quelle che vivono al disotto del tropico, nelle aree subantartiche e antartiche dell’emisfero australe.

Occorre brevemente ricordare che mentre il Polo Sud (Antartide) è un continente costituito da una piattaforma estesa circa 13 milioni di Km2, ricoperta per tutto l’anno da un perenne strato di ghiaccio con spessore variabile fra estate e inverno, il Polo Nord (Artide) non è un continente, ma un’area di mare piuttosto estesa, ricoperta da ghiacci galleggianti e delimitata dalle coste di vari paesi (USA, Canada, Groenlandia, Russia, Norvegia).

È il Circolo Polare Artico, con ghiacci più o meno spessi secondo la stagione e i mutamenti climatici, come abbiamo visto negli ultimi anni, col drammatico aumento delle temperature medie indotto dall’effetto serra, legato a fenomeni d’inquinamento globale. Al Polo Nord, l’inverno Artico dura parecchi mesi. Il sole non sorge mai, e il giorno è uguale alla notte. Le estati sono brevi, ma tali da permettere lo scioglimento dei ghiacci. I mammiferi, e in particolare i pinnipedi, possono allora spostarsi nell’acqua alla ricerca di cibo, e come varie specie d’uccelli convergono per la riproduzione sulle coste dei continenti limitrofi.

Nel Polo Antartico la presenza di venti che raggiungono i 160 km/h e di ghiacci perenni determinano le temperature più basse della terra. In una zona, a McMurdock, si è registrato il record assoluto con -131 °C ! Il fatto però che si tratta di un’enorme porzione di manto terrestre permette ad alcune specie animali, in grado di sopportare le basse temperature e i forti venti, di riprodursi anche in situ durante il periodo estivo, quando, per circa 2 mesi, il tempo è più clemente, e qualche raro vegetale riesce a crescere. Nell’entroterra del Polo Antartico sono stati osservati funghi, batteri ed alghe; sulle coste circa 75 specie di muschi e 20 specie di epatiche; e varie specie di licheni crescono nell’arcipelago subantartico delle Orcadi Australi.

Anche sulle rocce del Polo Artico crescono varie specie vegetali, ma in formazioni più complesse di quelle che si osservano in Antartide. Dato che l’Artico è relativamente più caldo dell’Antartide, oltre ai licheni ed alle epatiche si trova anche la vegetazione caratteristica della tundra subartica, con circa 1.000 specie di muschi e 800-900 specie di piante superiori, come il Papavero polare e la Silene acaule. Alcune specie sfruttano i brevi periodi estivi per produrre fiori e bacche, ma in genere, dato l’ambiente ostile, la riproduzione avviene per via vegetativa, con stoloni o bulbilli trasportati dal vento (propagazione anemofila). Il ciclo riproduttivo deve infatti concludersi in fretta, prima dell’inverno.

Le femmine di Arctocephalus pusillus doriferus partoriscono appena raggiunta la terra ferma © Mazza

Le femmine di Arctocephalus pusillus doriferus partoriscono appena raggiunta la terra ferma © Mazza

Questa strategia è tipica anche di varie specie animali antartiche, come ad esempio gli uccelli marini appartenenti all’ ordine dei Procellariiformes (procellarie) e all’ordine dei Sphenisciformes (pinguini).

Nel caso dei pinnipedi, sia le specie settentrionali che quelle meridionali, scelgono per la riproduzione le coste di isole o continenti.

Sono mammiferi carnivori, euteri (placentati), che devono il loro nome alle zampe trasformate in pinne, ed hanno adattato la loro struttura corporea alla vita anfibia.

Il loro corpo è fusiforme e idrodinamico, ricoperto da peli con una struttura diversa da quella degli altri mammiferi, idonea ad affrontare le lunghe immersioni marine, e uno spesso strato di grasso sottocutaneo (pannicolo adiposo) che li protegge dalle basse temperature.

I membri della superfamiglia dei Pinnipedia, detti comunemente foche, trichechi, otarie, leoni marini o lupi di mare, hanno probabilmente un antenato comune ai carnivori quadrupedi terrestri.

Si sono differenziati circa 30 di milioni d’anni fa, dando origine nel Miocene (23,03 milioni di anni fa) alle seguenti tre famiglie tuttora esistenti:

gli Odobenidae con una sola specie, il Tricheco (Odobenus rosmarus) che conta 2 razze o sottospecie diffuse nell’emisfero boreale: il Tricheco dell’Atlantico (Odobenus rosmarus rosmarus) e il Tricheco del Pacifico (Odobenus rosmarus divergens).

gli Otariidae con 13 specie come l’ Arctocephalus pusillus (con la razza o sottospecie Arctocephalus pusillus doriferus qui rappresentata) o l’Otaria della California (Zalophus californianus), detta anche Otaria dal pelo ruvido, animale intelligentissimo e idoneo all’addestramento, tant’è la specie di otaria più frequente nei parchi acquatici, giardini zoologici e circhi.

i Phocidae con 18 specie, fra cui la ben nota Foca comune (Phoca vitulina).

Filogeneticamente, delle 3 famiglie, quella dei Phocidae è quella d’origine più antica, quella che per prima si è differenziata dai carnivori quadrupedi terrestri. Molti biologi zoologi asseriscono, con dati zoopaleontologici e genetici alla mano, che i membri dei Phocidae, Odobenidae, Otariidae, presentano antenati comuni ai gatti (Felis silvestris catus) e ai cani domestici (Canis lupus domesticus). Gli Odobenidae vivono nei mari artici; gli Otariidae nell’Oceano Atlantico e nel Pacifico; ed i Phocidae sia nei mari Artici che nell’Antartico, e in acque temperate tropicali e subtropicali. Le foche, i migliori nuotatori tra i pinnipedi, sono gli unici in grado di scendere a grandi profondità. Nel 1960 alcuni biologi hanno applicato dei manometri sul dorso di un esemplare della Foca di Weddell (Leptonychotes weddellii), dal nome del biologo che la descrisse nella seconda metà dell’800, scoprendo che poteva raggiungere i 550 m di profondità e restare in apnea anche 70 minuti, mentre le altre specie di Phocidae non superano i 20-30 minuti e i 350-400 m d’immersione.

Un imponente maschio di Arctocephalus pusillus doriferus © Giuseppe Mazza

Un imponente maschio di Arctocephalus pusillus doriferus © Giuseppe Mazza

A differenza delle altre famiglie di pinnipedi, le foche possono infatti chiudere ermeticamente in apnea, con una muscolatura volontaria, le narici del naso e i meati acustici.

Le loro orecchie sono prive di padiglioni, e ciò le rende facilmente distinguibili dalle otarie, pinnipedi a morfologia analoga, che mostrano però un orecchio esterno ben sviluppato, con tanto di padiglione.

Tutti i membri delle tre famiglie sono carnivori, si nutrono di crostacei (krill), granchi, molluschi, cefalopodi, e pesci tipo acciughe, merluzzi, e aringhe. In alcuni casi divorano anche pinguini, cuccioli di altri pinnipedi, o carcasse di altri pinnipedi morti.

Nel Circolo Polare Artico sono presenti 5 specie di Phocidae : la Foca degli anelli (Phoca hispida), la Foca barbata (Erignathus barbatus), la Foca della Groenlandia (Pagophilus groenlandicus), la Foca fasciata (Phoca fasciata), e la Foca dal cappuccio (Histriophoca cristata) che sfidano ogni giorno le gelide acque marine alla ricerca del cibo.

Tutti animali di casa sul pack, l’insieme dei ghiacci o calotte ghiacciate galleggianti, e gli isolotti e le coste limitrofe del Canada, Groenlandia, Russia, USA, e Norvegia, dove si ritrovano spesso per cambiare il pelo, allevare i cuccioli e riprodursi, poiché sono tra gli unici pinnipedi, insieme ai membri degli Odobenidae, a poterlo fare anche sui ghiacci galleggianti.

Va detto che rispetto agli Otariidae e agli Odobenidae, i Phocidae sono quelli che passano la maggior parte del tempo in acqua. Hanno infatti un corpo più fusiforme e idrodinamico, e pur essendo anfibi, mostrano un particolare sviluppo morfofisiologico delle due pinne posteriori, poste una di fronte l’altra senza la possibilità di ripiegarsi in avanti. Un indubbio vantaggio nel nuoto, ma un handicap sulla terra ferma, perché essendo inutilizzabili come sostegno, conferiscono una deambulazione goffa e difficoltosa, strisciante e contorta. Tra i predatori delle specie artiche, troviamo le Orche (Orcinus orca), ma anche l’Orso polare (Ursus maritimus) che è particolarmente ghiotto della Foca degli anelli (Phoca hispida) e della Foca barbata (Erignathus barbatus). Quando come d’estate il cibo abbonda, un orso ben nutrito ne mangia solo le viscere e il grasso, lasciando il resto ai corvi (Corvus corax e Corvus corax corax), ma quando il nutrimento scarseggia vengono divorate completamente.

Nella regione polare antartica sono presenti 4 specie di Phocidae : la Foca di Ross (Ommatophoca rossi), la Foca granchiaiola (Lobodon carcinophagus), la Foca leopardo (Hydrurga leptonyx) e la Foca di Weddell (Leptonychotes weddelli). Queste specie presentano un areale, che si estende dal mare alle coste caratterizzanti e delimitanti l’estesa piattaforma di terraferma ricoperta da ghiacci del Polo Sud, il Circolo Polare Antartico, ma si trovano anche sulle coste di regioni subantartiche, come le Orcadi Australi, Australia sud-orientale, Nuova Zelanda, Tasmania, e America del Sud. Qui si trovano sia sulle coste all’estremo sud dell’Argentina, come la Terra del Fuoco, sia all’estremo sud del Cile, su isole come la Falkland, sia in Sud Africa sulle coste del Capo di Buona Speranza.

Tra i predatori più frequenti di queste specie di foche, troviamo sempre l’Orca (Orcinus orca), e nelle acque al largo del Sud Africa, dell’Australia sud-orientale e delle coste a nord della Nuova Zelanda, anche il grande Squalo bianco (Carcharodon carcharias), per non parlare della Foca leopardo (Hydrurga leptonyx) che preda spesso i cuccioli delle altre tre specie.

I primi mesi di vita degli Arctocephalus pusillus doriferus sono i più critici della loro esistenza © Giuseppe Mazza

I primi mesi di vita degli Arctocephalus pusillus doriferus sono i più critici della loro esistenza © Giuseppe Mazza

Esistono infine dei Phocidae che vivono in acque tropicali o subtropicali o comunque temperate, come la Foca monaca (Monachus monachus) e la Foca monaca tropicale (Monachus tropicalis).

La prima ha una lunghezza di 80-240 cm e può raggiungere i 340 kg. Vive prevalentemente in acqua, anche se non disdegna le coste dove si riposa e riproduce.

La troviamo nel Mediterraneo, ove forma colonie lungo le coste sarde e sicule, e poi lungo le coste della Spagna, Corsica, Marocco,Grecia, o anche nelle acque del Mar Nero, cui si aggiungono le coste atlantiche della Spagna, Portogallo, Mauritania, Madera e Canarie.

La sua popolazione ha avuto delle oscillazioni di densità verso il basso durante gli anni ’80-’90, mentre ora, grazie ai programmi di ripopolamento e protezione in parchi naturali marini, i biologi stanno stabilizzando la popolazione a valori numerici più alti.

Intorno agli anni ’50 si era convinti che la Foca monaca tropicale (Monachus tropicalis) fosse ormai estinta, ma negli anni ’60 alcuni biologi zoologi e biologi marini ne avvistarono alcuni esemplari, analizzati sulle coste delle Antille e dei Carabi. Oggi questa specie è considerata rarissima, e figura naturalmente nella red list of Threatened Endangered Species della IUCN.

Appartengono alla famiglia dei Phocidae, perché si distinguono in senso stretto dai membri della famiglia degli Odobenidae e Otariidae, anche le specie del genere Mirounga, gli elefanti marini, che coi trichechi sono i pinnipedi di mole maggiore. Sono note due specie: l’Elefante marino del Sud (Mirounga leonina) presente nell’Oceano Pacifico meridionale e l’Elefante marino del nord (Mirounga angustirostris) di casa nell’Oceano Pacifico nord-orientale. Queste due specie non presentano enormi differenze. Entrambe raggiungono i 6 m di lunghezza e le 3,5 t di peso, con femmine di 900-1000 kg circa, ma la specie del nord ha una proboscide un po’ più piccola.

La Mirounga leonina, elefante marino del sud, si era quasi estinta nel XIX secolo, oggi se ne contano circa 15.000 esemplari, e la sua popolazione è per fortuna in costante aumento. La quasi estinzione fu opera di una caccia sfrenata per l’olio che da questi animali si può trarre, anche 400 litri da un maschio di 5 anni. La Mirounga leonina, non è propriamente antartica. Infatti anche se a volte si riproduce sui ghiacci terrestri antartici, in prossimità del mare aperto, di norma risiede sulle coste al di fuori della zona gelata. Il nome comune di Elefante marino, non deriva solamente dalla mole pachidermica, ma da una tozza proboscide che ricade sulla bocca dei maschi, nascondendola. Assente nelle femmine, è un carattere evidente di dimorfismo sessuale.

Una Foca comune (Phoca vitulina) emerge dall'acqua gelida per prender aria © Giuseppe Mazza

Una Foca comune (Phoca vitulina) emerge dall’acqua gelida per prender aria © Giuseppe Mazza

Durante la stagione degli amori, la proboscide si gonfia, probabilmente a causa di stimoli endocrini ad opera di ormoni come l’epinefrina o adrenalina, che inducono contrazione muscolare e aumento della pressione sanguigna. Una cassa armonica ai forti urli e versi di tali animali, e un importante stimolo visivo per le femmine in estro.

I maschi, approdano sulle coste in settembre, all’inizio della primavera antartica.
Le femmine li seguono alla fine del mese, andando nell’harem del maschio dominante di tutta la zona, chiamato “ re della costa ”.

Ogni harem, è costituito da un numero variabile di femmine, che può andare da 10-20 fino a 30-40, ma si sono osservati, eccezionalmente, anche degli harem con 100 femmine.

Tali harem vengono costituti dal maschio dominante, che deve compiere una serie di furiosi combattimenti, da cui, come minimo, sia il vincitore che il vinto escono profondamente feriti con vistose emorragie, quando non si concludono con la morte del vinto.

I denti canini e gli incisivi, sono la causa di queste profonde ferite.

Quando i due pretendenti maschi si affrontano, sia nelle specie meridionali che in quelle settentrionali, assumono una particolare posizione, detta a U. La schiena infatti si ripiega, e la coda si dirige verso la testa disegnando col corpo la forma della lettera U. In genere il sollevamento completo della coda avviene in acqua, ma accade anche con certa frequenza sulla terra ferma. Poi i contendenti si dispongono uno di fronte all’altro, coi 2 tronchi che si affrontano in verticale, emettendo urla possenti. Se nessuno dei due cede si va allo scontro: 3,5 tonnellate contro 3,5 tonnellate in una lotta feroce ! I versi dei maschi sessualmente maturi e più anziani, sia nelle specie meridionali che settentrionali, sono di natura metallica.

Nelle femmine di Mirounga leonina e Mirounga angustirostris i parti sono generalmente monogemini, raramente bigemini. I piccoli, data la mole, nascono dopo una gravidanza di 21-22 mesi. Alla nascita misurano circa 1,20 m con 45 kg di peso, che aumenta all’incredibile ritmo di 9 kg al giorno, grazie a un latte ricchissimo in grassi. L’allattamento dura tre settimane, e poi vengono svezzati. Dal canto loro, le madri hanno perso un terzo del loro peso fisiologico, e tornano quindi subito in mare per nutrirsi e recuperare 300 kg circa. I piccoli digiunano, e vanno in mare per nutrirsi solo verso la quinta settimana di vita post natale, dopo aver mutato la pelliccia lanosa che li ricopriva con un manto impermeabile. Ogni anno, tra dicembre e febbraio, anche gli adulti maschi e femmine tornano sulla terra ferma per compiere la muta. L’elefante marino è il pinnipede più longevo, arrivando a vivere anche 75 anni.

I nemici dell’elefante marino, per entrambi le specie, sono praticamente inesistenti, data la loro mole, eccezion fatta per le Orche (Orcinus orca) che possono attaccare i cuccioli, minacciati anche dalle Foche leopardo (Hydrurga leptonyx) quando per distrazione si allontanano dalla madre. In stagioni particolarmente rigide e carenti di cibo, le orche affamate possono attaccare anche femmine e talora i maschi, con battaglie apocalittiche. Al quotidiano i piccoli muoiono spesso schiacciati dai maschi, durante i loro combattimenti, o perché affondano nel ghiaccio che si scioglie verso la stagione estiva. Infine accade spesso che nei pantani dove sguazzano, rimangano intrappolati anche i maschi.

L'Otaria della California (Zalophus californianus) è un animale in espansione © Giuseppe Mazza

L’Otaria della California (Zalophus californianus) è un animale in espansione © Giuseppe Mazza

Il centro d’origine delle foche artiche è il Polo Nord. Qui infatti vivono tutto l’anno le 5 specie sopra indicate.

La Foca degli anelli (Phoca hispida) è la più piccola della famiglia dei Phocidae, ed anche la più comune all’ estremo nord.

Il suo nome comune, deriva dalla presenza di macchie circolari, più scure al centro, sparse sul dorso. Maschi e femmine, hanno circa le stesse dimensioni: 135-160 cm di lunghezza con un peso intorno ai 90 kg. Vivono in piccoli branchi, senza compiere regolari migrazioni. Si trovano in genere a non più di 25 km a largo della costa, dove il ghiaccio è saldamente unito alla terra, a caccia di crostacei e di piccoli pesci. Le femmine hanno regolarmente parti monogemini, raramente bigemini.

Le foche che abitano le regioni della Groenlandia, come il (Pagophilus groenlandicus), vivono al contrario in grossi branchi composti da più di un milione e mezzo d’esemplari nel Golfo di San Lorenzo e di un milione a largo del Labrador, nel Canada. Si riproducono tra febbraio e marzo, con parti monogemini. La madre allatta il suo piccolo per 14-18 giorni, e non lo abbandona mai durante la prima settimana di vita post natale. In questa fase, grazie a un latte altamente nutritivo, il piccolo passa da 8 a 31 kg di peso, accumulando grasso, e finché non compie la muta, presenta un rivestimento lanoso, bianco candido, cacciato in modo barbarico per l’industria della pelliccia. Come per i piccoli di altre foche artiche, il cucciolo digiuna durante la muta, prima dello svezzamento quando comincia a nutrirsi da solo di crostacei. Gli adulti, sia maschi che femmine, possono raggiungere 180 cm di lunghezza, con un peso di 180 kg circa.

Le Foche barbate (Erignathus barbatus), così dette per i lunghi baffi irsuti, vivono anch’esse ai bordi della banchisa, nelle acque costiere. In genere sono solitarie, ma si possono osservare piccoli branchi di 50 unità durante le stagione della riproduzione, anche qui tra febbraio e marzo. Maschi e femmine pesano 225-270 kg, e possono raggiungere i 225 cm di lunghezza.

La foca del cappuccio (Histriophoca cristata) così detta per la presenza di una escrescenza dilatabile che si estende solo sul capo dei maschi, mostrando un evidente dimorfismo sessuale. Quando sono eccitati gonfiano questa protuberanza cefalica e mettendo in mostra un sacco nasale rosso vivo, simile a una vescica. Sembra che questo comportamento, sia indice di collera o di paura. Anche gli esemplari di questa specie, vivono appartati, eccetto quando migrano verso i luoghi scelti per l’accoppiamento, dove dividono lo spazio, con le foche della Groenlandia (Pagophilus groenlandicus). Il piccolo della Histriophoca cristata è chiamato comunemente “dorso blue”, per la presenza di questi riflessi sul dorso quando muta il suo manto lanoso bianco, di neonato, con quello grigio dell’adulto. I parti sono generalmente monogemini. Le Foche dal cappuccio sono le più grandi foche artiche, raggiungendo in entrambi i sessi i 3,15 m di lunghezza ed i 400 kg il peso.

Basta poco a un Zalophus californianus per essere felice © Giuseppe Mazza

Basta poco a un Zalophus californianus per essere felice © Giuseppe Mazza

La foca fasciata (Phoca fasciata), l’ultima delle 5 specie artiche qui elencate, ha taglia simile a quella degli anelli (Phoca hispida) e vive solitaria nel Pacifico settentrionale.

Piuttosto rara, si riconosce per la presenza di strisce giallastre su un sfondo color cioccolato. È un animale tipico dei ghiacci galleggianti (pack), coi quali si sposta verso sud in inverno, per far ritorno verso nord in estate. Sembrerebbe, ma i dati sono da confermare, che i piccoli vengano alla luce sui ghiacci galleggianti. I parti sono solitamente monogemini.

Per quanto riguarda le quattro specie di foche antartiche, appartengono tutte a un medesimo gruppo, contrariamente alle foche artiche, che non presentano legami specifici tra di loro. Condividono, come quelle settentrionali, i medesimi ambienti, areali e biotopi, per la riproduzione, la nutrizione e la muta, cioè mare, spiagge, coste, ghiacci terrestri e frammenti galleggianti-pack. Hanno una ecologia alimentare simile, crostacei (krill, granchi), pesci, ma anche pinguini e carcasse di pinnipedi morti. Tuttavia le 4 specie antartiche, pur avendo un comune gruppo di origine, tra di loro presentano stili di vita differenti. Ad esempio la Foca leopardo (Hydrurga leptonyx) è agilissima in acqua ed è una famosa cacciatrice di pinguini e piccoli di pinnipedi. Sa tendere agguati micidiali, ma si nutre anche di krill, carogne. La foca di Weddell (Leptonychotes weddelli) dotata di grande resistenza all’immersione, vive prevalentemente lungo le coste subantartiche, nutrendosi di calamari e pesci, presi anche a 550 m di profondità. Quando riemerge per respirare, dopo anche fino a 70 minuti di apnea, riesce a rompere coi denti i punti più sottili del ghiaccio.

Essendo mammiferi, come del resto i cetacei (ordine: Cetacea, sottordine Odontoceta : delfini, orche e capodogli, con denti conici e sottordine Mysticeti : balene propriamente dette, balenottere, megattere, hanno fanoni al posto dei denti) le foche respirano infatti coi polmoni, e sono costrette a fare periodicamente ritorno a galla per immagazzinare ossigeno.Nel caso della foca di Weddell, la quantità d’ossigeno captata dall’emoglobina del sangue è molto più alta rispetto ad altre foche, e 5 volte superiore a quella accumulabile nell’emoglobina umana. In più si è visto che, con efficienza maggiore delle altre foche e ben al disopra della capacità umane, in questi animali il consumo d’ossigeno in immersione è notevolmente ridotto, garantendo anche nei momenti critici la circolazione e la perfusione sanguigna di organi, come il cervello, che non possono proprio fare a meno dell’ossigeno. I muscoli striati scheletrici lavorano sfruttando le loro riserve di ossigeno, e l’acido lattico prodotto dal lavoro muscolare viene trattenuto finché l’animale non riemerge. Solo a questo momento verrà scaricato nel sangue e convertito mediante glicogenesi in glucosio, che è la fonte di zucchero metabolizzata da animali e piante.

La Foca granchiaiola (Lobodon carcinophagus) vive per lo più tra i ghiacci galleggianti nutrendosi di krill e granchi. Questa specie, la più comune dei mari antartici, è detta anche “la foca che cambia colore” per il caratteristico viraggio del mantello, che passa durante l’anno dal bianco al bianco-crema.

Le Otarie della California sono ben note per le loro potenti vocalizzazioni © Giuseppe Mazza

Le Otarie della California sono ben note per le loro potenti vocalizzazioni © Giuseppe Mazza

Per finire, dobbiamo parlare della Foca di Ross (Ommatophoca rossi) che nuota nella penombra sotto i ghiacci galleggianti, ha occhi molto grandi, esoftalmici, che le permettono di localizzare, anche in condizioni di luce difficile, calamari e pesci di varie specie.

Questo meraviglioso animale, che prende il nome dal biologo Ross, che la scoprì nel 1860 durante una delle prime spedizioni in Antartide, si incontra molto di rado perché vive sul remoto pack. Della sua Biologia si conosce poco.

Le femmine di tutte e quattro le specie antartiche, presentano dei parti monogemini, raramenti bigemini. La famiglia degli Odobenidae, come accennato sopra, annovera un’unica ben nota e caratteristica specie: il Tricheco (Odobenus rosmarus). Questo che conta due sottospecie nell’emisfero boreale: l’Odobenus rosmarus rosmarus, detto Tricheco dell’Atlantico, e l’Odobenus rosmarus divergens, noto come Tricheco del Pacifico. Sia i maschi che le femmine del tricheco, presentano zanne, che sono canini a crescita continua. Più lunghe nei maschi, misurano in media 75 cm, ma possono raggiungere anche il metro.

La sottospecie del Pacifico ha dimensioni maggiori e narici poste più in alto nel muso. A parte queste differenze, le due sottospecie o razze, sono molto simili nell’aspetto e nel comportamento. Un terzo del peso di questi animali, che possono sfiorare la tonnellata e mezza, è costituito da strati di grasso che possono raggiungere i 6 cm di spessore, cui fa seguito una cute dura ed ispida di analogo spessore.

Hanno una colorazione del manto rosa-creta, che si fa pallida grigiastra quando passano, come accade abitualmente, parecchio tempo nelle fredde acque del Pacifico e dell’Atlantico. Un effetto della costrizione dei capillari cutanei, che fanno affluire poco sangue in superficie, che scompare quando gli animali tornano sulla terra ferma per esporsi al sole. In questo caso si verifica l’effetto opposto: l’espansione dei capillari li aiuta a disperdere il calore estivo. Grazie a questa tecnica, e lo strato adiposo che li rende praticamente insensibili al freddo polare, i trichechi sanno dunque adeguarsi bene sia al caldo che al freddo.

I maschi raggiungono i 3,60 m di lunghezza con un peso di 1,5 t, le femmine arrivano a circa 2,80-3 m di lunghezza ed a 660-700 kg. La vita media di questi animali è di 30 anni, ma si sono registrati casi in cui la longevità ha raggiunto i 50 anni. A un anno di vita post natale, nel piccolo le zanne misurano circa 2,5 cm, per crescere poi rapidamente. Quelle delle femmine, oltre che più corte, sono anche meno robuste. L’animale le usa per issarsi sui ghiacci dall’acqua (da qui il nome scientifico Odobenus : che significa “camminare coi denti”), per scavare nel ghiaccio in cerca dei molluschi e dei crostacei di cui è ghiotto, per aprirsi un varco quando viene a galla per respirare, e per combattere coi rivali o le foche, che sventra facilmente nuotando capovolto o su un fianco.

Mirounga leonina © Giuseppe Mazza

Mirounga leonina © Giuseppe Mazza

La loro autonomia di immersione è di circa 12 minuti, per cui devono cercare cibo a non più di 75 m di profondità. I molluschi ed i crostacei (krill) di cui si nutrono, devono essere particolarmente abbondanti, visto che ogni tricheco necessita di circa 3.000 molluschi al giorno, e che ogni branco di trichechi consta di qualche migliaio d’individui.

In più il suo areale dev’essere caratterizzato dalla presenza di banchi di ghiaccio o spiagge accessibili per riposare. La sopravvivenza di questi incredibili e splendidi animali, è quindi davvero legata al fragile equilibrio ambientale e delle specie ittiche.

Le femmine raggiungono la maturità sessuale a circa 5 anni, i maschi a circa 6 anni. Dopo una gestazione di circa un anno, i piccoli (i parti sono monogemini, più raramente bigemini) nascono sui ghiacci, durante la migrazione verso i luoghi della muta estiva, a nord. Un tricheco alla nascita pesa circa 35 kg con una lunghezza di 110-120 cm. Durante le prime tre settimane, la sua vita dipende totalmente dalla madre, che lo allatta e lo protegge dal freddo, dato che il corpo del piccolo non ha ancora accumulato abbastanza grasso per formare il pannicolo adiposo degli adulti. Questi ultimi sono ben adattati a vivere tra i ghiacci e in mare, abili e forti nuotatori con pinne posteriori larghe anche 90 cm. In più possono essere rivolte in avanti, e permettere una deambulazione terrestre buona e coordinata con una velocità di 5 km/h equivalente alla camminata umana.

In acqua i trichechi scandagliano il fondo con le zanne alla ricerca di molluschi e crostacei, o li staccano dagli scogli grazie ai forti muscoli delle labbra, dopo averne individuata la presenza coi baffi. Data la loro mole possente, non hanno nemici naturali, a parte le Orche (Orcinus orca), e devono semmai temere le malattie indotte da certe forme di crostacei e altri animali parassiti. A volte capita che i maschi anziani possano uccidere delle foche per mangiarle o fare altrettanto coi piccoli della loro specie. L’origine di tale cannibalismo non è chiara ai biologi. Forse serve ad equilibrare la popolazione in uno specifico home-range. Comunque i trichechi che applicano tale pratica sono riconoscibili per le macchie sulle zanne e una pelle più untuosa.

Tra i membri degli Otariidae, oltre le specie dell’emisfero australe, tra cui l’Otaria orsina delle Kerguelen (Arctocephalus gazella) così detta in onore del vascello tedesco SMS Gazelle che la raccolse intorno al 1840, e l’ Arctocephalus pusillus con la razza Arctocephalus pusillus doriferus di casa sulle coste sud-orientali dell’Australia, ci sono anche quelle dell’emisfero boreale. Le otarie settentrionali formano i maggiori branchi di mammiferi sul pianeta terra: circa 2 milioni di individui che approdano su due isole del Pribilof nel nord del Pacifico. Ancora oggi i cacciatori uccidono fino a 60.000 esemplari all’anno, e nonostante questa pratica venatoria la popolazione si mantiene costantemente sui 2-2,5 milioni di esemplari. Questo perché i maschi essendo poligami, possono avere harem anche di 50 e più femmine, con cui s’accoppiano verso giugno, durante la stagione degli amori, con proli molto consistenti.

In ottobre, le Otarie settentrionali (Callorhinus ursinus), iniziano la migrazione di circa 4.500 km verso il Giappone e la California, per poi ripartire verso nord all’inizio della primavera.

Arctocephalus gazella © Giuseppe Mazza

Arctocephalus gazella © Giuseppe Mazza

Nelle otarie più grandi, dette anche “ leoni marini ”, i parti sono come nella altre otarie monogemini, raramente bigemini. I maschi, macrocefalici, hanno un collo molto robusto e sono più alti delle femmine.

Quelli del Leone marino di Steller (Eumetopias jubatus), specie meridionale che vive lungo le coste meridionali australiane, della Nuova Zelanda e sud America e prende il nome del biologo zoologo che la scoprì nella seconda metà dell’800, sono abbastanza rari da osservare.

Molto più grandi delle femmine, presentano una folta criniera, e possono raggiungere i 3,30 m di lunghezza e 1 t di peso.

In questi animali la fecondazione avviene subito dopo il parto.

Si nutrono di cefalopodi, pesci o pinguini, e in presenza di predatori possono fuggire o difendersi coi loro possenti canini, tant’é che le orche preferiscono stare alla larga e cacciarne i cuccioli.

Altre specie di otarie settentrionali e meridionali sono: l’Otaria della California (Zalophus californianus), l’Otaria australiana (Neophoca cinerea), l’Otaria della Patagonia (Otaria byronia), l’Otaria di Hooker (Phocarctos hookeri) e il già citato genere Arctocephalus che è di casa nell’emisfero sud.