Rupicapra rupicapra

Famiglia : Bovidae


Testo © Dr. Lucrezia Callocchia

 

ll Camoscio alpino (Rupicapra rupicapra) è frequente in Europa sulle Alpi e con 5 sottospecie sui rilievi montuosi dell’Asia Minore, della Penisola balcanica, dei Carpazi, delle Prealpi della Chartreuse, in Francia, e sui Monti Tatra, al confine tra Polonia e Slovacchia, che segnano il limite di distribuzione settentrionale per la specie

ll Camoscio alpino (Rupicapra rupicapra) è frequente in Europa sulle Alpi e con 5 sottospecie sui rilievi montuosi dell’Asia Minore, della Penisola balcanica, dei Carpazi, delle Prealpi della Chartreuse, in Francia, e sui Monti Tatra, al confine tra Polonia e Slovacchia, che segnano il limite di distribuzione settentrionale per la specie © Cesare Giussani

Il Camoscio alpino, Rupicapra rupicapra (Linnaeus, 1758), è un mammifero appartenente all’ordine Artiodactyla (dal greco artios pari e dactylos dito), alla famiglia Bovidae ed alla sottofamiglia dei Caprini, ossia ungulati di medie dimensioni, abili arrampicatori e ben adattati agli ambienti montani.

Il termine “camoscio” deriva dal latino tardo camox -ōcis e fa riferimento alle doti mimetiche di questo animale ed alle sue capacità di “camuffarsi” nel suo ambiente; d’altro canto, il nome scientifico “rupicapra” deriva dal latino classico “rupes” = roccia, e “capra” = capra, e richiama il forte legame del camoscio con gli ambienti rupestri.

Il mantello invernale scuro che assorbe i raggi solari e le riserve di grasso lo riparano dal freddo. La membrana interdigitale consente un’agile andatura anche su neve fresca © Giorgio Pilla

Il mantello invernale scuro che assorbe i raggi solari e le riserve di grasso lo riparano dal freddo. La membrana interdigitale consente un’agile andatura anche su neve fresca © Giorgio Pilla

Il genere Rupicapra è rappresentato, oltre che dalla specie alpina, anche dal cosiddetto Camoscio dei Pirenei, Rupicapra pyrenaica, di dimensioni leggermente minori, che comprende la sottospecie Rupicapra pyrenaica ornata, endemica dell’Appennino centrale.

Zoogeografia 

Alla specie Rupicapra rupicapra sono attribuite diverse sottospecie la cui determinazione è basata su piccole differenze morfologiche e sulle distribuzioni; tuttavia, la validità tassonomica di queste divisioni è incerta ed è spesso argomento di discussione tra gli esperti.

Nella tormenta, quando non c’è più nulla da brucare, anche un rametto carico di licheni può far comodo

Nella tormenta, quando non c’è più nulla da brucare, anche un rametto carico di licheni può far comodo © Roberto Vallet

Le sottospecie ad oggi riconosciute sono le seguenti:

Rupicapra rupicapra rupicapra, diffusa sull’arco alpino.

Rupicapra rupicapra asiatica, diffusa in Asia Minore, sulle montagne nordorientali del Mar Nero, nelle zone orientali della Turchia e nelle regioni sudoccidentali della Georgia; ha dimensioni minori e manto estivo più chiaro.

I maschi, lunghi anche 140 cm con un’altezza media al garrese di 80 cm, dopo una buona stagione al pascolo possono raggiungere verso la fine di ottobre anche i 45 kg

I maschi, lunghi anche 140 cm con un’altezza media al garrese di 80 cm, dopo una buona stagione al pascolo possono raggiungere verso la fine di ottobre anche i 45 kg © Alberto Olivero

Rupicapra rupicapra balcanica, diffusa nelle zone montuose della Penisola balcanica, probabilmente un po’ più grande del Camoscio alpino, con corna più lunghe e mantello più brunastro in estate e scuro con sfumature giallastre in inverno.

Rupicapra rupicapra carpatica, diffusa sui Carpazi, sembra avere dimensioni maggiori, corna più lunghe e manto più scuro sia in estate che in inverno.

Rupicapra rupicapra cartusiana, con un areale molto limitato sulle Prealpi della Chartreuse, in Francia; ha dimensioni superiori alla media e pelo invernale tendente al nero.

L’habitat si estende su tre piani altitudinali: quello montano, con foreste di conifere e di latifoglie ricche di sottobosco, intervallate da pareti rocciose, canaloni e radure; quello sub-alpino a larici sparsi, pino mugo e cespuglieti e quello alpino contraddistinto da praterie, arbusti nani e zone rocciose fino all’orizzonte nivale di 2600-3000 m

L’habitat si estende su tre piani altitudinali: quello montano, con foreste di conifere e di latifoglie ricche di sottobosco, intervallate da pareti rocciose, canaloni e radure; quello sub-alpino a larici sparsi, pino mugo e cespuglieti e quello alpino contraddistinto da praterie, arbusti nani e zone rocciose fino all’orizzonte nivale di 2600-3000 m © Claude Tacco

Rupicapra rupicapra tatrica, presente sui Monti Tatra, al confine tra Polonia e Slovacchia, rappresenta il limite di distribuzione più settentrionale della specie. Le tracce fossili collocano l’origine zoogeografica di questo genere in Asia sud-occidentale, nel Miocene, e suggeriscono una diffusione verso occidente nel Pleistocene medio-inferiore.

Ad oggi, il Camoscio alpino è distribuito, con diverse densità, nei maggiori sistemi montuosi dell’Europa centro-meridionale e dell’Asia minore.

Un cucciolo osserva le prodezze. I parti, raramente gemellari, avvengono in maggio e il piccolo dopo poche ore è in grado di seguire la madre

Un cucciolo osserva le prodezze. I parti, raramente gemellari, avvengono in maggio e il piccolo dopo poche ore è in grado di seguire la madre © Pourtallier Philippe

In particolare, le occorrenze più significative si registrano nelle Alpi francesi, italiane, svizzere, austriache e bavaresi, nel Liechtenstein, lungo la Catena del Giura, in Slovenia e nei Balcani. Agli inizi del Novecento, a scopo venatorio, è stato introdotto in Nuova Zelanda, dove si è naturalizzato ed ha raggiunto i 100.000 individui.

In Italia, è diffuso più o meno uniformemente lungo tutto l’arco alpino con concentrazioni maggiori nelle province di Trento, Bolzano e Verona (Prealpi Veronesi) ed in Piemonte, regione in cui si stima la presenza del 62% dei camosci alpini italiani. A Sud, il limite dell’areale si trova in Liguria, fino alla provincia di Imperia, con qualche sporadico avvistamento nella provincia di Savona.

Si instaura subito un rapporto speciale che dura fino alla successiva gravidanza

Si instaura subito un rapporto speciale che dura fino alla successiva gravidanza © Enrico Petraglio

La popolazione è attualmente considerata stabile dalla IUCN, pertanto valutata ed inserita nella Red List of Threatened Species come specie A Minor Preoccupazione (LC-Least Concern).

L’attività venatoria nei confronti di questa specie è regolata, in Italia, dal 1992 ed essa è cacciabile solamente secondo le norme della caccia di selezione degli ungulati.

Ecologia-Habitat

Questo, ormai grande, ha ancora bisogno di tenerezza

Questo, ormai grande, ha ancora bisogno di tenerezza © Enrico Petraglio

L’habitat del camoscio può variare in base alla stagione ed alla copertura nevosa e si estende su tre piani altitudinali: quello montano, caratterizzato da foreste di conifere e di latifoglie ricche di sottobosco, intervallate da pareti rocciose, canaloni e radure; il piano sub-alpino con larici sparsi, boscaglie di pino mugo e cespuglieti; il piano alpino contraddistinto da praterie, arbusti nani e zone rocciose, fino all’orizzonte nivale (2600-3000 m) e quindi al limite superiore della vegetazione continua.

Nei mesi più caldi e con copertura nevosa assente, il camoscio tende a frequentare soprattutto praterie d’alta quota e pendii erbosi, aree caratterizzate dalla disponibilità di una ricca varietà di specie vegetali a diversi gradi di maturazione, e trova riparo in aree boschive in caso di temperature troppo elevate.

Per conoscere l’età di un camoscio basta contare gli anelli delle corna che si formano ogni anno in primavera-estate

Per conoscere l’età di un camoscio basta contare gli anelli delle corna che si formano ogni anno in primavera-estate © Enrico Petraglio

Durante l’ultimo periodo di gestazione, ossia intorno al mese di maggio, le femmine gravide si allontanano dal resto del branco per raggiungere pendii rocciosi o pareti a strapiombo, in modo da prepararsi alla fase del parto in luoghi poco accessibili da eventuali predatori.

Nei mesi invernali, con l’arrivo delle prime nevicate, il camoscio tende a scendere di quota e a preferire pendii e pareti accidentate che non permettono alla neve di accumularsi troppo e di coprire tutta la vegetazione disponibile.

È evidente in queste dinamiche il forte legame di questa specie con l’elemento roccioso che, per motivi legati ad alimentazione e possibilità di fuga, diventa determinante nella scelta dell’areale.

Morfofisiologia 

Il Camoscio alpino è un bovide di taglia media, con lunghezza che varia tra i 110 e i 140 cm ed un’altezza media di circa 80 cm al garrese, ovvero la zona corrispondente alle prime vertebre dorsali.

Il dimorfismo sessuale è dato da dimensioni maggiori nel maschio e corporatura più longilinea nella femmina.

Il peso di questo animale va da un minimo di 25 kg nelle femmine ad un massimo di 40-45 kg nei maschi; è molto variabile nel corso dell’anno e raggiunge un massimo nei mesi di ottobre-novembre per l’accumulo di grasso volto a garantire una riserva energetica durante la stagione fredda, mentre il peso minimo, nei maschi, viene raggiunto alla fine del periodo riproduttivo a causa dell’elevato costo energetico dato dalle lotte per la conquista della femmina.

Anche il mantello è soggetto ad una notevole variazione stagionale ed effettua due mute, una in autunno ed una in primavera.

Nei mesi freddi il pelo è più scuro, tendente al nero, in modo da garantire un maggiore assorbimento dei raggi solari, e più folto per permettere un efficiente isolamento termico. In questo periodo risulta molto più marcata la mascherina facciale scura che caratterizza il muso e che si estende dalla base delle corna fino al naso andando a coprire gli occhi.Il resto del capo, il ventre e lo specchio anale sono le uniche zone ad apparire più chiare.

L’agilità con cui si muove tra le rocce gli consente una rapida e spericolata fuga con balzi incredibili in caso di pericolo

L’agilità con cui si muove tra le rocce gli consente una rapida e spericolata fuga con balzi incredibili in caso di pericolo © Emilio Ricci

Intorno al mese di marzo, il manto invernale comincia gradualmente ad essere sostituito da quello estivo caratterizzato da pelo più corto ed ispido e da tonalità bruno-rossicce. Restano più scure le zampe ed una striscia mediana sul dorso, in corrispondenza della colonna vertebrale.

Il carattere più peculiare e distintivo di questa specie è rappresentato dalle corna, diverse da quelle degli altri bovidi. Queste sono nere e si innalzano verticalmente formando alle estremità un uncino rivolto all’indietro; hanno lunghezza media di 20-25 cm e sono presenti in entrambi i sessi con minime differenze come, nel maschio, diametro alla base lievemente maggiore ed angolo di inclinazione dell’uncino minore.

La vista dall’alto stimola la curiosità e consente un ampio controllo di tutta l’area circostante

La vista dall’alto stimola la curiosità e consente un ampio controllo di tutta l’area circostante © Philippe Pourtallier

Queste iniziano a crescere sin dalla nascita ed in modo più rapido nei primi tre anni di vita. Il corno è formato da un astuccio composto da cheratina che ricopre una protuberanza ossea. La crescita avviene in primavera-estate mentre in inverno si interrompe durante la cosiddetta “pausa cornuale” e l’alternarsi di queste due fasi determina la formazione di anelli di accrescimento dai quali è possibile stimare l’età dell’animale.

Dietro alle corna si trovano delle speciali ghiandole deputate a marcare il territorio e la sostanza rilasciata, nei maschi, assume un odore molto più forte nel periodo degli amori, con lo scopo di attrarre e stimolare la femmina all’accoppiamento; per tale motivo queste vengono chiamate “ghiandole della fregola” o “ghiandole dell’amore”.

Diversi adattamenti favoriscono il legame con l’ambiente montano. Lo zoccolo dai bordi affilati permette un solido appiglio anche su piccole sporgenze e pareti quasi verticali

Diversi adattamenti favoriscono il legame con l’ambiente montano. Lo zoccolo dai bordi affilati permette un solido appiglio anche su piccole sporgenze e pareti quasi verticali © Giuseppe Mazza

Il legame inscindibile di questo animale con l’ambiente montano è favorito da particolari adattamenti fisiologici e morfologici, come ad esempio la struttura dello zoccolo con i bordi affilati che permettono l’appiglio anche sulle più piccole sporgenze e sul ghiaccio a cui si aggiunge una membrana interdigitale che consente un’agile andatura anche su neve fresca.

Data la minore pressione di ossigeno presente in alta quota, polmoni più efficienti, cuore di grandi dimensioni ed elevato numero di globuli rossi assicurano, nel camoscio, un’adeguata ossigenazione del sangue.

In assenza di acqua il camoscio si idrata attraverso la rugiada, ma se la disponibilità è abbondante perché non approfittarne?

In assenza di acqua il camoscio si idrata attraverso la rugiada, ma se la disponibilità è abbondante perché non approfittarne? © Philippe Pourtallier

Il camoscio appartiene al sottordine dei Ruminanti, animali il cui stomaco è suddiviso in quattro cavità e che praticano la “ruminazione”: ingeriscono grandi quantità di cibo per poi, con calma, rigurgitarlo all’interno della cavità boccale, rimasticarlo e digerirlo definitivamente.

Tale comportamento è proprio di molte specie erbivore ed è considerato un adattamento evolutivo finalizzato a minimizzare il tempo di esposizione ad eventuali attacchi predatori garantendo tuttavia l’ingestione di adeguate quantità di cibo, che poi saranno digerite in tranquillità nei momenti successivi al pascolo.

I maschi adulti vivono solitari per la maggior parte dell’anno, frequentando ampie aree a quote inferiori rispetto alle femmine. Nel periodo riproduttivo però, tra novembre e dicembre, raggiungono il branco e delimitano un territorio col forte secreto odoroso di ghiandole poste accanto alle corna, per attirare le femmine e scacciare eventuali rivali

I maschi adulti vivono solitari per la maggior parte dell’anno, frequentando ampie aree a quote inferiori rispetto alle femmine. Nel periodo riproduttivo però, tra novembre e dicembre, raggiungono il branco e delimitano un territorio col forte secreto odoroso di ghiandole poste accanto alle corna, per attirare le femmine e scacciare eventuali rivali © Enrico Petraglio

La distribuzione di questa specie è strettamente legata alle sue esigenze alimentari; egli è considerato un pascolatore intermedio che seleziona, in base alle disponibilità stagionali, sia la specie sia la parte della pianta da consumare. In primavera la sua dieta è costituita prevalentemente da germogli ed infiorescenze di graminacee e, con l’arrivo dell’estate, periodo di maggiore rigogliosità vegetale, tende ad integrare diverse specie erbacee come, ad esempio, il trifoglio alpino; in questo periodo si assiste anche ad un incremento della quantità di cibo ingerito con lo scopo di accumulare riserve energetiche in vista della stagione fredda.

In inverno, infatti, il camoscio deve accontentarsi di licheni, muschi, erbe secche e qualche germoglio di conifera che riesce ad individuare scavando nella neve.

Ogni individuo sorveglia il branco. In caso di minaccia emette un fischio acuto e prolungato che mette tutti in allarme. Segue allora una fuga ordinata.

Ogni individuo sorveglia il branco. In caso di minaccia emette un fischio acuto e prolungato che mette tutti in allarme. Segue allora una fuga ordinata © Norbert Bosset

L’acqua, infine, viene assunta attraverso la rugiada o approfittando di qualche fonte.

Etologia-Biologia Riproduttiva

I camosci sono animali gregari, ma questo riguarda principalmente le femmine.

Esse vivono in gruppi di 15-30 individui, composti anche dai piccoli capretti e da alcuni giovani di 2 o 3 anni, guidati dalle femmine più anziane ed esperte. Siamo in presenza, quindi, di una struttura sociale di tipo matriarcale.

Le femmine vivono in gruppi di 15-30 individui, composti anche dai piccoli capretti e da alcuni giovani di 2 o 3 anni, guidati dalle più anziane ed esperte. Si può quindi parlare, periodo riproduttivo a parte con scontri anche violenti fra i maschi che fanno da padroni, di una struttura sociale di tipo matriarcale

Le femmine vivono in gruppi di 15-30 individui, composti anche dai piccoli capretti e da alcuni giovani di 2 o 3 anni, guidati dalle più anziane ed esperte. Si può quindi parlare, periodo riproduttivo a parte con scontri anche violenti fra i maschi che fanno da padroni, di una struttura sociale di tipo matriarcale © Roberto Vallet

I vantaggi di questo comportamento collettivo risiedono sicuramente nella protezione che il gruppo offre al singolo in caso di un eventuale pericolo di predazione.

Perciò, ogni individuo contribuisce a sorvegliare il branco e, se percepisce una minaccia, emette un fischio acuto e prolungato mettendo tutti in allarme.

Se il pericolo si dimostra rilevante, all’allarme segue la fuga: a capo ci sarà una guida, i piccoli si mettono dietro alle loro madri ed i giovani in coda come retroguardia.

La gestazione dura 160-170 giorni e culmina tra la fine di maggio e gli inizi di giugno. L’allattamento si protrae per circa sei mesi

La gestazione dura 160-170 giorni e culmina tra la fine di maggio e gli inizi di giugno. L’allattamento si protrae per circa sei mesi © Philippe Pourtallier

I maschi adulti sono generalmente solitari per la maggior parte dell’anno, mentre si aggregano al branco durante il periodo riproduttivo, ovvero tra novembre e dicembre.

In questo arco di tempo, i maschi più maturi tendono ad allontanare i giovani e ad assumere un atteggiamento territoriale: cercano di trattenere le femmine all’interno di una determinata area definita e marcata sfregando le corna su arbusti e rocce; quasi sempre questo comportamento è sufficiente a tenere gli altri maschi a debita distanza, ma, in caso contrario, specialmente se vi è una sovrapposizione territoriale tra due maschi adulti della stessa età e quindi di grado gerarchico simile, si può arrivare allo scontro fisico.

Un cucciolo, nato da poco, che non ha ancora le corna

Un cucciolo, nato da poco, che non ha ancora le corna © Silvia Busato

Anche per lui c'è latte, nello splendido paesaggio fiorito dei pascoli alpini

Anche per lui c’è latte, nello splendido paesaggio fiorito dei pascoli alpini © Silvia Busato

Se l’accoppiamento va a buon fine, segue una gestazione che dura 160-170 giorni e che culmina tra la fine di maggio e gli inizi di giugno, quando le mamme danno alla luce solitamente un solo capretto, ma possono verificarsi occasionalmente anche parti gemellari.

Il peso alla nascita è di circa 2 chilogrammi ed il piccolo si presenta già completamente sviluppato e con gli occhi aperti. I parti in genere avvengono in sincronia e, dopo pochi giorni, le femmine si riuniscono e formano dei gruppi costituiti da mamme e nuovi nati.

Nei pascoli alpini esse trovano le risorse necessarie a garantire un allattamento ricco e sostanzioso che viene portato avanti per i primi sei mesi circa.

La sottospecie Rupicapra rupicapra balcanica si distingue per le corna più lunghe ed il colore del mantello: più brunastro in estate e scuro con sfumature giallastre d’inverno

La sottospecie Rupicapra rupicapra balcanica si distingue per le corna più lunghe ed il colore del mantello: più brunastro in estate e scuro con sfumature giallastre d’inverno © Boris Belchev

La Rupicapra rupicapra cartusiana ha dimensioni superiori alla media e pelo invernale tendente al nero

La Rupicapra rupicapra cartusiana ha dimensioni superiori alla media e pelo invernale tendente al nero © Ollivier Daeye

Dopo il parto si instaura subito un rapporto speciale tra la mamma e il suo piccolo, il quale, dopo poche ore, già è in grado di seguirla; questo legame durerà circa un anno, fino all’accoppiamento successivo quando verrà allontanato. Se la madre, per qualche ragione, dovesse morire, le altre femmine del gruppo si occuperebbero del piccolo minore di un anno.

Tra i più comuni predatori naturali del camoscio troviamo la volpe, il lupo e rapaci come l’Aquila reale (Aquila chrysaetos) e il Gipeto o Avvoltoio degli agnelli (Gypaetus barbatus). Questi, approfittano dell’inesperienza dei capretti, li attaccano quando attraversano le pareti scoscese cercando di farli cadere nel vuoto. Il primo mangerà la carne e il secondo le ossa.

Sinonimi

Rupicapra tragus Gray, 1843; Capra rupicapra Linnaeus, 1758; Antilope rupicapra (Linnaeus, 1758).

 

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