Callerya atropurpurea

Famiglia : Fabaceae


Testo © Pietro Puccio

 

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La Callerya atropurpurea è un albero del Sud-est asiatico che raggiungere i 35 m d'altezza con una chioma compatta © Giuseppe Mazza

La specie è originaria della Birmania, Cambogia, Giava, Indonesia, Laos, Malaysia Peninsulare, Myanmar, Singapore, Sumatra, Thailandia e Vietnam dove è diffusa nelle foreste tropicali sempreverdi dal livello del mare fino a circa 1200 m di altitudine.

Il genere è dedicato al missionario e botanico italo-francese Giuseppe Callery (1810-1862); il nome specifico è la combinazione degli aggettivi latini “ater, atra, atrum” = scuro, nero e “purpureus, a, um” = purpureo, con riferimento al colore dei fiori.

Nomi comuni: danyinnie, kwe tanyin (Birmania); chica, girah payah, jenerik, merbong, tulang daing (Malaysia); kayu ujau, meribugnan (Sumatra); kasae, yee-ni-keh (Thailandia); mát tím sẫm, thàn mát tía (Vietnam).

La Callerya atropurpurea (Wall.) Schot (1994) è un albero sempreverde dalla chioma compatta alto fino a 35 m con tronco eretto, fino a 45 cm di diametro, dalla corteccia grigiastra, liscia e sottile.

Le foglie sono alterne, impari- pennate, con 7-11 foglioline oblungo-ovali con margine intero e apice ottuso, lunghe 6-15 cm e larghe 2,5-5 cm, coriacee, di colore verde intenso lucido.

Le infiorescenze sono pannocchie terminali compatte, lunghe 12-20 cm, portanti numerosi fiori papilionacei, lunghi circa 2 cm, bisessuali, di colore porpora scuro, con calice campanulato di 0,5 cm di lunghezza, vessillo ellittico, lungo circa 1,3 cm e largo 1 cm, ali e carena lunghi 1-1,4 cm; i fiori emanano un odore piuttosto sgradevole.

È una leguminosa, come s'intuisce subito dalla forma papilionacea dei fiori e dai frutti in crescita © Giuseppe Mazza

È una leguminosa, come s'intuisce subito dalla forma papilionacea dei fiori e dai frutti in crescita © Giuseppe Mazza

I frutti sono legumi da ovati a ellittici, deiscenti, di 8-15 cm di lunghezza e 4-6 cm di larghezza, inizialmente di colore rosso porpora, poi bruno a maturità, contenenti fino a 3 semi lenticolari, di 3-4 cm di diametro e 2-2,5 cm di spessore, anche se spesso ne è presente uno solo di grosse dimensioni, fino a 7 cm di diametro.

Si riproduce per seme in terriccio organico, con aggiunta di sabbia o perlite per un 30% per migliorare il drenaggio, mantenuto umido alla temperatura di 24-26 °C, e per talea.

Albero ornamentale coltivabile nelle zone a clima tropicale e subtropicale umido, non sopportando valori di temperatura prossimi a 0 °C, se non eccezionali e per brevissimo periodo.

Viene spesso utilizzato, in particolare nel sudest asiatico, in parchi e giardini come esemplare isolato o in gruppi come albero da ombra, oltre che nelle alberature stradali.

Richiede una esposizione in pieno sole e suoli ben drenati, ricchi di sostanza organica per crescere al meglio, anche se in natura spesso cresce su suoli poveri, mantenuti pressoché costantemente umidi.

Ha una crescita iniziale piuttosto lenta, poi la sua velocità cresce, specie se aiutato con irrigazioni abbondanti, nei periodi di secco, e regolari concima- zioni.

Il legno, di buona qualità e lunga durata, è utilizzato localmente nelle costruzioni civili, per infissi, pareti e pavimenti, per imbarcazioni, mobili, casse e articoli artigianali.

Semi e radici sono velenosi per la presenza di glicosidi cianogenetici, rami e radici contengono inoltre rotenone, che è un insetticida a largo spettro.

Ombreggia spesso i giardini e le strade dei tropici. Pannocchie terminali compatte di 12-20 cm con numerosi fiori bisessuali di circa 2 cm. Semi e radici sono velenosi © Giuseppe Mazza

Ombreggia spesso i giardini e le strade dei tropici. Pannocchie terminali compatte di 12-20 cm con numerosi fiori bisessuali di circa 2 cm. Semi e radici sono velenosi © Giuseppe Mazza

Sinonimi: Pongamia atropurpurea Wall. (1831); Millettia atropurpurea (Wall.) Benth. (1852); Adinobotrys atropurpurea (Wall.) Dunn (1911); Adinobotrys atropurpureus (Wall.) Dunn (1911); Padbruggea pubescens Craib (1927); Whitfordiodendron atropurpureum Merr. (1934); Whitfordiodendron pubescens (Craib) Burkill (1935).

 

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