Heloderma suspectum

Famiglia : Helodermatidae

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Testo © Prof. Giorgio Venturini

 

Heloderma suspectum, Cope, 1869, il così detto Mostro di Gila o semplicemente Gila, è un grosso rettile della famiglia Helodermatidae, appartenente all’ordine degli Squamata.

Per la sua mole (insieme a Heloderma horridum è il più grande sauro dell’America settentrionale), l’aspetto inconfondibile e la velenosità del suo morso è uno dei rettili più noti al pubblico ed ai frequentatori dei giardini zoologici, di cui è spesso ospite.

Il nome Heloderma si riferisce all’aspetto verrucoso della sua pelle e deriva dal greco helos (ἧλος) “chiodo o verruca” e derma (δέρμα) “pelle”; suspectum (in latino “sospetto”) si riferisce alla velenosità che, ai tempi di E.D.Cope, che descrisse la  specie nel 1869, non era ancora scientificamente accertata. Il nome volgare Mostro di Gila deriva dal fiume Gila, affluente del Rio Colorado, che scorre in una regione un tempo ricca di questi rettili.

La famiglia degli Helodermatidae annovera il solo genere Heloderma, con due specie tradizionalmente riconosciute: Heloderma suspectum (con due sottospecie Heloderma suspectum cinctum Bogert & Martín del Campo,1956 e Heloderma suspectum suspectum Cope, 1869 ) e Heloderma horridum (con quattro sottospecie). Secondo una revisione più moderna, basata soprattutto sulla analisi delle sequenze nucleotidiche del DNA, le sottospecie di Heloderma horridum sono state da alcuni autori elevate al rango di specie.

Questa famiglia ha un’origine assai antica, infatti suoi membri fossili, come Estesia e Paraderma risalgono a quasi 70 milioni di anni or sono, cioè al Cretacico, mentre il genere Heloderma era già comparso nel Miocene, oltre 20 milioni di anni fa, con Heloderma texana.

La morfologia dei denti e del cranio degli helodermatidi fossili suggeriscono che già nel cretacico questi rettili fossero dotati di un morso velenoso simile a quello del moderno Gila. Anche se Heloderma suspectum e Heloderma horridum (con le loro sottospecie o specie affini) hanno morfologia ed ecologia assai simili, analisi filogenetiche hanno dimostrato la divergenza evolutiva tra queste specie risale a tempi molto remoti, stimati in circa 30 milioni di anni.

L’Heloderma suspectum deve il nome specifico al fatto che nel 1869 si sospettava fosse velenoso. Il corpo tozzo può superare i 50 cm, con colori e borchie mimetiche inconfondibili che ricordano la pericolosità del morso agli importuni © Giuseppe Mazza

Heloderma suspectum ha l’aspetto di una grossa e tozza lucertola, che può superare la lunghezza di 50 cm, dotata di una testa grande e appiattita e di mandibole potenti, zampe corte con dita armate di robusti artigli, e di una grossa coda. La pelle è rivestita di squame e, sul del dorso ed i fianchi, presenta delle evidenti protuberanze, dovute alla presenza nel derma di formazioni ossee, gli osteodermi, che ricordano alle scaglie ossee del tegumento dei coccodrilli, e che giustificano la denominazione del genere. Gli osteodermi nella zona cefalica sono saldati alle ossa craniche.

La colorazione della pelle è un curioso mosaico di nero, rosa, giallo, arancione e crema, che fornisce un certo camuffamento nella vegetazione irregolare degli ambienti semi desertici che rappresentano l’habitat di questa specie. È anche possibile che la livrea caratteristica sia un allarme aposematico che segnala ai potenziali predatori la velenosità del morso di questo rettile (si definiscono aposematiche quelle colorazioni spesso vistose, proprie di animali velenosi, pericolosi o non commestibili perché disgustosi, che hanno la funzione di scoraggiare un eventuale aggressore. Tipico esempio è la livrea delle vespe o delle api).

Esemplari in cattività, alimentati regolarmente, possono raggiungere un peso di circa 1200 g, mentre i neonati pesano 30-40 g. Gli animali selvatici hanno in genere in peso inferiore perché, con una alimentazione meno regolare, hanno minori possibilità di accumulare grasso di riserva.

La coda rappresenta la principale sede di accumulo di grassi e dopo un pasto, per qualche giorno, il suo diametro è visibilmente maggiore della norma. In questa specie non si verifica la autotomia della coda, comune invece accade con le lucertole. Se, in seguito a un trauma la coda viene amputata non è in grado di essere rigenerata.

La bocca è grande ed il morso è potente, grazie alla forte muscolatura, e riesce a schiacciare la testa di piccoli roditori. La lingua, di colore scuro e biforcuta, è molto flessibile ed estroflettibile e viene utilizzata per aiutare lo spostamento del cibo verso la gola, per bere, per leccare il contenuto delle uova schiacciate e per pulire l’esterno della bocca. La lingua gioca inoltre un ruolo essenziale nel senso dell’olfatto, dal momento che quando viene estroflessa cattura con la saliva che la bagna le molecole odorose, per poi trasportarle all’organo olfattorio di Jacobson, posto sulla volta del palato.

L’orecchio è protetto all’esterno da una membrana. Gli occhi hanno la pupilla rotonda e due palpebre mobili, oltre ad una terza palpebra trasparente, la membrana nittitante, che ha il ruolo di proteggere e umidificare la cornea. La comparsa di grossi oggetti mobili nel campo visivo provoca l’emissione di un verso sibilante. Su ambo i lati della mascella inferiore sono presenti le ghiandole del veleno, delle ghiandole salivari modificate formate da 3 o 4 lobi. Da ogni lobo si diparte un condotto che porta il veleno verso le gengive e ai solchi presenti sulla superficie anteriore dei denti. Il veleno ha un odore caratteristico, ben percepibile quando l’animale si prepara a mordere. Le ghiandole sono ben visibili all’esterno, sotto forma di evidenti rigonfiamenti sotto il labbro inferiore.

I denti, lunghi fino a 5 mm, sono acuminati e presentano un solco longitudinale lungo il quale scorre il veleno, la base è appiattita e rugosa e ogni dente è strettamente ancorato alle ossa delle mascelle da un tessuto connettivo fibroso (dentatura pleurodonte). I denti vengono periodicamente sostituiti con un ciclo a ondate successive: vengono sostituiti contemporaneamente il primo, il quarto e il settimo dente, poi il secondo, quinto e ottavo e così di seguito. Se un dente si rompe accidentalmente per essere rimpiazzato dovrà attendere il suo turno ciclico. Il rinnovamento dei denti continua per tutta la vita. I polmoni sono fortemente espandibili: questa proprietà, oltre a permettere una frequenza ridotta degli atti respiratori, viene sfruttata dall’animale per gonfiare il torace allo scopo di aumentare le dimensioni corporee per intimidire eventuali avversari.

Heloderma suspectum è presente nella zona sud-occidentale degli Stati Uniti d’America, ed in particolare in Arizona, New Mexico, Utah, California, Nevada, e in Messico (Sinaloa e Sonora). Il suo habitat caratteristico è quello degli arbusteti, zone semidesertiche con vegetazione a succulente e foreste aride: in questi ambienti ha le sue tane scavate, nel terreno o sotto delle rocce, dove comunque sia facile l’accesso all’acqua.

Vive nella zona sud-occidentale Stati Uniti (Arizona, New Mexico, Utah, California, Nevada) ed in Messico (Sinaloa e Sonora) spesso in località semidesertiche dove sopporta anche i 44 °C. Si protegge dalla disidratazione passando quasi il 90% del tempo in tane o ripari ombrosi. La pelle è praticamente impermeabile per ridurre le perdite d’acqua © Giuseppe Mazza

Vista la aridità degli ambienti che frequenta, per proteggersi dalla disidratazione questo animale trascorre quasi il 90% del tempo nei suoi ripari ombrosi e periodicamente si trasferisce in un rifugio diverso alla ricerca di un microclima ottimale. La pelle inoltre è praticamente impermeabile e la perdita di acqua si verifica soltanto attraverso la cloaca.

Nei periodi più caldi l’ Heloderma suspectum lascia di rado il suo rifugio, e si dedica alla caccia soltanto quando la temperatura ambiente gli permette di mantenere la temperatura corporea tra i 25-30 °C, anche se le femmine gravide prediligono temperature leggermente superiori. Viste le esigenze termiche questi animali sono attivi soprattutto nelle ore meno calde del mattino o nelle notti tiepide. Alcuni individui sono rimasti in stato di dormienza nei loro rifugi sotterranei per diversi anni in occasione di un periodo di eccezionale siccità. Tra un pasto e l’altro possono trascorrere moltissimi giorni o anche alcuni mesi, per questo si affida ai cospicui depositi di grasso corporeo che sono localizzati soprattutto nella coda e intorno ai reni. Questi animali riescono a sopravvivere a brevi esposizioni a temperature molto basse, fino a 3-4 °C sotto lo zero e a un massimo di 44 °C.

I Gila sono attivi per tutto l’anno, anche se con differenze nelle diverse stagioni. In primavera e in autunno l’attività si svolge soprattutto nella tarda mattinata e nel tardo pomeriggio, mentre in estate gli animali sono più attivi nelle ore più fresche del primo mattino o della sera e talvolta anche di notte. Nei periodi più freddi la attività è molto limitata e concentrata nelle ore più calde. Anche se il tempo trascorso all’aperto sembra in genere dedicato principalmente alla caccia o alla ricerca di un partner per l’accoppiamento, nei periodi più umidi  gli animali  sono molto attivi e si spostano senza apparentemente  ricercare delle prede o un compagno.  Secondo una tradizione di alcune popolazioni native una attività particolarmente intensa di questi animali preannuncia un inverno lungo e freddo.

Alimentazione

L’Heloderma suspectum può nutrirsi di una notevole una varietà di prede, come piccoli mammiferi, uccelli, rettili e alcuni invertebrati vermi e insetti, ma preferenzialmente attacca i nidi di uccelli o di altri rettili, dove divora i piccoli e soprattutto le uova. Le zampe robuste, soprattutto quelle anteriori, e dotate di artigli forti e appuntiti, permettono all’animale di scavare agevolmente il terreno alla ricerca di prede e di arrampicarsi sugli alberi per raggiungere i nidi di uccelli. Le uova più piccole vengono prese in bocca e rotte con i denti anteriori, quindi spostate più all’interno della bocca dove saranno completamente frantumate. Nel caso di uova più grandi invece, dopo aver spezzato il guscio con i denti anteriori, l’animale lecca il contenuto con la lingua.

La testa, grande e appiattita, ha mandibole potenti che non lasciano la presa mentre il veleno cola fra i denti. A differenza dei serpenti, proviene da vistose ghiandole poste alla base della mascella inferiore. La lingua biforcuta scura, molto flessibile, serve per nutrirsi, pulire le labbra e bere. Trasporta inoltre con la saliva le molecole odorose all’organo olfattorio di Jacobson, posto sulla volta del palato © Giuseppe Mazza

Il Mostro di Gila riesce ad inghiottire anche prede di notevoli dimensioni, se comparate con la sua taglia, ed è stato osservato un esemplare che inghiottiva un piccolo di coniglio il cui peso era circa un terzo di quello del predatore.

L’home range di questa specie può superare in alcuni casi i 50 ettari e non è difficile che alcuni esemplari si spostino per oltre 1,5 km in una giornata.

Per la ricerca delle prede l’Heloderma si affida soprattutto all’olfatto e all’udito. L’animale è molto sensibile alle vibrazioni del suolo che  gli segnalano la presenza di nidi con dei neonati anche se nascosti nel sottosuolo o tra la vegetazione. Questi rettili sono in grado di ingerire in un solo pasto una quantità di cibo pari al 50% del loro peso corporeo.

Tre o quattro pasti abbondanti consumati durante una primavera gli forniscono riserve energetiche sufficienti per tutto l’anno.

Il veleno del Mostro di Gila

La velenosità dei membri del genere Heloderma è oggi riconosciuta e ben descritta, anche se fino a un passato relativamente recente è stata oggetto di discussione. Lo stesso Edward Drinker Cope, lo studioso che descrisse la specie nel 1869, era incerto se considerarla velenosa al punto che la battezzò suspectum : sospetto di velenosità.

Negli anni successivi gli esperimenti condotti sulla saliva e sul morso del Gila diedero risultati contrastanti e soltanto nel 1883 la velenosità venne dimostrata definitivamente.

È possibile che i risultati contrastanti degli esperimenti sulla tossicità della saliva fossero dovuti al fatto che, nella ghiandola salivare, le parti che producono il veleno sono distinte da quelle che producono la normale saliva e che quindi gli sperimentatori estraessero in alcuni casi il veleno ed in altri della saliva innocua. La reale pericolosità del morso per l’uomo è stata spesso esagerata. Nei racconti dei pionieri del West si parla di Mostri di Gila di dimensioni straordinarie, pesanti fino a 15 kg, il cui morso risultava rapidamente letale per l’uomo e perfino il cui alito era velenosissimo.

In realtà la saliva di Heloderma contiene numerose tossine e, come tossicità, può essere paragonata a quella dei serpenti a sonagli, ma la quantità relativamente modesta che viene inoculata e le caratteristiche dei denti e del meccanismo di inoculazione del veleno, fanno si che il morso non risulti in realtà letale per l’uomo, se non in casi eccezionali. Si deve anche ricordare che il Gila è un animale dai movimenti lenti e non aggressivo: nella maggior parte dei casi i morsi riguardano persone che maneggiavano incautamente degli esemplari mantenuti in cattività. I casi più gravi riguardano morsi inflitti non alle dita, come nei casi più comuni, ma all’addome o al collo: si ricorda in particolare il caso di una giovane donna che aveva nascosto un Gila sotto i vestiti, forse per uno scherzo, ed era stata morsa all’addome. I soccorritori per poter allentare il morso dovettero tagliare la testa dell’animale e la donna, ricoverata in ospedale con forti dolori, vomito e diarrea profusa, in stato di shock ipotensivo, rimase sotto terapia intensiva per tre giorni.

Non si hanno notizie recenti confermate con certezza di decessi umani avvenuti in seguito al morso del Gila, e i casi riferiti nel passato sono probabilmente da imputarsi a maldestri tentativi di interventi terapeutici o a cattiva informazione. Una rassegna delle notizie giornalistiche sull’esito di morsi di Heloderma conclude addirittura che, tra il 1880 e il 1956, su 136 casi 36 ebbero esito mortale. Rassegne più recenti, che hanno analizzato notizie provenienti da fonti verificabili, non riportano esiti mortali e suggeriscono invece che il morso non sia letale per l’uomo se non eccezionalmente.

Il morso in realtà risulta estremamente doloroso, forse più di quello di qualsiasi serpente, compare edema della parte colpita, e insorgono debolezza, febbre e rapida diminuzione della pressione sanguigna, che nei casi più gravi può portare ad uno shock. Può comparire tachicardia, e in qualche caso sono insorti infarti miocardici. Alcune persone hanno anche manifestato difficoltà respiratorie. Il sanguinamento della ferità può essere notevole, non per effetto del veleno ma per le lacerazioni provocate dai denti.

Vista la grande eterogeneità delle sostanze tossiche presenti nella saliva non risulta possibile produrre un siero antiveleno idoneo. Il trattamento del morso di questi animali è quindi soltanto quello sintomatico di sostegno.

Lo scheletro del capo mostra gli osteodermi che formano le borchie, qui saldati alle ossa craniche. I denti acuminati, lunghi 5 mm, si rinnovano a vita, indipendentemente dall’usura, seguendo uno schema preciso © Dr. med. vet. Laube

Al contrario di quanto avviene nei serpenti velenosi, il cui veleno è prodotto da ghiandole salivari localizzate nella mascella superiore, le ghiandole velenifere del Mostro di Gila sono poste nella mascella inferiore e i condotti veleniferi trasportano il secreto verso le gengive da dove, per capillarità, raggiunge i denti.  Le ghiandole velenifere sono visibili dall’esterno come un grosso rigonfiamento sotto la parte posteriore del labbro inferiore. Mancando una muscolatura capace di iniettare a forza il veleno, al momento del morso, i movimenti di masticazione comprimono le gengive e il veleno può scorrere lungo i denti grazie ai solchi presenti sulla loro superficie. Dal momento che il Gila dopo aver inflitto un morso difficilmente lascia la presa, il veleno ha maggiore possibilità di fluire nella ferita. Se non si interviene, il Gila mantiene le mascelle serrate a lungo e talvolta non rilascia la parte colpita per alcune ore.

Gli appartenenti al genere Heloderma  sembrano essere resistenti al loro stesso veleno o a quello di altri individui della stessa specie. Il loro veleno contiene una miscela complessa di sostanze, alcune delle quali sono simili a quelle presenti nel veleno di molti serpenti, tra cui la ialuronidasi, la fosfolipasi A2, e la serotonina. L’enzima ialuronidasi catalizza la demolizione dell’acido ialuronico, molecola che determina la viscosità dei nostri tessuti connettivi: in questo modo aumenta la loro permeabilità e facilita la diffusione del veleno nel nostro organismo, oltre a contribuire alla produzione di edema. La fosfolipasi A2 ha effetti molteplici, provocando danni alle membrane cellulari, provocando un blocco della trasmissione neuromuscolare e rilasciando molecole pro-infiammatorie. La serotonina è un neurotrasmettitore che ha effetti sulla muscolatura liscia, provoca vasodilatazione e agisce come mediatore infiammatorio. La saliva contiene inoltre numerosi peptidi e proteine tra cui ricordiamo:

– Fattore di Crescita Nervoso (NGF), molecola presente anche nel veleno di molti serpenti che stimola la crescita dei nervi ma che anche contribuisce in modo importante alla azione infiammatoria.

– Elotermina, che provoca letargia, paralisi della muscolatura liscia e ipotermia. Può risultare letale se iniettato negli animali.

– Tossine kallikreina-simili: Gilatossina, Horridum toxin (presente nel veleno di Heloderma horridum, incerta la presenza in Heloderma suspectum), Elodermatina e inoltre una tossina letale ancora priva di nome. Queste sostanze sono le principali responsabili del forte dolore percepito in seguito al morso, provocano edema, ipotensione, emorragie interne, in alcuni casi paralisi muscolare e neurotossicità. Sono tossine potenzialmente letali.

Oltre a queste sostanze tossiche, sono state individuate nella saliva altre molecole e in particolare le exendine, che hanno attirato un grandissimo interesse per le loro funzioni fisiologiche e per le applicazioni farmacologiche. L’Heloderma suspectum, che mangia in genere 3 o 4 volte per anno, è in grado di sopportare periodi di digiuno molto prolungati. Le basi fisiologiche di questa notevole capacità sono probabilmente da individuare nella presenza nella saliva di sostanze dette exendine, che rallentano la digestione e l’assorbimento dei cibi. Il termine exendina si riferisce al fatto che si tratta di molecole prodotte da una ghiandola esocrina come la salivare (in inglese exocrinous), che regolano delle funzioni endocrine come quelle del pancreas. Di particolare interesse è l’exendina-4: Questo peptide ha notevole somiglianza con il GLP-1 umano (glucagon-like peptide-1), un ormone che aumenta la produzione di insulina quando i livelli di glucosio ematico sono elevati. L’exendina-4 è più potente del GLP-1 umano nei suoi effetti sulla produzione di insulina, diminuisce la produzione di glucagone (ormone che, almeno per alcuni aspetti, ha una funzione contraria quella dell’insulina), rallenta lo svuotamento gastrico ed inoltre la sua azione è di durata molto maggiore di quella dell’ormone umano, essendo resistente alla degradazione enzimatica.

Schiusa d’uova d’Heloderma suspectum in incubatrice. Il veleno del Mostro di Gila è oggi oggetto di promettenti studi medici per varie patologie © J. Schwandt – Heloderma.net

A partire dal 2005 è stata introdotta nella terapia del diabete di tipo II una forma sintetica dell’exendina-4, con il nome di Exenatide o Byetta, che risulta efficace nei pazienti che non rispondono ai tradizionali trattamenti orali.

Una delle exendine, la exendina-2 o elodermina, sta attirando molta attenzione in quanto, in base a recenti studi, risulta in grado di inibire, almeno in vitro, la proliferazione delle cellule di alcuni tumori polmonari.

Un’altra molecola di notevole interesse estratta dalla saliva del Mostro di Gila è la Gilatide, un peptide derivato della exendina-4, che, in base a esperimenti condotti sul topo, è in grado di migliorare in modo assai notevole le capacità di apprendimento e la memoria. Attualmente sono in studio le possibili utilizzazioni di questa molecola nel trattamento di pazienti affetti da disturbi della memoria, come ad esempio quelli associati alla malattia di Alzheimer.

A prescindere dalla utilizzazione terapeutica di questa molecola è interessante chiedersi quale possa essere il significato funzionale della presenza di una sostanza che stimola la memoria nel veleno di un Heloderma. Si potrebbe pensare che la associazione di una tossina che produce un dolore lancinante con una sostanza che aumenta la memoria di questa esperienza potrebbe essere una formula molto efficace nella difesa contro gli aggressori.

Un argomento oggetto di discussione è quello che riguarda il significato adattativo del veleno di Heloderma: come per tutti i veleni animali la funzione primaria può essere difensiva nei confronti di un aggressore oppure offensiva, mirata cioè a uccidere o paralizzare una preda ed eventualmente pre-digerirla. Nel caso dei serpenti velenosi, il morso velenoso svolge prevalentemente queste funzioni offensive, permettendo all’animale di cacciare prede veloci, pericolose e spesso di grandi dimensioni. Nel caso del Gila, che si nutre prevalentemente di uova o di nidiacei e occasionalmente di piccoli vertebrati, di taglia sempre minore a quella del predatore e che non richiedono di essere paralizzati o uccisi rapidamente, sembra probabile che la funzione primaria del veleno debba essere quella difensiva. La funzione di predigestione sembra poter essere esclusa dal momento che nessuna delle tossine del Gila è in grado di digerire in modo apprezzabile una preda prima dell’ingestione.

Gli effetti del morso dell’Heloderma, cioè la rapida comparsa di un dolore fortissimo nel punto colpito, che rapidamente si estende ad altre parti del corpo, edema (gonfiore), nausea, vomito e ipotensione sembrano invece favorire l’ipotesi del ruolo difensivo e anche deterrente. Questa ipotesi è anche sostenuta dall’osservazione che i morsi sono spesso preceduti da comportamenti minacciosi, consistenti nello spalancamento della bocca e dall’emissione di suoni sibilanti.

L’Heloderma suspectum passa la maggior parte del suo tempo nascosto in rifugi che lo proteggono dai predatori, ma quando si muove alla ricerca di prede o di un partner per l’accoppiamento, per la sua lentezza e la livrea scarsamente mimetica diviene facile bersaglio dei predatori, in particolare uccelli rapaci e coyote cui difficilmente può sfuggire. In queste condizioni la velenosità del suo morso diviene uno strumento essenziale per la sopravvivenza, sia perché il predatore che lo aggredisce risentirà dei rapidi effetti del morso avvelenato e interromperà l’attacco, sia perché predatori che abbiano in passato sperimentato questi effetti probabilmente lo eviteranno.

Ci si può chiedere perché, tra tanti sauri, soltanto gli elodermi abbiano evoluto un meccanismo difensivo basato sul veleno. In primo luogo si deve ricordare che, al contrario dei Gila, la maggior parte delle lucertole è in grado di sottrarsi agli aggressori con una fuga velocissima, ma si deve anche sottolineare che la produzione di saliva velenosa in questo tipo di animali è molto più diffusa di quanto generalmente si ritenga. Il caso meglio noto è quello del Drago di Komodo (Varanus komodoensis), il cui morso è realmente velenoso (e non soltanto pericoloso come fonte di infezioni, come un tempo si credeva), ma anche altri varani e alcune iguane sono in grado di produrre saliva velenosa.

Riproduzione

Non è nota la durata della vita di questi animali in libertà, in cattività vivono in genere fino a 20 o più anni, con una durata massima registrata di 36 anni.

Gli Heloderma suspectum hanno 36 cromosomi, la femmina presenta cromosomi sessuali ZW, mentre il maschio ha cromosomi sessuali ZZ. Il loro accoppiamento allo stato selvatico non è mai stato osservato, di conseguenza tutte le descrizioni si riferiscono a esemplari in cattività. I Gila divengono sessualmente attivi nel terzo-quarto anno di vita, quando raggiungono una lunghezza corporea totale di circa 22-24 cm, con riproduzione in genere ad anni alternati. L’accoppiamento si verifica in primavera, quando il cibo è più abbondante, in questo periodo si verificano combattimenti tra maschi, in genere soltanto rituali, per l’accesso alla femmina. Talvolta la femmina accetta la copula soltanto dopo un corteggiamento che può durare anche due ore, nel corso del quale può anche mordere il maschio.

L’Heloderma suspectum può percorrere anche 1,5 km al giorno in cerca di cibo. Le zampe anteriori, robuste e con forti artigli, gli permettono di scavare e arrampicarsi sugli alberi a caccia di nidiacei. Attacca tutto quello che riesce a trovare: piccoli mammiferi, uccelli, rettili ed invertebrati, con una predilezione per le uova. È predato a sua volta dagli uccelli rapaci e dal coyote, cui difficilmente può sfuggire, ed è oggi minacciato dalla perdita dell’habitat e dall’insulsa cattura per terrari domestici © Giuseppe Mazza

Per l’accoppiamento i maschi espongono i loro emipeni, poi pongono una zampa posteriore intorno alla pelvi della femmina e fanno combaciare la loro cloaca con quella della femmina, per poter introdurre uno degli emipeni. Lo sperma scorre lungo l’emipene e passa negli ovidutti per raggiungere le uova e fertilizzarle. La copulazione dura circa due ore.

Entro 4-6 settimane dopo la fertilizzazione, l’uovo viene avvolto dai i rivestimenti accessori come l’albume e il guscio, non rigido, e infine deposto. La femmina depone le uova in genere in un rifugio sotterraneo e per qualche giorno rimane a sorvegliarle. L’incubazione si protrae per circa 5 mesi. Tra luglio e agosto, vengono deposte tra 2 e 12 uova (in media 6). Dal momento che in genere i piccoli escono dai nidi tra la fine di aprile e l’inizio di giugno, è possibile che le uova si schiudano soltanto in primavera, oppure che si schiudano in autunno e che i piccoli rimangano nei nidi fino alla successiva primavera. Questa ultima ipotesi è sostenuta dal ritrovamento in Arizona, alla fine del mese di ottobre, durante dei lavori di scavo per edilizia, di un nido di Gila contenente 5 piccoli che stavano sgusciando dall’uovo.

Nelle fasi finali dello sviluppo inizia a sporgere dalla mascella superiore il “dente dell’uovo” che verrà utilizzato al momento della schiusa per rompere il guscio. I neonati, che pesano circa 30-35 grammi e sono lunghi circa 15 cm, sono delle copie in miniatura dei genitori e sono subito attivi e dotati di veleno.

Rapporti con l’uomo

L’Heloderma suspectum è spesso rappresentato nei petroglifi degli indigeni delle regioni sud-occidentali degli attuali Stati Uniti d’America e nelle ceramiche dipinte dell’antico Messico.

Questi animali sono raramente oggetto di caccia da parte delle popolazioni native, dal momento che la loro pelle, a causa della presenza degli osteodermi, non è utilizzabile per produrre manufatti e la loro carne è tradizionalmente, anche se erroneamente, spesso ritenuta velenosa. In realtà sembra che alcune popolazioni come i Diegueño (o Kumeyaay), una tribù di nativi stanziata tra California meridionale e Messico lo mangiassero e usassero la sua saliva per avvelenare le frecce.

Negli anni più recenti sia il Mostro di Gila che l’Heloderma horridum sono spesso mantenuti in terrari come animali domestici, non ostante la loro possibile pericolosità e gli alti costi sul mercato. Questo fenomeno può rappresentare un pericolo per la conservazione della specie, la cui popolazione selvatica è in rapido declino sia per la caccia illegale a scopi commerciali che per la perdita dell’habitat.

 

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