Koala: esce dalla tasca … e bacia la madre

Si è diffusa fra questi animali una terribile infezione, che fra l’altro rende sterili le femmine. Mentre si cerca un vaccino efficace, il contagio si diffonde. Sensazionale sequenza della seconda nascita di un koala che esce dal marsupio e bacia la madre.

 

jpg_koa1.jpg

jpg_koa2.jpg

jpg_koa3.jpg

jpg_koa4.jpg

jpg_koa5.jpg

jpg_koa6.jpg

jpg_koa7.jpg

jpg_koa8.jpg

jpg_koa9.jpg

jpg_koa10.jpg

jpg_koa11.jpg

jpg_koa12.jpg

jpg_koa13.jpg

jpg_koa14.jpg

jpg_koa15.jpg

jpg_koa16.jpg

jpg_koa17.jpg

jpg_koa18.jpg

jpg_koa19.jpg

jpg_koa20.jpg

jpg_koa21.jpg

PEPPINO.gif
Testo © Giuseppe Mazza

 

“Attenta, forse è un serpente!” grido a Roberta, la studentessa in biologia che mi accompagna nel viaggio.

Afferro l’Hasselblad mentre qualcosa si muove ai piedi di un gigantesco “Blackboy” (Xanthorrhoea sp.), la “pianta erba” centenaria che ha attratto la nostra attenzione per le candide infiorescenze cilindriche, lunghe due metri.

Siamo in Australia, ai margini del Lamington National Park, non lontano da Brisbane, nel Queensland, in una foresta d’eucalipti spezzata dai lucidi tornanti di una strada asfaltata che sale fin oltre i 1000 m, verso il monte Tamborine. Sette anni fa era poco più di una mulattiera, e portava, fra mille sobbalzi, a un piccolo rifugio nella foresta pluviale. Oggi, a tratti, sembra un’autostrada, e il rifugio è diventato un albergo quasi snob : prezzi quadruplicati, camere prenotate con mesi d’anticipo, pullman con scritte di giri organizzati, e frettolosi turisti d’oltre oceano che giungono di continuo dalla capitale.

Al passaggio dell’ennesimo convoglio rombante, il nostro “serpente” ha un sussulto. Si vede del pelo e pensiamo subito a un coniglio, che però, stranamente, non scappa. Roberta mi fa notare delle macchie di sangue sull’erba, e più in là, al suolo, troviamo un koala (Phascolarctos cinereus) morente.

È cieco, ma può ancora sentirci: solleva a stento il capo, come per guardarci, e spalanca un’occhio sanguinante da far paura. L’altro, da tempo, è ormai incollato dal pus. Si tratta di Chlamydia, una malattia epidemica che attacca anche l’uomo. Sarebbe pietoso ucciderlo, ma non ci sentiamo di farlo, e dopo aver lasciato sulla strada un punto di riferimento, cerchiamo la più vicina stazione dei rangers.

È proprio davanti al nostro albergo. Un grande parcheggio, rubato alla foresta, fronteggia la nuova ala del lodge, mentre numerose cameriere, in divisa, rimpinzano i ricchi turisti della terza età.

La foresta, per fortuna, sembra la stessa, anche se gli incerti sentieri di un tempo vantano gradini, piazzette per barbecue e patetiche panchine da ” giardini pubblici “, difese eroicamente dagli attacchi dell’umidità e delle piante. Eleganti cartelli, da far invidia agli svizzeri, indicano le distanze e le gite d’obbligo : “Laghetto blu”, “Cascate Morans”, “Rocca dei pitoni” e persino “Giro dei pensionati”.

Finalmente troviamo un ranger : ” tacchina ” con le turiste americane che offrono dolci ai pappagalli cremisi (Platycercus elegans) della foresta, e sorseggia, fra i rutti mal repressi d’un generoso pasto, una tazza di tè.

“Koala morente di Chlamydia lungo la strada ?”, ripete, “Si, si, sappiamo, ce ne sono molti”, e consiglia di correre a mangiare perchè sono quasi le due e rischiamo di perdere il turno.

“Verrò poi per farmi spiegare il posto”, conclude rassicurandoci, ma non lo vedremo più.

Roberta non parla, stenta come me a mandar giù i bocconi. Scaricati i bagagli, torniamo dal koala, che nel frattempo è morto. L’occhio sanguinante si è chiuso per sempre, ed una macchia di pus bianco, fra i peli, segna la fine della malattia.

Il giorno dopo siamo all’università di Brisbane, dal Prof. Frank Carrick, responsabile di un vasto programma di ricerche in merito. Il nostro racconto non lo stupisce.

Il degrado dell’ambiente, ci spiega, è la causa principale della Chlamydia. Tutte le epidemie che hanno colpito i koala nel 1890, 1920 e 1930 sono strettamente correlate all’ “habitat alienation” : case, strade, industrie e insediamenti umani.

I koala sono animali molto sensibili che sopportano abbastanza bene gli “stress acuti”, un cane che abbaia sotto il loro albero, per esempio, ma non gli “stress cronici “, come il via vai, i gas di scarico e il baccano del turismo di massa.

Ma allora, lo interrompo, come fanno a posare in braccio ai turisti per le classiche foto ricordo ?

Quelli, continua, sono dei koala a parte, nati in cattività da generazioni, e abituati, fin dalla nascita, alla presenza dell’uomo. Considerano ormai normali i maneggiamenti e non si stressano più. Ma in natura, dove i koala sono spesso dei portatori sani, in un continuo, difficile equilibrio con numerosi parassiti, basta un niente e muoiono.

Ma esattamente, chiedo, che cos’è la Chlamydia?

Non è un virus, come molti credono, ma un batterio piccolissimo che, come i virus, passa la maggior parte della propria vita nelle cellule dell’ospite.

Esistono poi due specie : la Chlamydia trachomatis e la Chlamydia psittaci. La prima, tipica dell’uomo, presenta almeno una dozzina d’immunotipi, provoca artriti, congiuntiviti ed è la pricipale causa di sterilità fra le donne. Almeno 500 milioni di persone ne sono affette, e soprattutto in Asia ed Africa è all’origine di numerose cecità (Trachoma). Gli animali sono portatori della Chlamydia psittaci che può eccezionalmente contagiare anche l’uomo.

Si tratta della famosa “psittacosi”, commento pensando alla malattia polmonare che si prende dai pappagalli, dai piccioni e in genere dagli uccelli tenuti in cattive condizioni igieniche.

Certo, ma attacca anche i bovini e le pecore, provocando aborti e gravi artriti. Almeno due varietà di psittaci colpiscono poi gli occhi e l’apparato urogenitale dei koala.

E possono infettare anche l’uomo ?

Teoricamente si, ma non esistono in pratica casi riportati. Io maneggio di continuo animali malati e non ho mai preso nulla. Sono parassiti estremamente specifici, tanto che la forma che rende ciechi i koala non attacca le loro vie genitali, e quella che li rende sterili non colpisce gli occhi.

Mi mostra una cartina, con la diffusione del morbo nei vari stati australiani. In pratica non esistono popolazioni indenni e il dilagare della sterilità è impressionante.

Ad un esame radiografico su 237 femmine adulte, il 43 % risultano sterili, con punte, in alcune zone, del 75 % e del 100 %. Un dato allarmante se si pensa all’esiguità delle popolazioni attuali, dopo le stragi operate dall’uomo nei primi decenni del secolo, quando sul mercato di Londra si vendevano anche due milioni di pelli di koala all’anno come “Cincillà d’Adelaide” o “Castoro d’Australia”.

Ma potrebbero estinguersi? chiedo preoccupato, e quanti sono, oggi, i koala esistenti?

Per quanto sembri incredibile, continua il Prof. Frank Carrick, su un animale tanto popolare come il koala, il simbolo stesso dell’Australia, non si sa ancora quasi niente.

Se lei mi dice che oggi in tutta l’Australia ci sono 10.000 koala, le rispondo che mi sembrano un po’ pochi, ma che probabilmente ha ragione; se mi dice che sono 10.000.000, le dirò che mi sembrano troppi, ma che potrebbe anche aver ragione. Il numero, comunque, è in continuo, netto declino.

E non fate nulla?

Il governo ha creato un comitato di ricerca, cui partecipo, per formulare leggi utili alla sopravvivenza di questo raro, veramente unico marsupiale. Da circa otto anni stiamo compiendo seri studi sulla consistenza numerica delle varie popolazioni, sulla loro struttura sociale, i movimenti, l’alimentazione e la Chlamydia.

Molte credenze del passato, come il fatto che non bevono, non si muovono mai, e si nutrono esclusivamente d’eucalipto, sono state smentite dai fatti. Si è scoperto che i giovani maschi, lungi dal passare tutta la vita su un’albero, possono percorrere anche 10-20 km. Le riserve non devono perciò essere piccole e sparpagliate, come oggi spesso avviene, ma unite e il più grandi possibili.

E il vaccino contro la Chlamydia?, chiedo ancora, circola voce che ci state provando.

Il Lone Pine Koala Sanctuary, continua, sta conducendo degli esperimenti in merito, utili soprattutto per gli animali in cattività. Ma dato che questo batterio si manifesta in più modi, la strada da percorrere è lunghissima. Del resto, nonostante i milioni di dollari stanziati, non è stato ancora trovato un vaccino nemmeno per l’uomo.

E poi, anche se ciò in teoria fosse possibile, sono contrario ad una vaccinazione in massa degli animali in libertà.

Il meccanismo immunitario dei koala è molto complesso : mentre negli altri mammiferi gli anticorpi si formano dopo due settimane, nei Koala occorrono anche 4 mesi, e non so come reagirebbero a un vaccino.

Alla fine risulterebbero poi tutti siero positivi, e non potremmo più capire, dai prelievi di sangue, quali popolazioni sono infette e quali no.

Meglio percorrere, per il momento, la strada degli antibiotici. Nell’uomo bastano in genere 3-4 settimane di vibramicina (doxycycline), nei koala usiamo delle tetracicline come la terramycina (oxytetracycline).

In un primo tempo si pensava che gli antibiotici, distruggendo i batteri simbionti che disintegrano la cellulosa, portassero in pratica i koala a morire di fame. Poi si è scoperto che a differenza dei canguri e delle pecore, solo il 9% della loro dieta è basato sulla cellulosa : attingono direttamente l’energia dai carboidrati, dalle proteine e dai lipidi presenti nelle foglie. I batteri simbionti, se mai, hanno importanti funzioni atossiche, e sembra neutralizzino molti veleni dell’eucalipto.

Ai soggetti malati, che ci portano dai vari parchi nazionali, facciamo un’innezione di antibiotici alla settimana e oltre alle solite foglie d’eucalipto diamo un’integrazione alimentare, un “supplementary food” costituito da proteine di soia e lipidi di facile digestione per bambini, secondo un’originale formula messa a punto da Tony Wood, veterinario del Lone Pine Koala Sanctuary. Almeno il 50 % si salva”.

Nel pomeriggio ci rechiamo in visita al Santuario, il più importante centro per la riproduzione dei koala in cattività. Nato nel 1927, si è poi arricchito d’altri animali, ed è oggi un grande parco-zoo della fauna australiana.

Incontriamo prima un cane lupo, con in groppa un koala che fa urlare di gioia un gruppo di turisti giapponesi, e poi Pat Robertson, il dinamico, occupatissimo manager del Santuario. 200.000 visitatori all’anno, 85 koala adulti, con 8 generazioni domestiche alle spalle.

Come tutti i marsupiali, i koala vengono al mondo immaturi, dopo 25-30 giorni di gestazione. Pesano meno di 5 grammi, e guidati dall’olfatto si rifugiano per 5 mesi in una sorta d’incubatrice, una tasca con due capezzoli. Ma dato che si apre verso il basso, nascosta dal pelo, e il piccolo, a differenza dei canguri, entra ed esce solo per pochi giorni, è molto difficile sorprenderlo mentre fa capolino.

Fotografare la seconda nascita di un Koala diventa un po’ il mio chiodo fisso, e dopo vari appostamenti troviamo il soggetto giusto.

Ogni tanto dal ventre della madre sbuca una zampa, è quella del del piccolo che succhia il latte … poi rientra.

Finalmente si presenta di testa : dorme beato con il musetto e l’occhio fuori dal marsupio. Dopo due ore di relativa immobilità la madre cambia posizione, e mentre temo d’aver perso ancora una volta l’occasione, si decide ad uscire : un ” orsacchiotto ” di appena 12 cm con due grandi occhi castani. Scatto una foto dopo l’altra, e vedo incredulo, nel mirino, che il piccolo bacia la madre.

Foto che hanno fatto il giro del mondo … un momento forte, davvero indimenticabile per un giornalista scientifico.

 

 SCIENZA & VITA + NATURA OGGI + TERRE SAUVAGE + TELE LOISIRS + WAPITI + FIGARO MAGAZINE + FEMME ACTUELLE + altre riviste – 1987