Proteaceae sudafricane : non temono gli incendi … anzi

Fiori sgargianti nascono dalle fiamme. Si riproduco solo quando un incendio libera il terreno dal fitto strato di foglie che soffoca i semi. I vistosi fiori hanno spesso un look cangiante. Mille varianti sulla comune struttura del fiore. Come coltivarle.

 

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Testo © Giuseppe Mazza

 

Le rose, i garofani, i crisantemi e molti altri fiori recisi verranno gradualmente soppiantati, verso il 2.000, da un nuovo gruppo di piante : le proteacee.

Anche se oggi può sembrare impossibile, sarà normale regalare bouquets di variopinti Leucospermum, Mimetes o Leucadendron ed i vistosi Fiori del re (Protea cynaroides) entreranno comunemente nelle nostre case.

Il Prof. John Patrick Rourke, eminente tassonomo dell’orto botanico di Kirstenbosch, in Sud Africa, autore del più prestigioso libro sulle protee, non ha dubbi in merito.

È molto eccitante, mi spiega, studiare un gruppo di piante in cui esistono, ancora oggi, delle specie non descritte (ne ha già classificate 15) e vivere ai nostri tempi, in prima persona, la stessa esperienza d’addomesticamento che gli uomini hanno fatto, migliaia di anni fà, ad esempio, con le rose e gli ulivi.

È un’avventura recente, degli ultimi 15 anni al massimo : prima ci si limitava a coltivare qualche forma botanica, ma oggi l’industria del fiore reciso e la crescente domanda di proteacee per i giardini, ha spinto alla selezione di cultivar a fioritura prolungata, più resistenti, con fiori sempre più belli e sgargianti. Si cercano ibridi spettacolari anche con le specie australiane.

Mr. Steenkamp, meneger del PROTEA HEIGHTS di Stellenbosch, un centro per la commercializzazione di queste piante, mi mostra con orgoglio una moderna cella frigorifera, piena di scatole. In ciascuna vi sono 50 fiori di Leucospermum, ben imballati.

Dopodomani, mi dice, saranno nella vetrina di un fiorista olandese e vivranno, recisi, almeno due settimane. Nessun altro fiore può fare altrettanto. Ogni anno ne esportiamo circa 400.000, soprattutto verso gli Stati Uniti e il Nord Europa, e stentiamo a soddisfare le richieste.

Il normale periodo di fioritura dei Leucospermum e della Protea cynaroides va da agosto a dicembre, ma con l’ibridazione e particolari tecniche di coltura, riusciamo ad avere una produzione, quasi initerrotta, da agosto a marzo.

Il bello di questi fiori è che non soltanto durano a lungo, ma invecchiano bene, cambiando aspetto nel tempo, secondo un preciso copione.

Nella Sposa che arrossisce (Serruria florida), per esempio, i colori sfumano dal bianco al rosato e i gialli pennelli del Leucospermum mundii diventano, maturando, rossi.

Anche le forme evolvono, spesso a tal punto che, una settimana dopo, si stenta a riconoscere la stessa pianta. I fiori del Leucospermum cordifolium si direbbero già perfetti, definitivi, prima di sbocciare : i rossi stili, ripiegati su se stessi, danno all’infiorescenza un curioso, gradevole aspetto di “Punta spilli”. Poi, partendo dall’esterno, si aprono lentamente, mostrando dei vistosi stigmi gialli, e il fiore aumenta di volume mentre i perianzi si arrotolano, alla base, in riccioli preziosi.

La Protea cynaroides da chiusa sembra un carciofo, poi si apre prepotentemente, quasi di scatto, mostrando delle brattee infuocate, simili a petali. I veri fiori sono ancora tutti chiusi, incollati uno sull’altro, al centro, in una struttura conica. Si staccheranno solo nei giorni seguenti, aprendosi in un balletto complesso in cui gli stili prima archeggiano, abbracciati, in alto, dai perianzi, e poi si librano dritti, come molle, in un mare di corolle che si stracciano progressivamente, sui lati, per mettere in mostra le antere.

Non a caso nel 1735 Linneo aveva dedicato questa famiglia al dio greco dei trasformisti, Proteo, capace di cambiar forma a suo piacere !

Ma perchè queste piante sono concentrate soprattutto in Sud Africa e perchè non sono già state introdotte in Europa ?

Per una risposta bisogna risalire a circa 300.000.000 di anni fa, quando le terre emerse formavano ancora una sola crosta. Con le prime piante da fiore apparvero, nell’emisfero sud, gli antenati delle protee.

Poi l’Africa si staccò dal Sud America e dall’Australia, e in questi tre continenti le proteacee ebbero un’evoluzione molto diversa. Nelle tormentate montagne del Sud Africa, a ridosso di due oceani, fra il deserto e il mare, si formarono un’infinità di microclimi e di nicchie ecologiche, ben separate, che determinarono una diversificazione botanica senza precedenti.

Nessun stupore quindi se oggi in una fascia di appena 1.000 km, fra Clanwilliam e Grahamstown, troviamo oltre 300 proteacee endemiche. Si sono adattate agli ambienti più disparati, dalle nebbie, oltre i 2.000 m di quota, alle dune sabbiose, lungo le coste, con incredibili varianti sulla comune struttura dei fiori. Questi, piccoli e tubolari, sono riuniti in infiorescenze, ed hanno un perianzio formato da quattro segmenti (talora fusi) che portano, ciascuno, un’antera.

Ma l’effetto d’insieme, quello che ci fa esclamare “bello”, è dato, per lo più, dalle coloratissime brattee e dagli stili. La realtà supera spesso la fantasia in forme che ricordano rose (Orothamnus zeyheri), cardi (Protea), pigne o margherite (Leucadendron) e fuochi d’artificio (Leucospermum).

Certi fiori, come i Mimetes, sono talmente lontani dai nostri schemi che ci appaiono del tutto irreali.

Fra il 1780 e il 1820, mi spiega sempre il Prof. John Patrick Rourke, quasi tutte queste specie erano coltivate in Europa. Alcuni esemplari giunsero in Olanda e Inghilterra già prima del 1700, ma si trattava per lo più di fiori secchi o semi : a quei tempi le navi impiegavano mesi per fare il giro dell’Africa, le scorte d’acqua erano limitate e non era nemmeno pensabile di trasportare piante in vaso.

Poi, durante il regno di Giorgio III (1760-1820), soprattutto per merito del famoso Royal Botanic Gardens di Kew, le proteacee vennero introdotte con successo anche in Francia, Germania, Italia e persino in Russia. A San Sebastiano, presso Torino, per esempio, il marchese di Spigno aveva una collezione ricchissima.

Ma allora, chiedo incuriosito,che ne è stato di tutte queste piante ?

La fine delle protee, continua, è collegata all’arrivo in Europa delle orchidee e delle altre piante esotiche.

Prima le serre non erano riscaldate, al più vi si immetteva dell’aria calda e secca tramite canne fumarie. Poi, con la rivoluzione industriale e la moda delle orchidee, cambiarono i criteri di costruzione : le serre, ricche di termosifoni, dovevano essere molto calde e umide, secondo le nuove esigenze colturali.

Le proteacee, che hanno bisogno d’aria secca e un periodo di riposo invernale, con temperature basse, morirono tutte rapidamente.

Per cui, concludo, si potrebbero reintrodurre con successo in Italia.

Certo, specialmente nell’isola d’Elba e in Sardegna dove il suolo è acido e il clima favorevole. Occorrono infatti temperature minime invernali di 10 °C. , innaffiature abbondanti verso la fine dell’inverno e terreni relativamente poveri di fosfati e potassio, con un PH compreso fra 4 e 6. A Milano potrebbe andar bene una serra poco riscaldata, abbastanza secca, e un terreno acidificato con sabbia quarzifera.

Le piante dei generi Aulax e Leucadendron sono dioiche, portano cioè solo fiori maschili o femminili, e per riprodurle bisognerebbe quindi ospitare esemplari dei due sessi.

Tutte le proteacee si propagano però facilmente anche con talee. In natura, per completare il loro ciclo vitale, sembra che alcune specie abbiano addirittura bisogno del fuoco. Le foglie, spesse e coriacee, si accumulano infatti al suolo tanto in fretta che non riescono a decomporsi: formano uno spesso strato isolante e impediscono ai semi di germinare.

Così, in una riserva in cui si erano accuratamente evitati gli incendi per 50 anni, molte protee non riuscivano a riprodursi e le vecchie piante, legnose e con pochi fiori, apparivano soffocate da infestanti e cumuli di foglie morte.

Si decise allora di dividere la riserva in zone, da bruciare, una dopo l’altra, secondo un preciso programma.

I risultati furono sorprendenti : la primavera successiva, sui rami bruciacchiati, le protee fiorirono dalle ceneri più rigogliose che mai.

Nella regione del Capo in estate piove raramente e il “fynbos”, l’associazione vegetale che le ospita, simile alla nostra “macchia”, è estremamente infiammabile. Ogni tanto scoppia un incendio e, in millenni d’evoluzione, le proteacee hanno imparato a sfruttarlo a loro favore per sbarazzarsi, periodicamente, delle specie concorrenti.

È quindi anche grazie alle fiamme se, dalla preistoria, questi fiori sono giunti così numerosi fino a noi, per allietare le case del 2.000 con la loro insolita bellezza.

 

SCIENZA & VITA  +  GARDENIA  – 1987

 

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