Vombati : marsupiali australiani scavatori di grossa taglia

Brutto e simpatico lo scavatore col marsupio. È il Vombato un parente australiano del Koala. Peloso come un orsetto, ha denti da castoro e come una talpa scava grosse gallerie lunghe anche centinaia di metri. Il marsupio si apre sotto, per non riempirsi di terra.

 

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Testo © Giuseppe Mazza

 

Se volete prendervi una piccola rivincita sul maestro di scuola guida e, almeno per una volta, metterlo in imbarazzo, scommettete che non sarà in grado di riconoscere un cartello stradale.

Poi mostrategli una cartolina australiana con un vombato nel tipico segno triangolare di pericolo, e vedrete che non saprà dirvi di che animale si tratta.

Mentre, se avete giocato bene le vostre carte, godrete i frutti della vincita, potrete spiegargli che l’Australia sudorientale ospita due tipi di vombati : quello dal naso peloso (Lasiorhinus latifrons), con la testa squadrata e piatta e un soffice manto lanoso, e quello dal naso nudo (Vombatus ursinus), col pelo a spazzola, corto e forte.

Sono entrambi marsupiali, parenti prossimi dei Koala, e superano facilmente il metro e i 30 Kg di peso. Di notte, quando girano in cerca di vegetali, sono un vero pericolo per la circolazione, ma dato che sono abitudinari e attraversano le strade sempre negli stessi punti, in genere un cartello basta a scongiurare gli incidenti.

Chi li vede, all’imbrunire, mentre lasciano le tane sotterranee, rimane colpito dall’aspetto tozzo e pesante, che non ricorda nessun altro animale, ma soprattutto dalla sicura indifferenza con cui procedono.

Gli indigeni sostengono che se frana loro il terreno sotto i piedi, mentre camminano lungo il bordo d’un fiume, non si scompongono, ma continuano, come se niente fosse, la loro passeggiata sott’acqua, per riemergere, tranquillamente, sull’altra sponda. Senza arrivare a tanto vi assicuro che non ho mai visto animali così ostinati.

Un cucciolo raccolto ferito e poi adottato da Tom Easling, manager dell’ Urimbilla Wildlife Park di Victor Harbor, presso Adelaide, il giorno della mia visita si era ad esempio messo in testa di stare appiccicato alle scarpe del padrone, ed ogni volta che lui si spostava di lato o lo posava a qualche metro di distanza per farmelo fotografare, gli ritornava trotterellando fra le gambe.

Dopo una ventina di tentativi rinunciammo alle foto, mentre il giovane vombato, per niente stanco o irritato, ci guardava stupito che non volessimo continuare nel gioco.

In genere, mi spiegava Tom, questi animali non temono l’uomo e si lasciano avvicinare facilmente. Con la scusa che le loro tane erano un rifugio per i conigli selvatici e potevano spezzare le gambe dei cavalli e delle mucche al pascolo, i primi coloni li uccisero a migliaia, trasformandoli, senza troppi rimorsi, in pregiati prosciutti di ” tasso marsupiale “.

Oggi, per fortuna, i vombati sono ovunque protetti ed amati. Con uno speciale permesso è anche possibile tenerli in giardino e allora, spesso, modificano i loro bioritmi adattandosi, nei limiti del possibile, agli orari del padrone. Attivi anche di giorno, entrano in casa e giocano volentieri con i bambini dando prova d’enorme pazienza.

In genere non mordono mai, pur essendo dotati, come i roditori, di robusti incisivi. Gli unici inconvenienti per gli ospiti sono i rumori notturni e la loro irresistibile passione per gli scavi che cresce, purtroppo, con l’età.

Come le talpe, infatti, i vombati costruiscono in continuazione gallerie con camere, saloni, corridoi e diverse uscite strategiche. Anche se, tolto il periodo degli accoppiamenti, vivono soli, le mettono quasi sempre in comunicazione con quelle dei vicini, formando tortuosi “tunnels” lunghi centinaia di metri. Non si conosce ancora bene la loro vita sociale, ma si è scoperto che le tane di una colonia, collegate fra loro, si estendevano per quasi un chilometro.

Gli ingressi principali si trovano di solito fra le radici di vecchi alberi, in posti tranquilli dove questi animali si distendono al mattino per riposarsi dopo le passeggiate notturne, digerire e scaldarsi ai primi raggi del sole. Sono tanto larghi che un bambino potrebbe entrarvi facilmente e raggiungere a carponi, come Alice nel paese delle meraviglie, la grande “stanza nido”, dove le madri passano col cucciolo gran parte del giorno.

Ma è un’esperienza molto pericolosa, sconsigliabile anche per un cane, perchè i vombati buttano zampate di terra negli occhi degli intrusi e, se questi insistono, li schiacciano, soffocandoli, contro le pareti della tana.

Fra aprile e giugno, le femmine partoriscono un solo figlio, appena abbozzato, che si rifugia subito nel marsupio per completare il proprio sviluppo.

Ne uscirà solo in dicembre, a testa in giù, ricoperto da una morbida pelliccia. La tasca incubatrice dei vombati, infatti, a differenza di quella dei canguri, si apre verso il basso, per evitare che la terra entri durante le operazioni di scavo.

Nelle sue prime passeggiate il cucciolo, più piccolo di un coniglio, si rifugia come un pulcino sotto la madre al minimo allarme. Poi impara a trotterellarle intorno e a riconoscere le erbe, le radici i frutti e i funghi che sono alla base della sua dieta.

Le femmine strappano pazientemente, una ad una, le graminacee più dure e offrono loro la parte in basso, più tenera e nutriente. Li seguono così per circa un anno, finchè diventano indipendenti e scavano, vicino a quella della madre, una tana tutta per loro.

 

 SCIENZA & VITA NUOVA – 1987