Aplysia fasciata

Famiglia : Aplysiidae

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Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo

 

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L'Aplysia fasciata è un gasteropode marino abbastanza comune nel Mediterraneo © Giuseppe Mazza

La Lepre di mare (Aplysia fasciata Poiret, 1789, denominata Aplysia limacina fino all’inizio degli anni ’80 del XX secolo) è un curioso gasteropode marino, comune anche presso le nostre coste, dotato di un lunga e sottile conchiglia. Approssimativamente ha l’aspetto di una grossa lumaca terrestre, dal corpo tozzo.

Tassonomicamente questo strano invertebrato afferisce al phylum dei Molluschi (Mollusca), classe dei Gasteropodi (Gastropoda, (tale nome deriva da gasteros = stomaco e podos = piedi, in quanto si tratta di molluschi il cui stomaco funge da piede), sottoclasse Opistobranchi (Opistobranchia), ordine Tettibranchi (Tettibranchia), famiglia Aplisidi (Aplysiidae), genere Aplysia.

Il genere Aplysia conta circa 40 specie, presenti un po’ in tutte le acque dei mari temperati e caldi d’Europa e dell’ Africa. Sembra che disertano solo i mari boreali. Le carni non sono commestibili.

Zoogeografia

Con il termine di lepri di mare, s’identificano un po’ tutte le specie del genere Aplysia, quindi anche l’ Aplysia fasciata, presenti nei nostri mari. L’Aplysia fasciata è per lo più presente nel Mare Mediterraneo.

Ecologia-Habitat

In genere le lepri di mare frequentano le acque costiere, ove si possono osservare anche a mezz’acqua, quando nuotano agitando le larghe espansioni lembiformi del mantello. Ma trascorrono la maggior parte della loro vita strisciando sui fondali in cerca d’alghe, che costituiscono in pratica l’unico loro alimento.

Morfofisiologia

L’ Aplysia fasciata è la più nota fra le specie nostrane di Gasteropodi (Gastropoda) ascritta alla sottoclasse degli Opistobranchi (Opistobranchia). Ha forma tozza, ed è dotata di una conchiglia allungata sottilissima, che però risulta totalmente ricoperta dal mantello carnoso, che forma due ampie sporgenze lembiformi sul dorso. Il piede, è molto ampio e prolungato in senso posteriore.

Di solito bruca alghe strisciando sul fondo, ma è anche in grado di nuotare © Giuseppe Mazza

Di solito bruca alghe strisciando sul fondo, ma è anche in grado di nuotare © Giuseppe Mazza

Il capo è discretamente allungato e munito di due paia d’appendici tentacolari. I due tentacoli posteriori, ravvicinati tra loro e alquanto allungati, possono ricordare per forma e posizione le orecchie di una lepre, da qui ha avuto origine il nome comune di “lepre di mare”.

Il colore è bruno scuro quasi uniforme.

La bocca o “peristomio” o apertura, può essere di forma molto varia: circolare, semicircolare, semilunare e a fessura.

Le lepri marine respirano per mezzo di un’unica branchia, posta entro la cavità palleale, dietro al cuore, da cui il termine della sottoclasse “opistobranchi”, che significa branchia posteriore.

Anche la branchia singola è coperta. Per tale ragione questo mollusco, come le altre specie di Aplysia, si ascrive all’ordine dei Tettibranchi (Tettibranchia), letteralmente branchie coperte; nell’altro ordine della medesima sottoclasse, i Nudibranchi (Nudibranchia), la respirazione è invece esclusivamente effettuata per mezzo di papille poste sulla superficie cutanea.

La caratteristica evolutiva anatomo-comparata più curiosa delle aplisie comunque, o più in generale degli opistobranchi, è che in tempi arcaici (probabilmente alla fine del periodo Cambriano, Era Paleozoica o Primaria) questi animali vivevano all’interno di una conchiglia completa e molto più ampia di quella che è oggi presente. Ad un certo punto della loro evoluzione, quindi, subirono una torsione a forma di “8” detta “chiastoneuria”. Questa fece sì che in uno dei due fianchi, scomparvero tutti gli organi ivi presenti. Successivamente, quando si sono formati i tipi recenti, ove la conchiglia permane come residuo vestigiale delle forme anteriori, il corpo avvolto ha fatto ritorno, svolgendosi, alla posizione iniziale.

Quindi anatomicamente gli opistobranchi, e quindi anche le aplisie, sono molluschi simmetrici, ma nel fianco o lato, ove sono scomparsi arcaicamente vari organi, in particolari quelli pari, cioè in doppia copia, come i reni e le branchie, o parte di quelli che hanno una struttura duplicata, come il cuore, non si sono poi più riformati. Per cui questi molluschi hanno oggi una sola branchia, un solo rene, e un cuore con una sola orecchietta o atrio.

Nell’ Aplysia fasciata non c’è dimorfismo sessuale: sono animali ermafroditi lunghi 25-30 cm.

Due conchiglie d'Aplysia fasciata viste ventralmente e dorsalmente © Giuseppe Mazza

Due conchiglie d’Aplysia fasciata viste ventralmente e dorsalmente © Giuseppe Mazza

Etologia-Biologia Riproduttiva

È un organismo ermafrodita, come del resto tutti i molluschi opistobranchi

Si riproduce per autofecondazione, solo in assenza di un compagno/a, in quanto è dotato sia di organi sessuali femminili che maschili.

Bisogna far presente che per “ermafroditismo” fisiologicamente si intende autonomia funzionale. Cioè una lepre di mare, come tutti gli organismi ermafroditi, ad esempio le lumache terrestri, i lombrichi ecc., sono in grado (essendo ogni singolo individuo dotato contemporaneamente di genitali di entrambi i sessi e quindi, degli spermi e delle ovocellule) di procedere all’autofecondazione, che però è priva di variabilità genetica, cioè evolutivamente inefficiente. Per tale ragione, ogni ermafrodita, quindi ogni opistobranco e quindi ogni lepre di mare, tende preferenzialmente ad accoppiarsi con un conspecifico, potendosi comportare sia come femmina, sia come maschio, in relazione al sesso che sceglie la controparte. Solo in questo modo, infatti, avviene uno scambio di materiale genetico, quella variabilità genetica che è una delle forze motrici dell’evoluzione della specie. Nel caso in cui si verifichi l’assenza di un partner però, può subentrare per ragioni di necessità una forma d’autofecondazione, con tutti i limiti evolutivi che ne conseguono, garantendo almeno la riproduzione numerica.

In molti invertebrati ermafroditi, la fecondazione è esterna, nelle aplisie invece è interna. Le uova fecondate, ricche in vitello, vengono quindi deposte in modo da formare lunghi cordoni, da attaccare ad una pianta acquatica o ad una roccia.

Dalle uova si svilupperanno le larve natanti di tipo “trocofora”, simili a quelle degli anellidi (per cui molti biologi zoologi sospettano una comunanza evolutiva filogenetica), il cui stadio terminale è il “veliger” planctonico-filtrante, una larva dotata di un piede, un mantello e una conchiglia abbozzata, da cui arriverà a maturazione l’adulto.

Per la IUCN, questi molluschi, hanno uno status di “localmente comuni”.

 

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