Panthera leo

Famiglia : Felidae

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Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo

 

The mane is a clear character of sexual dimorphism © G. Mazza

The mane is a clear character of sexual dimorphism © G. Mazza

Il Leone (Panthera leo Linnaeus, 1758), membro dell’ordine Carnivora e della famiglia dei Felidae, è il più grande e pericoloso predatore del continente Africano, come la Tigre (Panthera tigris) per l’Asia e in definitiva di tutti i mammiferi carnivori, tetrapodi, placentati terrestri del pianeta.

Come accennato nella scheda introduttiva sulla famiglia dei Felidae, risulta abbastanza consolidato, mediante dati zoopaleontologici, ottenuti da scheletri fossili, e zoogenetici su campioni biologici di esemplari attuali, che tutti i leoni moderni derivino da un antenato comune. Secondo il biologo zoologo O’ Brien, la specie africana (Panthera leo) e la sottospecie indiana (Panthera leo persica) avrebbero lo stesso progenitore vissuto tra la fine del Pleistocene medio e l’inizio dell’ultima glaciazione del Würm tra i 200.000 e i 55.000 anni fa.

Anche perché la criniera è un tratto somatico acquisito dai leoni in tempi relativamente recenti, 300.000-200.000 anni fa, e in Europa, e probabilmente anche nel Nord America, i leoni con la criniera coesistettero con quelli senza criniera fino da circa 300.000 anni fa.

Durante i processi evolutivi, altri discendenti di questo antenato, erano di casa in luoghi dove oggi i leoni sono assenti, in areali molto vasti e habitat, ben diversi dagli attuali, con sottospecie ormai estinte. Tra queste ricordiamo il Leone delle caverne americano (Panthera leo atrox), di cui si sono trovati scheletri fossili nel Nord America, e il Leone delle caverne (Panthera leo spelaea), eurasiatico, con scheletri fossili rinvenuti in Siberia, Russia e Polonia.

Oggi molti biologi zoologi ritengono che tutti i leoni africani, che vivono in diverse aree dell’Africa subsahariana, in realtà dovrebbero essere considerati un’unica sottospecie che filogeneticamente deriva dal Leone atlantico o berbero (Panthera leo leo). Ma altri autori sostengono che attribuire alla Panthera leo una sola sottospecie, la Panthera leo persica, endemica delle isolate foreste indiane del Gir, è in verità molto riduttivo.

Basta per esempio osservare la criniera, ben evidente nei leoni africani e un po’ meno in quelli indiani che hanno però una vasta fascia ventrale, che muta di colore e dimensioni secondo l’area geografica, oltre che per effetto dei livelli di testosterone plasmatico. Quando questa si sviluppa nei maschi, verso il terzo anno di vita, col raggiungimento della maturità sessuale, l’aspetto più o meno imponente ed i colori intensi, dal marrone scuro o marrone bruciato, al quasi nero, non dipende solo da fattori endocrino-sessuali, ma dall’ambiente stesso. Nei giardini zoologici del Nord Europa e Nord America, per esempio, le criniere sono più folte, probabilmente per proteggere l’animale dalle temperature più rigide, mentre i fratelli di una stessa cucciolata, cresciuti in giardini zoologici tropicali, hanno colore e dimensioni diverse. Tale insieme di fattori ha portato alcuni zoologi, a considerare che il Panthera leo, oltre al Panthera leo persica, possa vantare le seguenti sottospecie o razze geografiche.

Tra le estinte :

– Panthera leo spelaea, vissuto probabilmente tra 300.000-10.000 anni fa nel Pleistocene superiore.

– Panthera leo atrox, vissuto probabilmente tra 35.000-10.000 anni fa.

– Panthera leo europea, vissuto probabilmente fino al 100 d.C., detto anche Leone europeo. Era diffuso tra i Balcani, l’Italia, la Francia meridionale e la Spagna del nord. Fu sterminato, dalla caccia spietata ad opera dei Romani, Macedoni, Galli e Iberici. In quel periodo, in Italia come in Francia, erano presenti ampie foreste temperate, a cui poi ha fatto seguito, per mutamenti climatici e processi di urbanizzazione, una modificazione degli ecosistemi, in particolare con un’avanzamento in Italia della tipica macchia mediterranea.

– Panthera leo sinhaleyus, il leone dello Sri Lanka o leone di Ceylon.

– Panthera leo vereshchagini, il leone delle caverne della Siberia orientale e della Beringia.

– Panthera leo youngi, il leone delle caverne della Cina nord-orientale vissuto nel Pleistocene, circa 350.000 anni fa.

– Panthera leo leo, il Leone Berbero o Atlantico o Marocchino estinto nel 1946, di cui abbiamo ampiamente parlato nell’introduzione sui Felidae. Fino ai primi del ‘ 900, i biologi lo classificavano anche come Panthera leo berberisca.

– Panthera leo maculatus, estintosi nel 1930, detto anche Leone maculato o Marozoi. Il dibattito tra i biologi zoologi nel considerarlo una sottospecie del Panthera leo subsahriano è ancora particolarmente acceso, poiché la maculazione che presentavano questi leoni, secondo alcuni autori era da ritenersi opera di una ibridazione biologica involontaria dovuta all’accoppiamento casuale tra un leone e un leopardo (Panthera leo maschio × Panthera pardus femmina o viceversa).

– Panthera leo melanochaita, il Leone del Capo estinto nel 1860.

Leone bianco © Giuseppe Mazza

Leone bianco © Giuseppe Mazza

Tra le specie ancora viventi :

Panthera leo persica, confinato nelle foreste del Gir in India, ove ne sono presenti solo 350 esemplari, sebbene in passato, fosse presente anche in Bangladesh, Turchia e Medio Oriente. Facile preda dei bracconieri perché preferisce cacciare di giorno, piuttosto che la notte.

– Panthera leo goojratensis, il vero leone indiano, secondo molti zoobiologi ormai estinto.

– Felis leo roosevelti, il Leone abissino oggi classificato come Panthera leo roosevelti. Con questo nome, veniva identificata nella prima metà del secolo scorso, una sottospecie etiope dalla criniera nera, attualmente anche se ne sopravvivono qualche decina di esemplari, non la si considera più una sottospecie geografica distinta del Panthera leo.

– Panthera leo bleyenberghi, detto Leone del Katanga o leone dell’Africa sud-occidentale.

– Panthera leo hollisteri, il Leone del Congo

– Panthera leo krugeri, il leone del Sud Africa, o leone dell’Africa sud-orientale.

– Panthera leo massaicus, il Leone Masai, presente in Kenya e Tanzania.

– Panthera leo somaliensis, il Leone somalo.

– Panthera leo nubica, il Leone dell’Africa orientale.

– Panthera leo senegalensis, il Leone del Senegal o dell’Africa occidentale

– Panthera leo verneyi, il Leone del Kalahari, in questa razza o sottospecie i biologi hanno osservato un’etologia e anatomia più spiccatamente differenziate dal Panthera leo rispetto alle altre elencate.

Questa classificazione non è comunque accettata da tutti, sebbene siano indubbie alcune differenze morfologiche ed etologiche nelle popolazioni delle diverse aree geografiche.

Sono state osservate un certo numero di variazioni naturali, talora facilitate dall’allevamento in cattività. Per quanto riguarda la variazione detta leucismo (manto di colorazione bianca), la si osserva saltuariamente in leoni endemici di Timbavati, in Sud Africa, i Panthera leo krugeri che sono fra l’altro quelli di taglia maggiore, visto che i maschi raggiungono anche i 260 kg con una lunghezza di 2,97 m, e le femmine i 190 kg con 1,90 m. La presenza di un manto e una criniera completamente bianchi (leucismo: dal greco “λευκοσ – leucos” = bianco; gli animali sono detti leucisti) si ipotizza essere causa di due possibili meccanismi. Un primo meccanismo è quello dell’espressione di un gene recessivo (chiamato chincillà o color inhibitor) deputato all’inibizione dell’espressione della melanina (il cromopigmento che colora il manto, la pelliccia, le piume degli animali, compresa la cute umana) ad opera dei melanociti, che trovandosi nella combinazione di omozigosi causano questa variazione. In particolare non si può parlare di una sottospecie distinta nel caso dei leoni leucisti, ma di un caso di polimorfismo genetico, legato ad una condizione di leucismo che causa una colorazione pallida e simile a quella delle tigri bianche. La condizione è simile, anche se con effetti opposti, al melanismo tipico della pantera nera (Panthera pardus) e del giaguaro nero (Panthera onca). Questo è confermato anche dalla colorazione dei suoi occhi, che non è rossa, tipica degli animali albini, ma è uguale a quella dei suoi simili non bianchi (wild type), generalmente azzurra. Questa colorazione penalizza i leoni in natura perché vengono avvistati facilmente dalle prede, che riescono così a fuggire: un leone bianco in natura è quindi spesso condannato alla morte per inedia.

Ricordando che l’albinismo è una anomalia ereditaria consistente nella deficienza o degenerazione della pigmentazione melanica nella pelle, nei peli, capelli, piume, coroide, iride caratterizzata da un fenotipo recessivo, che determina la carenza dell’enzima tirosinasi associato all’albinismo oculo-cutaneo, e pertanto si manifesta in individui nati dall’incrocio di due genitori entrambi albini o eterozigoti per questo fenotipo. In natura non colpisce solamente l’essere umano, ma anche altri mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci, si presenta con vari gradi pericolosità, quindi si va dall’albinismo oculare, a quello oculo-cutaneo che colpisce tutto il corpo, all’albinismo parziale e infine all’albinismo totale il più pericoloso perché il corpo è totalmente privo di melanina e è praticamente tutto bianco, gli stessi capelli sono color paglierino e fragilissimi.

I leoni leucisti inoltre, differiscono dagli organismi albini perché non sono caratterizzati da eliofobia, quella ipersensibilità alla luce che per l’esposizione prolungata al sole determina danni gravi per la vista e per il corpo negli albini. Anzi, avendo un albedo (dal latino albedo, “bianchezza”, da album, “bianco”: la capacità di riflettere la luce) elevato, sono al contrario più resistenti al sole delle specie normali o melaniche perché assorbono una minor frazione di raggi.

Recentemente però si sta affacciando un’altra ipotesi, confermata dalla biologia molecolare, secondo cui il leucismo, potrebbe essere determinato da fenomeni di epistasi ad opera di geni regolatori-inibitori, che agiscono, perché attivati nei leoni leucisti, antagonizzando il/i gene/i che regola/no l’espressione della melanina. I leoni leucisti nascono quasi completamente bianchi, senza le normali macchie di camuffamento che si trovano nei cuccioli di leone. Il loro colore si scurisce gradualmente, fino a diventare crema o color avorio, colore noto con il nome di biondo.

Il leone maschio dominante ha un ruolo indispensabile nella difesa del territorio © Mazza

Il leone maschio dominante ha un ruolo indispensabile nella difesa del territorio © Mazza

Circa le ibridazioni, i leoni sono stati fatti accoppiare con le tigri (più spesso quelle dell’Amur e del Bengala) per creare ibridi chiamati Ligri e Tigoni, con i leopardi per dare Leoponi e con i giaguari per dare Giagleoni. Il Marazoi è a quel che si suppone un leone maculato o un leopone prodotto naturalmente, mentre il leone maculato congolese è un complesso ibrido leone/giaguaro/leopardo chiamato Leogiagleop. Alcuni ibridi erano una volta allevati comunemente negli zoo, ma questa attività è stata ora scoraggiata dall’enfasi data dalla conservazione delle specie e delle sottospecie. Ibridi sono ancora allevati in allevamenti privati e zoo in Cina.

Il Ligre è un incrocio tra un leone maschio e una tigre femmina. Poiché il progenitore leone porta un gene promotore della crescita (che regola l’ espressione dell’ ormone somatotropo o della crescita anche detto del gigantismo, GH), ma il corrispondente gene inibitore della crescita proveniente dal tigre femmina è assente, i ligri raggiungono dimensioni maggiori di quelle d’entrambi i loro genitori. Con macchie e strisce su uno sfondo color sabbia, mostrano gli aspetti fisici ed comportamentali di entrambe le specie di genitori. I ligri maschi sono sterili, ma i ligri femmine sono spesso fertili. Il meno comune Tigone è un incrocio tra una leonessa e una tigre maschio. Poiché il maschio di tigre non porta un gene promotore della crescita e la leonessa porta un gene inibitore della crescita, i tigoni sono spesso relativamente piccoli, pesando solamente non più di 180 chilogrammi, il 20% in meno dei leoni. Come i ligri, hanno tratti fisici e comportamentali di entrambe le specie di genitori e i maschi sono sterili, mentre le femmine possono essere fertili.

Dai dati forniti dalla IUCN e CITES si calcola siano attualmente presenti nel mondo circa 30.000-35.000 leoni liberi in natura, confinati nelle varie riserve naturali africane e indiane. Alla fine degli anni ’80 il WWF aveva segnalato che c’erano circa 100.000 leoni allo stato naturale.

Le cause di questo marcato decremento, in una popolazione già a bassa densità, si pensa siano varie, come nel caso di molte altre specie animali. La caccia purtroppo ancora attuale in Africa ed Asia, e la riduzione degli spazi vitali (home-range). Per quanti sforzi i biologi e i rangers oggi facciano, costruendo riserve naturali, questi tendono inevitabilmente a ridursi, per non parlare della rarefazione delle prede. E c’è infine anche una serie di patologie infettive da batteri, virus e protozoi, introdotte da gatti domestici, cani, ed erbivori delle fattorie limitrofe; malattie che stanno decimando i leoni con un sistema immunitario impreparato a questo evento, per la loro diversa storia naturale. Di conseguenza sia il Panthera leo che il Panthera leo persica fanno parte, come la Panthera tigris e le sue varie sottospecie, della Red list of endangered threatened species della IUCN, e sono molti i progetti avviati, sia in Europa che dagli USA in collaborazione con gli istituti di biologia africani e asiatici e molti giardini zoologici, zoosafari, e zoopark per la salvaguardia, la conservazione e la riproduzione della specie.

Zoogeografia

In tempi preistorici, fino al tardo Pleistocene, l’areale dei leoni comprendeva l’Africa, l’Eurasia, e il Nordamerica. Durante l’ultima era glaciale del Würm erano diffuse numerose specie di leoni delle caverne, che misuravano circa il il 25% in più dei leoni attuali. In seguito, probabilmente in concomitanza con la scomparsa della megafauna e l’aumentare delle temperature, i leoni scomparvero dalle zone settentrionali dell’Eurasia e dal Nordamerica.

Si spostarono nell’attuale continente Africano e Asiatico, dov’erano presenti ovunque. Con l’aumento degli insediamenti umani, furono in seguito decimati senza pietà, anche perché si trattava d’animali pericolosi, e ancora oggi in Africa, tra le prime cause di morte umana ad opera d’animali selvaggi, c’è il leone, con l’Ippopotamo (Hippopotamus amphibius), l’Elefante africano (Loxodonta africana) e il Bufalo cafro (Syncerus caffer), mentre in India le statistiche evidenziano il Rinoceronte indiano (Rhinoceros unicornis) e l’Elefante indiano (Elephas maximus) e la Tigre (Panthera tigris).

Il leone vive oggi in Africa, nella parte subsahariana del continente, in stati come il Camerun, Congo, Kenya, Tanzania, Senegal, Sud Africa, Somalia, ed Etiopia, dove è relegato in parchi riserva. Si trova ancora qualche raro esemplare nel deserto arabico, in Asia minore. In India è confinato nelle isolate foreste del Gir sud-est asiatico e nel Parco nazionale del Sasan-Gir (1412 km2) nello stato del Gujarat. Al fine di proteggere questa minuscola popolazione da epidemie ed altri rischi ambientali, è in corso un programma di reintroduzione del leone asiatico anche nel Palpur-Kuno Wildlife Sanctuary, una riserva naturale nel vicino stato del Madhya Pradesh, in collaborazione con biologi europei, cinesi, indiani e russi.

I leoni si riproducono tutto l’anno © Giuseppe Mazza

I leoni si riproducono tutto l’anno © Giuseppe Mazza

Habitat-Ecologia

In Africa i leoni sono i dominatori della savana e delle praterie, fino al bush e in zone più umide con canneti, ma li troviamo anche in aree semi-desertiche ai limiti della vegetazione arborea, e in piccole aree boscose, tipiche dell’ecosistema subsahariano, formanti quella classica forestazione tipica in Africa, detta a macchia di leopardo, costituita da piante succulente e soprattutto alberi di Acacia tortilis.

Sono animali eurifagi, si adattano cioè molto bene a mangiare un’ampia gamma d’erbivori, di piccole e, ancor meglio, grandi dimensioni. E quando il cibo scarseggia si adattano anche a un regime d’insetti, piccoli rettili e anfibi. A seconda dell’ubicazione geografica, l’ecologia alimentare può essere diversa. I leoni del Congo li si è visti molte volte attaccare le giraffe (Giraffa camelopardalis) e le Giraffe pigmee (Okapia johnstoni). I leoni della zona del fiume Savuti-Botswana sono specializzati nella caccia ai piccoli d’elefante, e quelli che vivono presso il fiume Cuando-Botswana, si nutrono soprattutto d’ippopotami. L’attacco a prede di specie insolite è inizialmente giustificato dalla scarsità di cibo, ma può in seguito consolidarsi in abitudine. In varie occasioni, comportamenti acquisiti di questo tipo hanno trasformato i leoni in cacciatori d’uomini, i così detti “mangiatori di uomini”.

Morfofisiologia

Al di là della discussione sulle sottospecie, pare evidente il dimorfismo sessuale della criniera nei leoni maschi. Questa amplifica notevolmente le dimensioni del capo, e la sua funzione non è ancora ben chiara ai biologi, anche se si suppone serva come strumento di difesa, durante i combattimenti coi conspecifici, per evitare ferite alla gola. In termini di caccia, invece, soprattutto durante la stagione arida, quando la savana è soggetta a incendi e il manto vegetale ridotto, può diventare un fattore limitante. Sebbene, tutto sommato, il problema non sussiste, perché sono quasi sempre le femmine a occuparsi del cibo.

Il maschi possono pesare anche 220-240 kg, con una lunghezza di 250-270 cm e 120-130 cm al garrese; le femmine 170-200 kg con una lunghezza di 190 cm e 110-115 cm d’altezza. Nei leoni indiani la dimensione ridotta della criniera, più che legata a fattori ambientali, sembra dipenda da un’alta percentuale d’incroci tra consanguinei.

Sia maschi che femmine di Panthera leo e Panthera leo persica hanno, come la tigre, artigli retrattili lunghi anche 6 cm. Hanno andatura digitigrada, ed i cuscinetti presenti sotto i piedi permettono loro d’avanzare in silenzio, senza farsi scorgere.

Alla nascita, in entrambi i sessi, e fino alla maturazione sessuale, il naso è rosa chiaro, per poi pigmentarsi sempre di più, fino a diventare completamente nero, negli esemplari più anziani.

Entrambi i sessi mostrano una possente muscolatura, che permette d’avere la meglio su tutti i carnivori presenti nel loro ecotipo e su quasi tutti i mammiferi terrestri in genere. Ovviamente non potranno mai abbattere adulti d’Elefanti (Loxodonta africana) o rinoceronti (Diceros bicornis, Ceratotherium simum) a meno che questi siano già gravemente malati e debilitati.

La coda è possente. Raggiunge anche il metro di lunghezza e tra tutti i membri dei Felidae, sono gli unici (sia nel maschio che nella femmina) in cui termina con un ciuffo di peli neri, attraversato da un osso, la cui funzione è ignota. Serve a mantenersi in equilibrio quando saltano nelle imboscate, durante la caccia, dove possono compiere balzi di 10-12 m di lunghezza e 3 m d’altezza !

Possono raggiungere nello scatto, i 70-75 km/h, ma sono poco resistenti, mantenendo questa velocità per solo circa 150-200 m.

Hanno la dentizione tipica dei carnivori, con incisivi sviluppati, denti ferini (particolari molari) adattati a strappare la carne che ingoiano, e canini lunghi anche 8-10 cm, ben saldi, con una radice di 5 cm di diametro. Presentano, un apparato orofaringeo tale che, ruggendo, emettono suoni baritonali, percepibili fino a 3-4 km di distanza, sfruttando anche fattori atmosferici, come la “teoria dell’ inversione termica” proposta dal biologo Frumkin negli anni ’70, e descritta nella nostra introduzione sui Felidae, ha dimostrato.

Hanno una vista acutissima, che permette di localizzare una preda, o un competitore conspecifico, anche a 2 km di distanza. Come gli altri Felidae e Canidae, i leoni non sanno distinguere i colori: sono daltonici, percependo solo le varie tonalità di grigio e il nero, ma vedono benissimo di notte.

I leoncini sono ben accettati nel branco e le madri allattano spesso anche i figli altrui © G. Mazza

I leoncini sono ben accettati nel branco e le madri allattano spesso anche i figli altrui © G. Mazza

Etologia-Biologia Riproduttiva

I leoni vivono generalmente in branchi stanziali, formati da femmine imparentate, dai loro cuccioli, una femmina anziana e da un maschio adulto o una cosiddetta “coalizione” di maschi adulti (fino a 8-9), con gruppi che possono raggiungere le 30 unità. I maschi, raggiunta la maturità sessuale, vengono cacciati dal branco e in genere vagano alla ricerca di un altro gruppo in cui imporsi, sconfiggendo il maschio o i maschi dominanti. Un maschio che non riesca a imporsi su un branco diventa solitamente nomade e vagabonda anche su grandi distanze, da solo o insieme ad altri maschi.

Nei branchi, vi è una ripartizione dei ruoli molto più marcata che in altre specie. Se da un lato l’attività della caccia è appannaggio quasi esclusivo delle femmine, i maschi non hanno un ruolo meno importante. Devono infatti perlustrare il territorio, difendere le prede catturate da eventuali intrusi, e proteggere il branco, specialmente i cuccioli, dai leoni maschi papabili o altri  predatori.

Questo li espone costantemente a scontri diretti contro altri leoni, iene, leopardi e ghepardi, e ha forgiato i leoni maschi in combattenti perfetti, modellati dalla selezione naturale. I giovani maschi, con la criniera relativamente corta, sono discreti cacciatori, anche se non validi quanto le leonesse, mentre i maschi adulti partecipano occasionalmente a battute di caccia se la preda è un animale particolarmente vigoroso, come un bufalo o una giraffa, che possono arrivare anche alle due tonnellate di peso. Malgrado la mole massiccia, il leone è un animale eccezionalmente agile: può salire sugli alberi, nuotare, lanciarsi nel vuoto. La preda uccisa, viene rapidamente portata in un luogo riparato, dove il branco può difenderla da predatori opportunisti come iene, sciacalli e avvoltoi. Al momento di nutrirsi, liti e zuffe all’interno del branco sono comuni, e servono in genere a confermare i rapporti gerarchici, con i maschi adulti che di solito mangiano per primi seguiti dalle femmine e infine dai cuccioli. In molti casi, il leone maschio segue altri predatori come un licaone un ghepardo e interviene, dopo che questi hanno abbattuto la preda, per impadronirsi delle spoglie.

Una caratteristica peculiare, che si ritrova probabilmente come eredità ancestrale anche nei gatti domestici, è che i maschi emettono due tipi di orina. La prima, spruzzata mentre camminano con getti che possono assumere l’inclinazione di circa 90°, in cui sono presenti elevate concentrazioni di feromoni, che fungono come impronta biologica specifica dell’animale per marcare il territorio insieme ai ruggiti; la seconda, emessa accucciandosi, che non ha particolari caratteristiche biochimiche e serve solo a svuotare la vescica.

La femmina presenta la tipica placentazione dei carnivori: una placentazione zonaria in cui i villi coriali sono organizzati in una banda anulare. Si possono accoppiare in qualsiasi momento dell’anno, sebbene in sud Africa, le nascite siano più frequenti durante l’autunno e l’inverno. Sia i maschi che le femmine adulti sono poligami, i parti sono poligemini, i cuccioli alla nascita pesano tra 1,50-1,60 kg e presentano un manto maculato, che sparirà nei maschi con la crescita, dopo la muta. Nelle femmine talora permane. La maculazione infantile è un meccanismo di mimesi, serve a far si che i cuccioli, abbandonati dalla madre durante le battute di caccia, si confondano con la boscaglia, e non vengano uccisi, come talvolta accade, da iene e licaoni. La gestazione dura tra i cento e i centoventi giorni e la femmina partorisce una prole composta di 1-4 piccoli, non necessariamente concepiti tutti con lo stesso padre. Le femmine di un branco, sincronizzano i loro cicli riproduttivi, in modo da cooperare nell’allevamento e nell’allattamento dei giovani, che si nutrono così indiscriminatamente da qualunque femmina. I cuccioli sono svezzati dopo 6-7 mesi. In natura, a causa della feroce competizione per il cibo, l’ 80% dei cuccioli muore entro i due anni di vita.

Quando un nuovo maschio (o una coalizione) prende il comando di un branco scacciando il precedente padrone (o padroni), il nuovo/i capo/i, uccide/ono spesso ogni cucciolo di età inferiore ai due anni circa, affinché le femmine, cessando la lattazione o non potendo più allevare i cuccioli, tornino a essere fertili e disponibili all’accoppiamento. Qualche volta una femmina cerca di difendere i propri piccoli dal nuovo maschio dominante, spesso invano. I leoni maschi, raggiungono la maturità a circa 3 anni di età (le femmine intorno al quarto anno di vita) e, sono in grado di prendere il comando di un altro branco a 4-5 anni. Cominciano a invecchiare e a indebolirsi a 8 anni circa. Pertanto un maschio, ha a disposizione un tempo relativamente breve per imporsi su un branco e creare la sua discendenza. I leoni si riproducono molto facilmente anche in cattività. In natura vivono circa sedici anni; in cattività una decina d’anni in più.

Sinonimi

Felis leo Linnaeus, 1758.

 

→ Per informazioni generali sui FELINI vedere qui