Felidae

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Testo del DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo

 

Il leone maschio dominante ha un ruolo indispensabile nella difesa del territorio © Mazza

Il leone maschio dominante ha un ruolo indispensabile nella difesa del territorio © Mazza

Con 34 specie, la famiglia dei Felidae forma con quelle degli Hyenidae (4 specie) e dei Viverridae (75 specie) il sottordine degli Aeluroidea, che con gli Arctoidea (vedere famiglie Canidae, Mustelidae, Ursidae e Procyonidae) costituisce l’ordine dei Carnivora.

Si discute poi all’interno dell’ICZN (l’ente internazionale preposto alla tassonomia Zoologica) e dell’Unione Internazionale Zoologica, se i Pinnipedia, che sono carnivori a tutti gli effetti, si debbano classificare come un ordine autonomo o come un terzo sottordine dei Carnivora.

Alla famiglia dei Felidae, su cui ci focalizziamo in questa introduzione, appartengono varie specie selvatiche e domestiche molto note.

Il loro rappresentante per eccellenza è il comune Gatto domestico (Felis silvestris catus), insieme al cane uno dei classici animali da compagnia, che deriverebbe zoofilogeneticamente dal Gatto selvatico (Felis silvestris), anche se per diversi autori il discorso non è così lineare e chiaro, e tanto meno concluso.

Altri membri non domestici della famiglia dei felini, ben noti a tutti per la presenza in giardini zoologici, zoosafari e zoopark, sono il Leone (Panthera leo), diffuso in Africa e con una sottospecie o razza anche in Asia, in particolare in India (Panthera leo persica), e la Tigre (Panthera tigris), endemica dell’Eurasia, Cina e alcune isole annesse all’Indocina, come Sumatra, Giava, la quale è suddivisa in diverse razze e sottospecie, tutte, come i leoni, in pericolo d’estinzione, sotto il costante controllo di CITES, IUCN e WWF.

O ancora, il Ghepardo (Acinonyx jubatus) endemico dell’Africa o il Leopardo (Panthera pardus) presente sia in Africa che Asia, dove esiste una sua forma melanica: la pantera nera. Altre specie asiatiche selvatiche meno conosciute, perché rare e poco studiate, sono ad esempio: il Gatto del Bengala (Felis bengalensis), il Gatto del Temminck (Felis temminckii) o il Gatto viverrino (Felis viverrina) endemici del sud-est asiatico, cui si aggiungono molte altre specie che tratteremo nelle schede.

La criniera è un chiaro carattere di dimorfismo sessuale © Giuseppe Mazza

La criniera è un chiaro carattere di dimorfismo sessuale © G. Mazza

A parte i Poli e le regioni subartiche e subantartiche la famiglia dei Felidae, è presente in tutto il pianeta. Nel Sud America troviamo infatti il Giaguaro (Panthera onca) anch’esso con una variante melanica, il giaguaro nero; nell’America settentrionale e meridionale il Puma (Puma concolor), con un nome volgare derivato dalla lingua Inca cui si è aggiunto quello di Leone di montagna; e in Europa per esempio la Lince (Lynx lynx), presente anche in Africa ed Asia, con le sue diverse razze tutte in serio pericolo d’estinzione.

Come visto dagli esempi sopra citati, nei nomi scientifici compare in alcuni casi il termine Panthera in altri Felis, in altri nomi non afferenti come Acinonyx e Lynx.

Fino all’inizio del ventesimo secolo, i biologi parlavano del genere Felis, cui associavano principalmente i gatti, sia domestici che selvatici, e del genere Panthera, cui si faceva risalire il leopardo, il leone, e la pantera nera, considerata una specie a se stante, e non, come si è poi dimostrato, solo una variante melanica del Leopardo (Panthera pardus). La tigre veniva messa coi gatti, tanto che il nome scientifico era Felis tigris.

Successivamente ci si rese conto che le varianti melaniche e albine erano determinate da sovra-espressioni o non espressioni per epistasi o mutazioni a carico di geni regolatori del colore del manto, presenti in leopardi, giaguari, leoni e tigri (varianti leucistiche), e che in barba ai generi a suo tempo assegnati, tutti questi animali avevano una comune origine zoofilogenetica.

In questa introduzione alla famiglia dei Felidae, che li riunisce, non possiamo parlare di tutte le specie, che rinviamo alle singole schede, ma nemmeno ignorare animali importanti come il Leone (Panthera leo), la Tigre (Panthera tigris), o il Leopardo (Panthera pardus).

Il leone, il massimo predatore della savana africana, è presente anche in India con la Panthera leo persica, una razza di dimensioni minori, quasi senza criniera, che vive, in scarsa competizione con la tigre, in piccoli gruppi, geograficamente isolati, dove questa è assente. Da studi zoogenetici e paleontologici, secondo il biologo zoologo O’ Brien, la specie africana e la razza indiana avrebbero un antenato comune vissuto tra la fine del Pleistocene medio e l’inizio dell’ultima glaciazione del Würm tra i 200.000 e i 55.000 anni fa.

Fino alla seconda guerra mondiale, sugli altopiani marocchini dell’Atlante e dell’Anti-Atlante, si aggirava anche il così detto Leone Atlantico o Leone Berbero (Panthera leo leo), di dimensioni ragguardevoli. Alto un metro e mezzo al garrese e lungo tre, con 300 kg di peso superava anche la tigre siberiana.

Allegro festino con un bufalo appena ucciso © Giuseppe Mazza

Allegro festino con un bufalo appena ucciso © Giuseppe Mazza

L’ultimo esemplare libero in natura, osservato dai biologi zoologi nel 1942, fu abbattuto dai cacciatori in Marocco vicino al passo montano di Tizi-N’ Tichka. E si parla anche di specie spurie (ibride) con dubbia identità biologica. Alcuni esemplari potrebbero essere infatti nati dai leoni presenti nel giardino zoologico di Témara, città marocchina a 6 km da Rabat.

Era il più grande felino, dopo l’estinzione della razza euroasiatica, detta Leone delle caverne euroasiatico o europeo (Panthera leo spelaea), che raggiungeva, insieme al Leone delle caverne americano (Panthera leo atrox), i 3,5 m di lunghezza, come mostrano gli scheletri fossili del Pleistocenico superiore rinvenuti in Europa, Asia e Nord America.

Il Leone (Panthera leo) è il più grande predatore della savana, suo habitat per eccellenza. Passa la maggior parte della sua vita a riposo, cacciando solo se affamato, e anche allora cerca spesso di fare il furbo, rubando la preda uccisa da altri carnivori: un Leopardo, un Ghepardo, o qualche Hyenidae.

In genere cacciano solo le femmine del branco, mentre il maschio dominante preferisce riposare sotto un albero d’Acacia tortilisOvviamente date le alte temperature, che toccano anche i 50° C all’ombra, la caccia si svolge principalmente di notte o all’alba. Quando vive solitario il maschio, è obbligato a cacciare, percorrendo anche 50 km al giorno per trovare la preda e abbeverarsi. I leoni infatti bevono molto, anche 2-3 volte a settimana. Ma anche quando è a capo di un branco, aiuta le femmine, nella caccia, in presenza di prede di grandi dimensioni, come un Alcelaphus buselaphus, un Syncerus caffer o un Connochaetes taurinus.

Le femmine che sono cacciatrici spietate, ogni giorno, durante le battute di caccia, portano con se i cuccioli, che osservandole, affinano con l’esperienza, l’istinto geneticamente ereditato della predazione. Imparano la tecnica, come nascondersi nella folta savana e avvicinarsi alla preda in silenzio per sorprendere l’ignaro erbivoro.

Per i felini il fegato è una preziosa riserva di vitamina A © Giuseppe Mazza

Per i felini il fegato è una preziosa riserva di vitamina A © Giuseppe Mazza

Pur essendo carnivori per eccellenza, in condizioni di carenza alimentare i leoni possono adattarsi a mangiare insetti e rettili. Sono quindi definiti Eurifagi, che si nutrono cioè di un ampio spettro di prede, in contrapposizione agli Stenofagi, che si nutrono di una sola preda.

Anche se la fatica della caccia incombe alle femmine, i primi a mangiare sono sempre i maschi, o meglio il maschio dominante del gruppo, che con potenti ruggiti, mostrando i terribili canini, ricorda ogni volta agli altri membri del branco, maschi e femmine, chi è il capo, cui spetta, per primo, il diritto di nutrirsi.

Durante il pasto di una preda appena uccisa, poiché i leoni, come tutti i membri della famiglia dei felini, non sono in grado di produrre la vitamina A, si nutrono subito del fegato, organo in cui questa si deposita elettivamente.

L’apparato gastroenterico dei membri della famiglia dei felini, come per altri carnivori elettivi, è differente da quello degli erbivori, con un sacco monogastrico, un intestino più corto, e un cieco ridotto, mentre le ghiandole digestive, fegato, pancreas sono ben sviluppate per produrre enzimi ad attività proteolitica (prodotte anche dalla mucosa gastrointestinale) atti a digerire l’alto carico di proteine presente nella carne delle prede.

I maschi dominanti hanno anche la precedenza, sui giovani, negli accoppiamenti che avvengono durante tutto l’arco dell’anno, ma la loro vita, non è soltanto piacere, e comporta anche precisi doveri, come la feroce difesa del territorio e dei membri del branco, da altri leoni in concorrenza. La maggior parte dei felini vivono solitari: si pensi alla tigre o al leopardo. I leoni si riuniscono invece in gruppi o branchi, che contano da 2 a 30 individui. Non si tratta di harem, perché includono spesso due o più maschi adulti, maturi sessualmente, e nemmeno di gruppi familiari, benché le femmine siano in genere imparentate tra di loro.

Un tipico gruppo, comprende due maschi adulti, una femmina molto vecchia e due femmine più giovani, ognuna con 2-3 piccoli al seguito. I piccoli che riescono a sopravvivere ai pericoli dell’ adolescenza, non rimangono sempre legati al branco, e alcuni s’allontanano per formarne di propri.

I leoni si riproducono tutto l’anno © Giuseppe Mazza

I leoni si riproducono tutto l’anno © Giuseppe Mazza

I leoni, per natura molto aggressivi e spesso rivali, mal si adattano alla vita di gruppo. I rapporti all’interno del branco sono spesso molto tesi, ed esplodono frequenti liti. La vita comunitaria comporta tuttavia dei vantaggi, come quello di poter allevare in gruppo i cuccioli. In alcuni casi i membri del branco cacciano insieme, ma non è la norma.

Ogni branco ha un territorio, che può variare da 4.000 a 13.000 ettari. La sua ampiezza dipende dalla densità di popolazione, delle prede presenti, e delle sorgenti d’acqua. I biologi zoologi hanno calcolato un rapporto di 3-4 leoni per 1.000 erbivori.

Il maschio, che nel pieno del suo sviluppo può raggiungere i 200-240 kg e una lunghezza di circa 2-2,20 m, contro i 150-170 kg delle femmine, ha un ruolo indispensabile nella difesa del territorio. Presenta una folta criniera marrone, in contrasto col fulvo manto del corpo, che si fa più scura col raggiungimento della maturità sessuale. Assente nelle femmine, è un chiaro carattere di dimorfismo sessuale.

I piedi degli arti anteriori (come per tutti i Felidae) hanno 5 dita, 4 nei piedi degli arti posteriori. La coda in entrambi i sessi, possente e lunga anche 1 m, termina con un ciuffetto di crini scuri. La dentizione è ovviamente tipica dei carnivori: canini e incisivi molto sviluppati, con anche 10 cm di lunghezza, utilizzati sia per strappare la carne, che per la difesa e la caccia.

In più sono presenti una classe di denti, detti ferini, al posto di alcuni molari classici degli erbivori, che servono per tagliare la carne, la quale viene ingoiata non masticata, i felini non masticano come la maggior parte dei carnivori, ingoiano il boccone.

Il possente ruggito di un leone maschio, baritonale a bassa frequenza, si fa sentire anche a 3-4 km di distanza. Gli zoologi hanno notato che tali versi vengono emessi in relazione a stati fisiologici precisi, per esempio entrando in fregola, quando viene percepita la presenza di una femmina in estro, ma anche per delimitare acusticamente (dopo averlo fatto con l’orina) i limiti invalicabili del territorio, come accade ogni giorno al tramonto o nelle prime ore dell’alba. Questo perché, stando alla “teoria dell’inversione termica” proposta dal biologo Frumkin nel 1970, i ruggiti emessi in queste fasi della giornata si propagano meglio per motivi atmosferici.

I leoncini sono ben accettati nel branco e le madri allattano spesso anche i figli altrui © G. Mazza

I leoncini sono ben accettati nel branco e le madri allattano spesso anche i figli altrui © G. Mazza

Nella savana africana, infatti, ma questo vale anche per altre regioni estremamente calde nel mondo, la notte è fredda, e la temperatura può scendere anche di 20-25° C rispetto il giorno. Una Giraffa camelopardalis che tra i piedi e la testa presenta un dislivello di 5 m, può per esempio percepire di notte, alla base delle zampe, temperature più basse di 25° C rispetto al capo.

Questi enormi gradienti termici fanno si che verso l’alba si formi un vero e proprio scudo d’aria calda nell’atmosfera, che rimbalza i suoni baritonali a bassa frequenza dei leoni e degli elefanti (possono persino raggiungere i 6 km di distanza !), riducendone la dispersione e propagandoli in lunghezza, mentre in prossimità del tramonto la discesa d’aria fredda forma uno scudo analogo.

Questo coincide proprio coi momenti in cui leoni ed elefanti emettono le loro grida, e non è chiaro se sono consapevoli ed usano le proprietà atmosferiche come una sorta di linea telefonica interurbana, o se è tutto solamente frutto del caso.

La possente mole del maschio, unita alla voce, all’aggressività, ed alla grande capacità combattiva, che gli permette d’attaccare, se affamato, anche anziani Elefanti (Loxodonta africana) per non parlare degli Ippopotami (Hippopotamus amphibius), dei Coccodrilli (Crocodylus niloticus), Rinoceronti (Diceros bicornis e Ceratotherium simum), Bufali cafri (Syncerus caffer) e persino dell’essere umano, gli hanno valso non ha torto il titolo di re della savana o della foresta.

Se un branco di iene può, in alcuni casi, cacciare una leonessa dalla preda uccisa, queste non si avvicinerebbero mai in presenza di un maschio ! I leoni si riproducono, come accennato prima, per tutto l’anno, anche se in Sud Africa, la maggior parte delle nascite, avviene in autunno e inverno. Durante l’accoppiamento un maschio e una femmina possono avere più amplessi al giorno, anche 20, ma di breve durata, di 15-20 secondi ciascuno.

La tigre è meno combattiva del leone e leggermente più piccola © Giuseppe Mazza

La tigre è meno combattiva del leone e leggermente più piccola © Giuseppe Mazza

Le femmine gravide, in prossimità del parto, si allontanano dal branco per partorire in un luogo isolato. Nascono 3-4 cuccioli, dopo una gestazione di 100 giorni circa, con un peso di 1,50-1,60 kg circa.

I piccoli presentano un manto chiazzato, con macchie marroni circolari, che spariscono durante la crescita nei maschi, e permangono talora nelle femmine.

Nel frattempo si forma la criniera, meno folta, ma estesa anche lungo tutto il ventre, nella razza indiana.

Nella specie africana questa si limita alla testa, ma fa assumere ai maschi dimensioni davvero imponenti. E serve anche da protezione nei combattimenti, perché i peli, duri e folti, proteggono dagli artigli dell’avversario.

Le prime dieci settimane di vita, prima d’essere integrati al branco, sono molto critiche per i leoncini, che sono spesso preda delle iene, mentre la femmina si allontana per andare a caccia. Solo metà della prole raggiunge in genere l’età adulta.

I rapporti sociali coi maschi e le altre femmine migliorano quando i cuccioli entrano a far parte del branco, al punto che vengono protetti da tutti, e spesso due madri se ne disputano l’allattamento. Inizialmente gli spostamenti del branco, sono limitati dalla presenza dei cuccioli, ma dopo qualche settimana riprendono, con un raggio sempre più ampio, e i piccoli si adeguano.

Pur seguendo da sempre le madri nelle battute di caccia, per impararne le tecniche, saranno in grado di procacciarsi una preda solo verso il diciottesimo mese di vita, periodo che segna a una seconda fase critica della loro esistenza, perché coincide spesso con la nascita di altri cuccioli fratelli. La madre si disinteressa di loro, ed i maschi diventano intolleranti alla loro presenza, rubandogli il cibo o allontanandoli bruscamente affinché provvedano a se stessi.

Un Panthera pardus mimetizzato fra i rami © Giuseppe Mazza

Un Panthera pardus mimetizzato fra i rami © Giuseppe Mazza

Le battute di caccia si protraggono dal tramonto all’alba, non essendo molto resistenti nella corsa, i leoni tendono agguati, sbucando improvvisamente dal folto della savana in prossimità di una preda, sorprendendola durante il pasto.

Sia le femmine che i maschi, quando attaccano una preda, saltano sulla sua schiena, addentando con la potente morsa la gola, non squarciandola, ma soffocandola. Spesso il peso del leone può spezzare la schiena dell’erbivoro. Ma 4 volte su 5 la preda riesce a sfuggire, in quanto più rapida o protetta dal suo branco. Per questo vengono di preferenza attaccati i cuccioli degli erbivori, che sono meno esperti nella fuga e si spaventano, disorientandosi più facilmente degli adulti.

I leoni cacciano solo se sono veramente affamati, ma quando mangiano lo fanno fino a rimpinzarsi. Un maschio adulto può mangiare anche 40 kg di carne a pasto: 1/6 del suo peso ! Ai banchetti, per favorire la digestione, fa seguito un lungo sonno.

A causa della grande quantità di sangue fresco assunto, dopo il pasto i leoni emettono feci nere. Quando sono marroni è invece un chiaro segno di digiuno. Per gli zoologi, l’esame delle feci è quindi un metodo per stabilire se un leone ha mangiato da poco, o meno, e per capire di cosa si nutre, perché i peli presenti, non digeribili, mostrano poi, al microscopio, la natura della specie predata. Le iene attendono la fine del pasto di un leone o gruppo di leoni per nutrirsi dei resti, ma può accadere che un gruppo di iene venga cacciato via da due, tre leoni maschi che gli rubano la preda appena uccisa, comportandosi da spazzini opportunisti.

Zoogeograficamente il Panthera leo è oggi presente nell’Africa sub-sahariana, mentre la razza asiatica Panthera leo persica risulta confinata nelle isolate foreste di Gir in India.

La Tigre (Panthera tigris), l’altro grande felino predatore, è presente nella Eurasia (Russia-Siberia), Cina meridionale, India, nel sudest asiatico, ove è confinata in Parchi Riserve Naturali. Oggi sopravvivono in natura solo pochissimi esemplari, forse 5.000-6.000 al massimo, ma in compenso ve ne sono altrettanti nei giardini zoologici, zoosafari, e zoopark. Grazie a queste strutture, che spesso recuperano esemplari feriti dai bracconieri, non più in grado di reintegrarsi nel loro ecotipo naturale, si è finora evitata l’estinzione delle sue diverse razze e sottospecie con programmi di biologia della riproduzione. In passato l’areale della tigre si estendeva dalla Europa alla Turchia, fino alla Cina. Esigui gruppi, sono presenti ancora oggi, anche in Iran e Manciuria.

La IUCN, il WWF, e la CITES ne monitorano costantemente la popolazione e tentano di contrastarne il bracconaggio, mediante la cooperazione tra biologi e guardie rangers, per evitarne l’uccisione, allo scopo di ricavarne la pelliccia a fini commerciali e le zanne, che come il corno di rinoceronte, purtroppo ancora oggi, vengono utilizzate nella medicina orientale, perché si pensa posseggano poteri afrodisiaci e magici, credenze interessanti dal punto di vista antropologico-etnologico, ma che non hanno alcun fondamento scientifico.

La lunga coda permette ai leopardi di mantenersi in equilibrio perfetto © Giuseppe Mazza

La lunga coda permette ai leopardi di mantenersi in equilibrio perfetto © Giuseppe Mazza

Contrariamente a quanto spesso si crede, la tigre non è più grande del leone. Il Leone Atlantico (Panthera leo leo) supera infatti per dimensioni, come abbiamo visto, anche la tigre siberiana, che è la razza più grande della specie.

In cattività le differenze in dimensioni, tra maschi di Panthera leo e Panthera tigris sono quasi nulle. Si può registrare al massimo 10 kg di grasso e 3-4 cm di lunghezza in più nelle tigri, mentre in natura i valori si equivalgono o sono a favore del leone.

Anche in termini di tecniche combattive e ferocia, il leone che ha più competitori della tigre nel suo ecotipo, è quindi più pericoloso ed abile del felino asiatico. Tant’è che negli zoo e zoosafari i leoni creano molti più problemi di adattamento e sono molto più pericolosi per i visitatori delle tigri; e quando i maschi delle due specie si battono in cattività è sempre la tigre a soccombere. La tigre resta comunque sempre, in natura, un terribile e pericoloso predatore.

Le tigri vivono solitarie e, si riuniscono in coppie, solo per procreare e allevare i cuccioli. Non sono però animali del tutto asociali, infatti quando è stata uccisa un grossa preda, come un cervo adulto, gli individui che vivono sul medesimo territorio, si riuniscono a volte per sbranarla. Ogni maschio, ha un suo territorio di caccia, che difende dagli altri maschi. Questi territori coprono spesso aree dove vivono numerose femmine e aree indifese, e a volte si sovrappongono.

Di solito, sia maschi che femmine, delimitano il loro territorio di caccia, orinando ed emettendo secrezioni odorose. Di norma la tigre vive al centro del suo areale, ove fa ritorno, dopo la caccia per risposarsi, lasciando la preda uccisa, non completamente divorata, nel luogo dell’agguato, nascondendola tra i rovi, per evitare che altre tigri o leopardi se ne possano cibare. Le tigri, diventate sessualmente mature, vagano fino a che trovano un luogo dove stabilire, il centro del loro areale.

La Neofelis nebulosa è un antenato del leopardo © Giuseppe Mazza

La Neofelis nebulosa è un antenato del leopardo © Giuseppe Mazza

Il possesso del territorio, marcato come sopra descritto, viene proclamato sia dai maschi che dalle femmine, con ruggiti che raggiungono i 3 km di distanza. Le femmine ruggiscono anche per richiamare i cuccioli o per attirare i maschi durante il periodo dell’estro. I maschi durante l’accoppiamento.

Nelle ore diurne, come il leone, la tigre dorme o rimane nel folto della foresta, magari guazzando in uno stagno per rinfrescarsi. Al crepuscolo va a caccia, senza uscire dal suo territorio, dove può percorrere anche 30 km a notte.

Scoperta una preda, che può essere un cervo o un Bufalo d’acqua (Bubalus bubalis), con la vista e l’udito, più che con l’olfatto, si avvicina fino a 10-20 m, per assalirla improvvisamente da tergo. La tigre ha una tecnica di caccia solo in parte simile al leone: non salta sulla schiena dell’animale, ma lo butta giù con un colpo di zampa anteriore, tramortendolo. Poi lo soffoca, con il potente morso alla gola o, nel caso di prede minori, le fulmina mordendole alla nuca.

A volte la tigre tende l’agguato in prossimità di una pozza d’acqua o un sentiero, aspettando che l’animale s’avvicini. Non ha la resistenza necessaria a lunghi inseguimenti, e sfrutta quindi la sua zebratura nera sul mantello fulvo, giallo-rossiccio, per mimetizzarsi nella folta vegetazione pluviale tropicale del suo biotopo. Anche la tigre, come il leone, è carnivora elettiva e eurifaga. Le sue prede abituali sono, cervi, cinghiali, antilopi, nilgau, gaur, bufali e bestiame domestico, ma quando queste mancano, si nutre anche di piccoli rettili, rane, uccelli, e pesci. In un solo pasto, che può durare anche due ore e mezza, una tigre magia fino a 22-24 kg di carne, e poi nasconde i resti per i giorni successivi.

Le dimensioni variano con le sottospecie e razze. La più grande è quella siberiana. Nella specie Panthera tigris un maschio può raggiungere i 200-220 kg di peso e 2-2,20 m di lunghezza; una femmina circa 140 kg e 1,90-2 m al massimo.

Nel periodo della riproduzione, le tigri, come i leoni, si accoppiano più volte al giorno. L’atto è breve, e anche in questa specie non dura più di 15-20 secondi. Dopo una gestazione di tre mesi, la femmina partorisce in una tana, da 1 a 5 piccoli, di cui in media due soltanto sopravvivono e diventano adulti. La madre, come per i leoni, allatta i piccoli per circa 6 settimane, poi subentra lo svezzamento con la carne.

Quando hanno da 4 a 6 settimane di vita, i piccoli, che da tempo hanno imparato a camminare, cominciano a seguire la madre nelle battute di caccia, ma non vi prendono parte fino al sesto mese di vita. Durante questo periodo, la madre, abbatte la preda ma non la uccide, lasciando il compito ai piccoli. Una giovane tigre diventa completamente indipendente a circa 12 mesi di vita postnatale. A 12-18 mesi è già capace d’uccidere suini e cervi, ma solo a partire dai tre anni è in grado d’abbattere i bufali d’acqua.

In barba al nome il Leopardus guigna è grande come un gatto © Giuseppe Mazza

In barba al nome il Leopardus guigna è grande come un gatto © Giuseppe Mazza

Molti sub-adulti, abbandonati dalle madri, soccombono anche ad opera di altre tigri, o altri animali, fra cui il Rinoceronte indiano (Rhinoceros unicornis).

Due segnali caratteristici, sono stati individuati dagli zoologi cinesi, come segnali etologici di aggressività nelle tigri. Secondo alcuni scienziati, quando una tigre abbassa le orecchie mostrando nel contempo i canini è in fase di difesa, mentre quando, ruotando le orecchie, mostra le macchie bianche del dorso è sul punto d’aggredire.

Come i leoni e molti altri felini, le tigri presentano 5 dita nei piedi anteriori e 4 in quelli posteriori e artigli retrattili. Quando camminano alloggiano in apposite tasche per evitare che si consumino, mentre durante l’attacco si estrudono, grazie a potenti muscoli estensori.

Un altro membro importante della famiglia dei Felidae è il Leopardo (Panthera pardus). È il più agile dei grossi felini, in grado d’inseguire la preda nel folto della vegetazione o aggredirla saltando dal ramo di un albero, dato che è un ottimo arrampicatore. Più piccolo del leone e della tigre, ma non è meno feroce, raggiunge nei maschi i 135 cm di lunghezza con appena 50 kg di peso. Più silenzioso del leone e della tigre, sa nuotare, arrampicarsi sugli alberi, e saltare come la tigre. Quando è in bilico su un tronco, a diversi metri da terra, la coda lunga più di un metro gli permette di restare in equilibrio perfetto, e passa molto del suo tempo sugli alberi, accucciato fra i rami.

I leopardi, sono diffusi in gran parte dell’Asia fino a Sumatra e dell’Africa, non solo nelle folte foreste tropicali, ma anche nelle zone più aperte. In Asia, gli areali di distribuzione di leopardi e tigri coincidono largamente. Non c’è concorrenza, perché mentre le tigri si occupano per lo più dei grossi ungulati, i leopardi tendono a cacciare animali di taglia inferiore, come uccelli, scimmie e roditori. La non sovrapposizione dell’ecologia alimentare, permette di vivere in areali sovrapposti.

I leopardi cacciano per lo più la notte. Di giorno, in genere, preferiscono riposarsi. Quando hanno avvistato la preda, la seguono silenziosamente, strisciando a terra, per poi saltargli addosso, al momento giusto, senza pietà e tentennamenti. Spezzano il collo alle specie più piccole, mentre quelle di taglia maggiore vengono afferrate ai lombi, e poi aggredite alla gola e soffocate col morso.

Il giaguaro assomiglia al leopardo, ma è più massiccio, con le gambe più corte © G. Mazza

Il giaguaro assomiglia al leopardo, ma è più massiccio, con le gambe più corte © G. Mazza

Quando la preda è morta, la sventrano, scartando inizialmente gli intestini, e si nutrono subito del fegato, preziosa riserva della vitamina A, del cuore e delle cosce.

I resti vengono portati su un albero, per evitare che animali spazzini, come sciacalli o iene, possano rubarli. Anche in questo caso è la vista più che l’odorato ad aiutare nella caccia il felino.

Il pelo del leopardo è corto, giallo cosparso di macchie nere. La disposizione di tali macchie è sempre diversa: come gli alberi della foresta non hanno mai lo stesso numero e disposizione dei rami, così non esistono due mantelli identici.

La femmina partorisce in genere tre cuccioli dopo tre mesi di gestazione. Appena sono abbastanza grandi, seguono la madre nelle battute di caccia, e dei due genitori, lei è l’unica a prendersi cura della prole. Li osserverà mentre uccidono le prede, prima piccole, e poi via via, crescendo, di taglia sempre maggiore.

La pantera nera, che vive nelle più umide giungle dell’Asia sudorientale, è una forma melanica della Panthera pardus, non una specie diversa. Osservato bene sotto la luce, il suo manto nero lucido evidenzia infatti delle macchie più scure, tipiche del leopardo.

Infine un’ultima specie di leopardo, il Leopardo nebuloso (Neofelis nebulosa), che molti biologi zoologi considerano il progenitore non estinto dell’attuale Panthera pardus è endemico dell’Asia sudorientale. Oggi rarissimo, ha il manto giallastro, cosparso di grandi macchie grigie orlate di scuro. Con circa un metro di lunghezza e 24 kg di peso, ha dimensioni intermedie tra il leopardo ed i piccoli felini. La sua coda raggiunge i 75 cm di lunghezza, e come per il leopardo serve a mantenere l’equilibrio quando si spostra fra i rami. Negli esemplari più vecchi, il centro della macchia tende a schiarirsi, lasciando ben visibili solo i bordi orlati scuri, ed è quindi facile conoscere l’età dell’animale.

Il Puma concolor coryii è un raro felino della Florida © Giuseppe Mazza

Il Puma concolor coryii è un raro felino della Florida © Giuseppe Mazza

Tutti i piccoli felidi delle foreste asiatiche sono solitari. I maschi e le femmine vivono insieme solo durante il periodo degli accoppiamenti. I maschi non si curano mai dei piccoli, che nascono in tane scavate nel terreno o nel cavo degli alberi.

Anche i felini asiatici di piccola taglia sono temibili ed esperti cacciatori. La maggior parte sa arrampicarsi benissimo sugli alberi, e cacciano gli animali più svariati: scimmie, topi, uccelli, rettili, anfibi, e persino insetti, non disdegnando i pesci che uccidono nei piccoli corsi d’acqua. A differenza del gatto domestico i piccoli felini asiatici amano infatti generalmente l’acqua, come del resto accade per la tigre o il leopardo.

Il Gatto della giungla (Felis chaus), preda di preferenza uccelli come pappagalli, pernici e fagiani. Endemico dell’Asia sudorientale e del Medio Oriente, vive sia nelle zone più aperte della foresta che nelle macchie della savana. Di casa in canneti, boschetti, bush e piccole foreste di pianura, ha l’estremità della coda ornata d’anelli neri, e anche la punta delle orecchie termina con ciuffetti di pelo nero. Sia i maschi che le femmine pesano 7-8 kg circa.

Di equivalente statura c’è il temibile Gatto viverrino (Felis viverrina), endemico del Sudest Asiatico, India, Pakistan, Cina, e isole annesse. Vive di preferenza accanto a fiumi e ruscelli, dove va a caccia di pesci, grazie alle dita parzialmente palmate che caratterizzano i suoi piedi, o nelle foreste acquitrinose e nelle paludi, dove cattura anche piccoli mammiferi, rettili, anfibi e uccelli acquatici. Entrambi i sessi misurano circa 80 cm, con una coda di 30 cm. Le macchie che ornano la loro pelliccia sono ordinate in linee lungo tutto il corpo, quelle presenti sulle zampe appaiono poco distinte.

Un altro gatto asiatico, che presenta un’ecologia alimentare equivalente a quella del Felis viverrina, è il Felis planiceps, presente in Malesia e nelle foreste del Borneo e di Sumatra. Vive anche lui lungo i corsi d’acqua, con stessa dieta. Altre due specie di piccola taglia, endemiche del Sudest asiatico, sono il Gatto di Temminck (Felis temminckii) e il Gatto variegato (Felis marmorata).

Il Felis temminckii è l’unico felino asiatico, che presenta un manto uniforme, non maculato. È tutto bruno, con due strisce nere sulle guance giallastre, e con una linea chiara sopra gli occhi. Si arrampica e vive bene sugli alberi, nutrendosi di uccelli, piccoli mammiferi, scimmie, rettili e anfibi. Ha dimensioni simili a quelle del gatto viverrino. Il Felis marmorata è invece solo poco più grande del gatto domestico, ha una coda molto lunga e pelosa. Sui fianchi le macchie dall’orlo scuro, conferiscono al suo pelame un aspetto marmorizzato, da cui deriva il nome. Si nutre di piccoli mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e insetti.

Il Bobcat (Lynx rufus) è più piccolo della lince europea © G. Mazza

Il Bobcat (Lynx rufus) è più piccolo della lince europea © G. Mazza

I membri della famiglia dei Felidae che abbiamo fin qui descritto, sono autoctoni dell’Africa o dell’Asia, ma varie specie di felini vivono anche nelle foreste tropicali sudamericane.

Tra le specie più piccole, due tipi a pelame maculato, il Margay (Felis weidii), il Gatto tigre (Felis tigrina) sono più numerosi del loro affine, l’Ocelot (Felis pardalis) che vive in zone alberate e più aperte. Il margay e il gatto tigre, sono animali molto timorosi e circospetti. Vivono nel folto della foresta e cacciano di preferenza la notte.

Sulla loro etologia, ecologia alimentare, e biologia riproduttiva si conosce ben poco, mentre l’ocelot, che abita in zone più aperte, è stato meglio studiato. Sappiamo che vive sugli alberi, ma si nutre a terra, e che a differenza degli altri felini non tende agguati, ma rincorre la preda. Queste tre specie presentano tutte un manto giallo dorato, bianco sul ventre, con macchie e chiazze scure, e si nutrono presumibilmente d’uccelli e piccoli mammiferi.

Sempre in Sudamerica troviamo il Jaguarundi (Felis yagouaroundi) è più forte e grande delle tre specie sopra citate. Misura in tutto 120 cm, coda compresa, e vive più ai margini che all’interno delle foreste. Manto uniforme, non maculato, e lunga coda. In Messico è chiamato gatto lontra, sebbene il nome non renda giustizia al suo aspetto. Il pelo, può presentare tre colorazioni: nera, grigia scura e castana. Si nutre di specie sia a vita arboricola che terragnola: scimmie, uccelli, piccoli mammiferi, rettili e anfibi.

In Sudamerica è presente anche il Leopardus guigna, autoctono delle foreste pluviali tropicali in diverse aree geografiche, che in barba al nome è poco più grande di un gatto. Detto comunemente kodkod, e noto anche in passato come Oncifelis guigna. Animale molto raro e membro a pieno titolo della red list of endangered specie della IUCN.

Conta due sottospecie: il Leopardus guigna guigna ed il Leopardus guigna tigrillo con differenze minime. Il primo si distingue infatti solo per i piedi macchiati, la colorazione più brillante, ed una corporatura più minuta. A prima vista il kodkod è molto simile al Gatto di Geoffroy o Gatto montano (Leopardus geoffroyi), anche lui endemico del Sud America, e noto in passato anche col nome di Felis geoffroyi o Oncifelis geoffroyi. In realtà il kodkod presenta macchie nere di forma più tondeggiante ed alcune striature sulla testa e sulle spalle assenti nel Leopardus geoffroyi.

La folta e corta coda nel kodkod risulta marchiata con anelli, mentre le parti posteriori delle orecchie sono nere con un punto bianco centrale. Sono frequenti anche esemplari melanici nel folto della foresta.

Il ghepardo è il più veloce animale terrestre © Giuseppe Mazza

Il ghepardo è il più veloce animale terrestre © Giuseppe Mazza

Il kodkod presenta un cranio brachicefalo (corto e molto largo) e convesso. La classificazione tassonomica risulta ancora ambigua, sia per il kodkod che per il gatto di Geoffroy.

Nella nomenclatura sono stati infatti proposti i generi Leopardus, Oncifelis e Felis usato ancora oggi da molti zoologi.

Quello che invece pare certo, da analisi genetiche, è che il kodkod e il gatto di Geoffroy sono parenti. Quindi forse, dal punto di vista tassonomico, sarebbe bene pensare ad una classificazione comune.

Ma il più grande carnivoro delle foreste tropicali sudamericane e dei Felidae del Nuovo Mondo, è senza alcun dubbio il Giaguaro (Panthera onca). Assomiglia al leopardo, ma è d’aspetto più massiccio, con le zampe più corte. E a differenza di questo, le rosette del manto recano al loro interno delle macchie. Benché il giaguaro sia in grado d’arrampicarsi sugli alberi, gli adulti sono troppo pesanti per muoversi agilmente fra i rami. I maschi possono infatti raggiungere anche i 2 m di lunghezza, con 120 kg di peso. Pur avendo circa la stessa lunghezza, il giaguaro è molto più robusto del leopardo, con una massa muscolare che richiama più quella dei leoni e delle tigri.

I giaguari sono animali errabondi, e a volte, uscendo dalle foreste, possono spingersi fino alle Pampas, dove uccidono il bestiame. In genere però cacciano gli animali della foresta: cervi, aguti, e branchi di pecari che seguono pazientemente, attendendo l’occasione propizia per aggredire qualche esemplare isolato. Come per i leopardi, i giaguari melanici non sono una specie a sé stante, e al pari delle pantere nere, di casa nelle dense foreste asiatiche, mettono a profitto, nelle oscure foreste sudamericane, la peculiarità del loro cromatismo del manto.

A differenza dei felini di piccola taglia, che in qualche specie partoriscono due cuccioli l’anno, le femmine di giaguaro, partoriscono solo ogni due o tre anni.  Maschi e femmine, fanno vita in comune soltanto nel periodo d’accoppiamento. I parti sono per lo più bigemini, e i cuccioli impiegano circa 2 anni per raggiungere la maturità sessuale.

Nelle due Americhe, dal Canada alla Patagonia, dalle foreste ai deserti, fino al limite della vegetazione arborea, vive un altro grosso felino: il Puma (Puma concolor) con varie sottospecie. Detto anche Leone di montagna, o Leone d’America, presenta una colorazione uniforme, che va dal bruno-giallastro al giallo-grigiastro. La livrea maculata dei giovani, scompare infatti con la prima muta. Può raggiungere i 120-130 Kg di peso, con lunghezze che vanno dai 95 ai 160 cm, ed una coda di 45-80 cm. Le gambe sono robuste, idonee a salti molto lunghi, tant’è che può compiere, da fermo, incredibili balzi di 6-8 m.

Eccellente corridore, agilissimo nel salire sugli alberi o arrampicarsi sulle rocce, a caccia principalmente di mammiferi di media e grossa taglia.

Acinonyx jubatus con Eudorcas thomsonii appena uccisa © Giuseppe Mazza

Acinonyx jubatus con Eudorcas thomsonii appena uccisa © Giuseppe Mazza

A seconda del tipo di prede presenti nel suo habitat, tende a specializzarsi su un solo genere, come scimmie o pecari negli habitat subtropicali.

Per questo è definito stenofago, in contrapposizione agli eurifagi, come il leone, che si nutrono di varie specie d’erbivori.

Durante il periodo riproduttivo, i maschi, generalmente poco aggressivi e tolleranti coi conspecifici, ingaggiano furiose lotte, per la conquista della femmina.

Una volta nati, i cuccioli, sono allevati solo dalla madre.

A differenza di altri felini, il Puma concolor non ruggisce, ma emette una sorta d’ululato, che parte acuto per poi abbassarsi fino ad essere quasi baritonale.

Presente solo nel Nord America, dal Canada alla parte settentrionale del Messico, troviamo infine il Bobcat (Lynx rufus).

Detto anche Lince rossa, non è molto selettivo nella scelta dell’habitat, pur preferendo le zone rocciose.

Più piccolo della Lince europea (Lynx lynx), ha un mantello grigio-rossastro, con numerose macchie brune o nere, e misura 65-105 cm. I maschi sono più grandi delle femmine. Vista e udito sono acutissimi.

Come altre specie di linci, il bobcat è un animale estremamente territoriale e solitario, ma può cacciare anche in gruppo, di preferenza la notte, nutrendosi d’uccelli, rettili, e mammiferi: dai topi ai cerbiatti. Si riproduce una volta l’anno, di solito a inizio primavera.

Dopo circa 70 giorni di gestazione nascono 1-3 cuccioli, accuditi dalla femmina fino agli 8 mesi d’età. Come la lince europea il Lynx rufus è a rischio estinzione per la IUCN, e fa parte della Red list of endangered threatened animal species.

Un carnivoro particolare, per certi versi atipico nella grande famiglia dei Felidae, e infine il Ghepardo (Acinonyx jubatus). È endemico dell’Africa centro meridionale, ma lo troviamo a piccoli nuclei, ormai rari, anche nell’Atlante marocchino e nell’Asia minore. Predilige le pianure aperte, dove preda solo poche specie, ma anche le savane alberate, ed è il più veloce animale terrestre. Deve questo record ai muscoli potenti, alla spina dorsale flessibile, ma soprattutto alle unghie non retrattili, che, come i chiodi sulle scarpe degli atleti, accentuano l’aderenza col terreno.

Il Mau Egiziano è il famoso gatto sacro dei Faraoni © Giuseppe Mazza

Il Mau Egiziano è il famoso gatto sacro dei Faraoni © Giuseppe Mazza

Da fermo, un ghepardo può raggiungere in soli due secondi i 72 km/h (sfido qualunque auto a far di meglio !) per arrivare in breve a 110 km/h, velocità che può mantenere solo per una trentina di secondi, non avendo una resistenza elevata.

Caccia solo antilopi di piccole dimensioni, che raggiunge con un breve scatto, isola e abbatte con un colpo di zampa, soffocandole col morso alla gola.

Non è raro che più esemplari partecipino al banchetto, sbranando la preda e nutrendosi rapidamente del fegato e degli altri organi interni, prima che giungano i leoni o le iene a rubargli il pasto.

I ghepardi vivono per lo più solitari, ma si spostano talora in coppie o piccoli gruppi familiari. Le femmine partoriscono da 2 a 5 piccoli, dopo una gestazione di tre mesi, ma la mortalità dei cuccioli è molto alta, e solo la metà raggiunge i 6 mesi di vita.

Le prede preferite sono la Gazzella di Thomson (Eudorcas thomsonii) e gli Impala (Aepyceros melampus), ma talora uccidono anche uccelli e lepri selvatiche.

Cacciano di giorno, preferibilmente il mattino presto, o verso il tramonto, mentre nelle ore più calde si muovono poco, riposandosi sui termitai, tronchi d’albero caduti, o piccole alture, da cui spiano sognando, come davanti a un menù, il movimento dei branchi d’antilopi e gazzelle. Usano sostanzialmente due tecniche di caccia.

Nella prima il ghepardo cammina lentamente nella prateria, come se niente fosse, senza nascondersi alle gazzelle, che si limitano ad osservarlo. Quando arriva a circa 70 m dal branco, le femmine sentinella, cominciano a emettere versi di pericolo, ma i maschi dominanti lo lasciano avvicinare fino a 45-50 m prima di dare il segnale di fuga. Nel frattempo ha selezionato visivamente la sua gazzella, per lo più isolata, e gli balza improvvisamente addosso con i suoi 110 km/h che mantiene in genere solo per 250 m. Poi, se non l’acchiappa, desiste.

La seconda tecnica consiste nell’avvicinarsi lentamente e furtivamente alla preda strisciando nella vegetazione della savana, irrigidendosi completamente quando la gazzella o gli altri componenti del branco al pascolo alzano gli occhi.

Niente è impossibile a un gatto, specialmente a un Bengala © Giuseppe Mazza

Niente è impossibile a un gatto, specialmente a un Bengala © Giuseppe Mazza

Quando è giunto a 30 m dalla vittima designata, il ghepardo attende che l’animale gli volga la schiena e gli balza addosso. Quando la preda è giovane, verrà sicuramente uccisa. Se è adulta, il colpo riesce una volta su due.

Per terminare vorrei parlare del gatto domestico.

Come già accennato, il Felis silvestris catus è stato fin dall’antichità un compagno dell’ Homo sapiens sapiens, insieme al Canis lupus domesticus, ed è oggi praticamente diffuso in tutto il mondo, eccetto le regioni prossime ai poli.

Una specie a struttura polifiletica, caratterizzata cioè da numerose razze o sottospecie.

Alcuni studiosi suppongono che le prime forme d’addomesticamento nacquero nell’Egitto dei Faraoni, nel 5600 circa a.C. col mitico Mau Egiziano. Lo provano vari reperti archeologici, come ritratti e statue di gatti trovati nelle antiche piramidi egizie, per non parlare delle mummie di gatti del tempio delle dea gatta Bastet.

Sicuramente, alla stregua del coccodrillo, dell’ippopotamo, anche il gatto era venerato come divinità dagli antichi egiziani, poiché proteggeva i loro raccolti di cereali, dai terribili roditori.

E si sono ritrovati documenti dell’epoca, che narrano di veri e propri lutti e funerali, celebrati alla morte di un gatto.

Ma recenti indagini in parallelo, di zoogeografia e zoogenetica, fanno pensare, vista anche la diffusione cosmopolita, ad un’origine Euroasiatica più antica, datata tra i 7.000-10.000 anni fa con la nascita dell’agricoltura e la pastorizia.

Comunque sia, è certo che la selezione delle numerose razze, in cui si suddivide e frammenta questo animale domestico, cominciò all’inizio dell’ Ottocento. Tra le più antiche, ricordiamo il Siamese, il Gatto d’angora e il Gatto di Manx.

Attualmente, coi progressi dell’ingegneria genetica e embrionale, oltre ai metodi classici d’accoppiamento e ibridazione, i biologi stanno creando nuove forme, manipolando il genoma (inserendo DNA esogeno di razze diverse di gatto) e l’embrione delle varie razze di gatto domestico. Comunque sia, le attuali razze, vengono classificate in base alle differenze di pelo. Occorre diustinguere fra:

Gatto Persiano © Giuseppe Mazza

Gatto Persiano © Giuseppe Mazza

Razze a pelo lungo che fanno capo al Persiano, che deriva probabilmente dall’incrocio tra i Gatti d’Angora, originari della regione turca di Ankara, con gatti provenienti dalla Persia. Sembrerebbe che la razza persiana abbia raggiunto l’Italia e la Francia nel XVI secolo, ma che solamente a partire dal XIX secolo, raggiunse lo status di razza autonoma. Altre razze a pelo lungo sono il Chinchilla e l’Himalayano.

Razze a pelo semilungo che hanno un pelo esterno (pelo di taglia media) lungo quanto il pelo intermedio (i peli più lunghi del manto), a differenza delle razze a pelo lungo il cui pelo esterno è più corto. Ciò dà loro un pelo più a contatto del corpo, aumentando così la loro assomiglianza con le razze a pelo corto e dando loro una impermeabilizzazione del pelo che ha reso ad alcune razze la reputazione di gatto nuotatore. Inoltre, i gatti a pelo semilungo sono generalmente poveri di sottopelo, caratteristica che fa sì che il loro pelo si aggrovigli poco. Appartengono a questo gruppo razze quali l’Angora Turco, il Sacro di Birmania, il Balinese, il Burmese.

Razze a pelo corto che presentano notevoli differenze, a seconda che si trovino a latitudini più settentrionali o nelle zone equatoriali. Le razze a pelo corto, originarie dei Paesi a clima caldo, hanno infatti poco sottopelo, mentre quelle che vivono in Paesi dell’emisfero boreale, più freddi, hanno più sottopelo e sono di dimensioni maggiori.

Secondo la legge di Allen-Berger, infatti, gli animali di dimensioni minori presentano una superficie di dispersione per il calore maggiore, rispetto a quelli di dimensioni maggiori; dispersione che viene favorita anche da appendici più grandi, si pensi ai padiglioni auricolari della volpe polare, che sono piccoli, mentre nella volpe del deserto sono enormi.

Vi è poi una razza a prima vista senza pelo, detta Sphynx, ricoperta da una peluria vellutata.

Exotic Shorthair © Giuseppe Mazza

Exotic Shorthair © Giuseppe Mazza

Il gatto domestico, ha ereditato le capacità di caccia, aggressività, furbizia, e agilità che si riscontrano nei felini selvatici, anche i più grossi, come il leone, la tigre o il leopardo, con cui condivide l’abilità nel salire sugli alberi, per cacciare rettili, scoiattoli, ghiri, uccelli e insetti.

Come per gli altri felini, il gatto domestico presenta artigli retrattili, piedi anteriori a cinque dita e posteriori a quattro, ed è digitigrado nella deambulazione.

Ma in realtà, c’è un distinguo importante da fare.

Il fatto che non hanno più bisogno d’andare in cerca di prede, perché vengono quotidianamente nutriti dai loro proprietari, o trovano quanto meno il cibo nella spazzatura dei centri urbani, non li ha resi meno spietati nella caccia, sebbene non la pratichino con lo scopo di nutrirsi.

Mentre infatti tutti i felini selvatici uccidono per mangiare, i gatti domestici lo fanno solo per motivi ludici, o, secondo la teoria del biologo zoologo Spencer, per espellere quel surplus energetico che è in loro, e per non perdere le caratteristiche ancestrali di predatori.

Un impulso irrefrenabile a dover cacciare, cui però non fa seguito il pasto della preda.

Il biologo inglese I. McDonald, che studia la Biologia dei gatti domestici da 40 anni, ha notato che in Inghilterra, ove circolano diverse migliaia di gatti domestici ben nutriti, ma lasciati liberi durante il giorno nei giardini dei loro proprietari, o comunque liberi di muoversi, stanno decimando la fauna selvatica autoctona.

Tra passeriformi, roditori, sciuridi (scoiattoli), lagomorfi (conigli, lepri), rettili, anfibi, senza contare gli invertebrati, vengono uccisi 50.000-60.000 animali all’anno, che non vengono mai divorati, ma al più portati a casa come trofeo ai propri padroni !

Un esempio tipico è il gioco del gatto col topo. Quando un Felis silvestris catus incontra il simpatico Mus musculus, lo tramortisce con una zampata, e poi ci gioca, finché stanco lo squarta e lo lascia li inerme.

Sphynx: il gatto nudo © Giuseppe Mazza

Sphynx: il gatto nudo © Giuseppe Mazza

Una caratteristica anatomo-fisiologica dei gatti, che li ha fatti entrare nella leggenda come animali dalle 7 vite, o addirittura a 9 vite come corre voce in alcuni paesi asiatici, è il fatto che cadendo da altezze elevate, come il quarto piano di un palazzo, riescono a sopravvivere.

Mediante tecniche di cinematografia al rallentatore, i biologi hanno infatti osservato che in queste spettacolari cadute l’animale ruota abilmente su se stesso, atterrando sempre sulle 4 zampe, mentre il corpo, aperto a paracadute, ne riduce la velocità.

Una complessa cooperazione tra fibre nervose, dette fusi del Golgi, presenti lungo le zampe e il sistema del labirinto (l’organo per la percezione dell’equilibrio presente nell’orecchio interno di tutti i mammiferi), che conferiscono proprietà di caduta non comuni ai mammiferi di altre famiglie ed ordini.

Il Felis silvestris catus presenta sulla lingua delle cellule ad uncino che ne determinano una consistenza ruvida, rendendola simile a un pettine. Più efficiente di quella dei cani, percepisce i sapori, trattiene cibo e liquidi, e funge da spazzola per la pulizia del pelo.

Uno dei modi più noti che i gatti hanno per comunicare è il brontolio a basso tono tipico delle fusa.

Appena nati, ancora ciechi, sono già in grado d’emetterlo, forse per richiamare l’attenzione della madre e farsi rintracciare. Nei confronti degli umani, esprimono soddisfazione o insoddisfazione a seconda dei casi.

Le grandi orecchie del Gatto Orientale servono a disperdere il calore © Mazza

Le grandi orecchie del Gatto Orientale servono a disperdere il calore © Mazza

I biologi zoologi pensano sia un retaggio primitivo: un modo per comunicare senza essere uditi dai predatori che percepiscono frequenze più alte.

Il Felis silvestris catus, non soggetto come il Gatto selvatico (Felis silvestris) allelimitazioni imposte dal clima e dalla scarsità di cibo, può riprodursi anche 3 volte l’anno.

Dopo circa 60 giorni di gravidanza, nascono i cuccioli, possono essere anche fino a dieci, che sono ciechi e incapaci di camminare, raggiungono l’unità lattea (mammella), strisciando, rintracciandola con l’olfatto.

Incominciano lo svezzamento, intorno all’ottava settimana e, all’età di 6 mesi, sono già in grado di cavarsela da soli.

Per concludere abbiamo visto quanto sia vasto, complesso il mondo dei Felidae, con svariate strategie e tecniche di predazione, che si sono evolute in migliaia d’anni per soddisfare i bisogni nutritivi, poggiando sul rapporto sensi, eredità genica e ambiente.

 

Il gatto domestico

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Testo © Dr Didier Hallépée

 

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Traduzione italiana di Mario Beltramini

 

European shorthair © Giuseppe Mazza

European shorthair © Giuseppe Mazza

L’origine del gatto domestico

Il gatto selvatico africano fu in un primo tempo attratto in vicinanza degli insediamenti umani dalla presenza dei roditori di cui si nutriva. Questo è attestato in particolare dalla presenza di ossi di gatti in un sito di Gerico datanti del 9000 a.C., in un sito di Cipro, anch’esso del 9000 a.C., come pure in un sito di Harappa (valle dell’Indo), datante del 4000 a.C.

Grazie alle scoperte del sito di Cipro (sepoltura di Shillourokambos), si sa che il gatto era già addomesticato a quell’epoca.

La sua frequentazione degli umani ha probabilmente la stessa datazione degli inizi dell’agricoltura, essendo stati i gatti attirati nei villaggi dai sorci che aprofittavano della coltivazione dei cereali.

Al contrario, l’assenza di modificazioni morfologiche visibili (diminuzione delle dimensioni e del cranio) mostra che l’addomesticamento del gatto è più recente.

Il silo per il grano è stato inventato in Egitto, circa 4000 anni fa, per lottare contro le scarsità di viveri dovute a raccolti insufficienti. Alcuni affermano che la narrazione biblica di Giuseppe ed il Faraone è la storia di questa invenzione.

Il silo deve il suo nome a Tabernacolo di Silo (personaggio biblico vissuto all’epoca del faraone Shishak, 950-929 a.C.), dove venivano deposti i grani dati in offerta (Deuteronomio ed Esodo). I sili hanno attirato i roditori ed al loro seguito, i serpenti. Il gatto, che già viveva non lontano dagli abitati umani, vi trovo’ cibo a profusione e vi si installo’. L’utilità del gatto fu presto riconosciuta e venne allevato per le sue capacità di predatore, poi venne addomesticato. Si stabili’ allora nelle case ed inizio’ a far parte della famiglia. Il faraone in persona riconobbe l’utilità del gatto e volle esserne l’unico proprietario. Ecco perchè il gatto fu innalzato a semidio, circa 3500 anni fa, cosi’ non poteva che appartenere ad un dio, il faraone stesso. Ed ecco perchè ancora oggi in Egitto i maus sono chiamati gatti dei faraoni. Notiamo che lo scettro del faraone (“heqa”) presenta l’elegante curvatura della coda del gatto. Esso venne dunque venerato tramite la dea Bastut, rappresentata sia sotto forma di gatta, sia come donna con testa di gatta che tiene un sistro nella mano destra ed adornata con uno o due anelli d’oro.

Siamois Red Point © Giuseppe Mazza

Siamois Red Point © Giuseppe Mazza

Il principale luogo di culto di Bastet fu installato a Bubastis. Le festività annuali in onore di Bastet, celebrate a Bubastis, attiravano numerosi pellegrini (cio’ è attestato da Erodoto). Bastet si festeggia sempre il 31 ottobre. Bastet, soprannominata la dea divoratrice, rappresenta da una parte il fuoco, la guerra, la peste e la malattia, dall’altra, il focolare domestico, la fertilità, la sessualità e la protezione delle donne incinte e dei bambini. È donna e figlia del dio Râ. Il nome del gatto in egiziano, Mau, designa d’altronde a volte il gatto, il suo miagolio e la luce.

È una dea dai due aspetti: con la testa di gatto, è Bastet, Dama dell’Est, associata alla luna (il figlio Khensu è il dio della luna); con la testa di leonessa, è Sekhmet, Dama dell’Ovest, associata alla luce del sole. Essa è pure la dea del piacere, della musica, della danza, della gioia. È pure lo strumento della vendetta di Râ. Le sue collere sono famose. Il culto di Bastet ha raggiunto l’apice verso il 950 a.C. A quest’epoca, Bubastis divenne la capitale dell’Egitto.

L’amore degli egiziani per il loro gatto fu sfruttato dal re persiano Cambyses II durante la sua conquista dell’Egitto, in occasione dell’assedio di Pelusium (525 a.C.). Scondo la leggenda, egli prese un gran numero di gatti come ostaggi e li fece mettere sugli scudi dei suoi soldati. Piuttosto che rischiare di uccidere i loro gatti, gli egiziani, abitanti di Pelusium, si arresero. Divenuto un animale divino simbolizzante gli anni grassi e la fertilità, il gatto ha beneficiato di tutti i vantaggi connessi al suo rango. Uccidere un gatto, seppur accidentalmente, era un crimine punito con la morte. Diodoro racconta (anno 1 a.C.) che, avendo un soldato romano ucciso un gatto, niente potè impedire alla folla infuriata di metterlo a morte, malgrado i rischi di guerra con i romani.

Gli egiziani veneravano i loro gatti e piangevano per la loro morte. Alla morte del loro gatto, essi si radevano le sopracciglia in segno di lutto. I gatti morti venivano mummificati e portati al tempio di Bastet, a Bubastis. Questa pratica era ancora in vigore nei primi anni della nostra era. Lo studio di queste mummie ha evidenziato la giovane età di molti di questi gatti e la presenza di frattura del collo: sembra che una certa quantità di gatti fossero allevati nei templi specificatamente per essere mummificati e venduti come portafortuna per il focolare domestico o come ex-voto. L’offerta di un gatto mummificato alla dea Bastet permetteva di scatenare su un nemico le terribili collere della dea stessa. Sono state cosi’ ritrovate centinaia di gatti mummificati. È cosi’ che gli studiosi hanno potuto identificare questi primi gatti domestici nel Felis lybica. Avendo numerose mummie conservato la loro pelliccia, si sa che questi erano di solito di color giallo (bronzo) ed avevano macchie nere e talvolta delle striscie.

Abyssin © Giuseppe Mazza

Abyssin © Giuseppe Mazza

Il gatto è stato sovente rappresentato su bassorilievi e papiri. Su queste immagini è di solito giallo o rosso ed ornato di macchie, talvolta sprovvisto di motivi. Delle scene di caccia fanno pensare che fosse ammaestrato nella caccia agli uccelli.

Gli egiziani consideravano i loro gatti un bene prezioso ed un animale sacro. Ecco perchè rigidi regolamenti ne vietavano l’importazione. Alcuni di loro furono molto presto utilizzati sulle navi egiziane che portavano grano. I fenici furono i primi ad esportare illegalmente il gatto, verso il 900 a.C e cosi’, lo introdussero in Galilea, Grecia ed Italia. Poco a poco il gatto domestico si diffuse cosi’ in tutta l’Europa ed il Medio Oriente. Nell’Artashastra, testo indiano sull’arte del governare (III secolo a.C.), Kautilya spiega come utilizzare i gatti e le manguste per lottare contro ratti e serpenti.

Si racconta che il papa Gregorio I (590-604) durante un’omelia, disse “Date il vostro bene più caro come offerta!” Sentendo cio’ un monaco usci’ un gatto dalla manica per darglielo. Il papa sorrise ed usci’ pure lui un gatto dalla manica.

Si racconta pure che il profeta Maometto (570-632) era stato salvato dal morso di un serpente da un gatto. Egli portava sempre con sè la sua gatta Muessa nella manica del suo mantello. Chiamato un giorno per la preghiera, si fece scrupolo di disturbare Muessa che stava dormendo ed allora si taglio’ la manica per poter andare a pregare.

L’arrivo del gatto in Inghilterra è certificato dal X secolo, ma a quest’epoca era una rarità. Verso il X secolo, la città di Anversa fu distrutta a causa di un gatto. Un viaggiatore era giunto in città accompagnato dal proprio gatto. Gli abitanti, che non avevano mai visto un gatto sino ad allora, furono conquistati dalla sua abilità nel catturare ratti e sorci, quindi supplicarono il viaggiatore di venderglielo (a peso d’oro). Poco dopo la partenza del viaggiatore, gli corsero dietro per chiedergli cosa il gatto mangiasse. “Cio’ che prende, bestie di gente!”, lui rispose. Gli abitanti capirono “Cio’ che prende, bestie e gente”. Decisero quindi di sbarazzarsene.

Davanti alla folla infuriata, il gatto cerco’ rifugio sul tetto di una casa. La folla diede fuoco alla casa per uccidere questo animale cosi’ pericoloso. Il nostro gatto riusci’ a sfuggire all’incendio saltando sul tetto di una casa vicina. Il fuoco si propago’ di casa in casa ed una buona parte della città ando’ in cenere senza che il gatto fosse ucciso. Ed è cosi’ che la città di Anversa fu bruciata a causa di un gatto.

Oriental © Giuseppe Mazza

Oriental © Giuseppe Mazza

Ben presto il gatto fu associato alla stregoneria. Secondo la leggenda, la dea dell’oscurità, Diana, amo’ Lucifero che possedeva un gatto. Ebbero una figlia che mandarono sulla terra col gatto di Lucifero per insegnare la magia agli uomini. Dal V al XVII secolo, il gatto fu considerato dalla Chiesa come un animale famigliare delle streghe ed a questo titolo regolarmente messo al rogo. E cosi’ si fece più raro durante tutto il Medio Evo.

È tra il XIII ed il XVI secolo che la lotta contro i culti pagani e contro i gatti fu più aspra. Si pensava che Lucifero si incarnasse in un gatto nero; il semplice possesso di un tale gatto era sovente prova di stragoneria e valeva la condanna al rogo sia al padrone che al gatto. Nasce da qui la credenza che i gatti neri portino sfortuna.

Per contro, il gatto bianco era simbolo di purezza. Nel 1233, il papa Gregorio IX lancio’ un anatema contro i gatti neri ed i loro possessori. L’animale poteva venir graziato se aveva sul collo una macchia bianca chiamata “dito di Dio” o “segno dell’angelo”.

Si pensava che le streghe potessero incarnarsi fino a nove volte nel corpo del loro gatto, da cui la credenza che il gatto abbia nove vite. Quando le grandi epidemie di peste decimarono la popolazione, l’utilità del gatto fu di nuovo riconosciuta. Un editto papale permetteva ai conventi di suore di possedere un gatto in occasione delle epidemie di peste.

Nel XVIII secolo, l’arrivo dell’angora turco mise fine a questo ostracismo. L’ infatuazione della nobiltà europea per questo gatto fu molto grande: un gatto angora era considerato come un regalo reale. Di colpo, il gatto comune torno’ di nuovo in favore come compagno di casa e predatore di roditori.

Infine, è nel XIX secolo che iniziarono il riconoscimento delle razze, l’arrivo delle razze provenienti dall’Oriente, l’allevamento, la selezione e le esposizioni feline.

Persan © Giuseppe Mazza

Persan © Giuseppe Mazza

Il gatto accompagno’ i marinai nel corso dei loro peripli intorno al mondo e popolarono le nuove colonie contemporaneamente all’uomo. Sull’isolotto di Clipperton, proliferarono talmente che rischiarono di distruggere la fauna locale e dovettero venire sterminati. I gatti seguirono gli europei durante la loro opera di colonizzazione. È cosi’ che i nostri gatti domestici ritornarono ad arricchire il patrimonio genetico dei gatti d’Egitto ed a mescolarsi con i discendenti diretti dei gatti del Faraone.

La presenza del gatto in Cina sembra risalire a più di 6000 anni. Il suo addomesticamento rimonta probabilmente alla dinastia degli Han (100 a.C.). Il gatto era divenuto comune in Cina verso il 500 a.C. ed in India verso il 200 a.C. Il primo gatto arrivato in Giappone fu un omaggio dell’imperatore di Cina a quello giapponese nel IX secolo. Anche là il gatto era venerato. I buddisti gli attribuivano un’anima.

È stato sovente asserito che l’abissino era il discendente del gatto egiziano, poichè il primo soggetto Zulma fu portato in Inghilterra nel 1868 a seguito di una campagna militare effettuata in Abissinia (l’Etiopia odierna). Questo gatto con ticking (ticking: ogni pelo ha delle bande di differenti colori) ebbe un enorme successo. Altri esemplari furono trovati in altri paesi e furono utilizzati per creare la razza degli Abissini. All’origine, Abissino era sinonimo di gatto con ticking.

Studi scientifici hanno esaminato la distribuzione dei gatti portatori di ticking. Questi studi hanno mostrato da una parte che il gene corrispondente non puo’ provenire dall’Africa, dall’altra che la culla di questi gatti è situata nel sud-est asiatico. Ricerche hanno permesso di stabilire che Zulma apparteneva, all’ origine, ad un ufficiale dell’ Armata delle India che l’aveva portato con sè durante il suo trasferimento in Abissinia, prima di cederlo ad un camerata che tornava in Inghilterra, il capitano Barret-Lenhart.

L’angora turco è comparso ai confini della Persia con la Turchia, nella regione degli altopiani, nei dintorni del lago Van. Scoperto da viaggiatori, è stato introdotto in Europa nel XVII secolo. Vi fu immediatamente un’autentica infatuazione per questo gatto dalla pelliccia lunga e sericea. Molto di moda negli ambienti aristocratici del XVIII secolo, era considerato come un regalo reale.

Molto presto, ha conquistato l’intero mondo ed ha proliferato in varii paesi. È stato utilizzato per creare le differenti razze a pelo lungo o semi-lungo, in particolare il Persiano.

Chartreux © Giuseppe Mazza

Chartreux © Giuseppe Mazza

Al fine di non nuocere al persiano, la sue esposizione venne proibita. Cio’ causo’ per conseguenza il suo oblio e quasi la sua scomparsa dall’Europa nel XIX secolo.

Si pensa che la razze naturali a pelo semi-lungo (angora turco, norvegese, siberiano) trovino la loro origine in un lontano adattamento delle prime specie feline al rude clima siberiano. Si sarebbero poi diffusi fino in Norvegia ed in Turchia a partire dai loro habitat siberiani. Si è pensato che potrebbero discendere dal gatto manul, la specie selvatica più fornita di pelliccia. L’esame comparato dei crani di gatto manul e di gatti domestici ha pero’ smentito questa ipotesi.

Infine, il certosino, gatto blu a pelliccia spessa malgrado il suo pelo corto, sarebbe il discendente dei gatti riportati con le crociate e risultante, si dice, dagli incroci tra il gatto africano e quello manul (specie selvatica nella quale il colore blu è diffuso). È tramite il certosino che il colore blu si è diffuso in numerose razze.

Il nostro gatto domestico discende dal gatto selvatico che è attualmente descritto in tre sottospecie: il Gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris), il Gatto selvatico africano, (Felis silvestris lybica) ed il Gatto selvatico asiatico, (Felis silvestris ornata). Come lo si puo’ constatare, l’origine geografica del nostro gatto domestico non è una sola. Si puo’ comunque dire che la sua addomesticazione è iniziata in Egitto, che a partire da laggiù si è diffuso in tutta Europa, che tutte le razze di tipo europeo vi trovano la loro origine, e che, a seguito di incroci, tutte le razze domestiche discendono interamente od in parte dai gatti faraonici.

La scelta del gatto

Un gatto di razza è un gatto la cui corrispondenza ad uno standard riconosciuto, proviene dalla sua filiazione, essendo questa certificata da un documento chiamato pedigree. L’appartenenza di un gatto ad una razza permette di sperare fortemente che egli presenterà le caratteristiche essenziali di questa razza, sia dal punto di vista della bellezza, che da quello del carattere. Un gatto, sia egli di razza che di casa, è un compagno che occuperà un posto importante nella nostra vita. Nessuno dubita che glielo si auguri gradevole ed in buona salute. Ma come scegliere il proprio futuro compagno ?

In tutti i casi, dopo esservi informato per telefono, recatevi sul posto e chiedete di visitare il rifugio o l’allevamento. È solo cosi’ che potrete constatare le condizioni di vita e di igiene del vostro gattino. Se la visita vi viene negata o è solo parziale, è meglio che vi rivolgiate altrove (ci sono forse delle valide ragioni per le quali qualcosa vi viene tenuta nascosta).

Russian Blue © Giuseppe Mazza

Russian Blue © Giuseppe Mazza

Prima di scegliere, esaminate il gatto: deve avere un bel pelo (un pelo opaco è sovente indice di un cattivo stato di salute generale) e non deve essere apatico. Passate la mano contro pelo sul manto per assicurarvi che non vi siano problemi (micosi, pulci, ecc.). Chiedete se gli è stato ben fatto un trattamento vermifugo e quando lo stesso sarà da rifare. Non dimenticate di dare un’occhiata nelle orecchie (tramite un bastoncino cotonato, facendovi aiutare dall’allevatore), per verificare che non vi sia rogna. Questi semplici controlli vi eviteranno parecchie delusioni: certi gatti, raccolti in cattiva salute, possono rivelarsi alla fine molto più costosi di un gatto di razza.

Assicuratevi pure che sia stato reso ben socievole: se non è stato sufficientemente manipolato a partire dalla più giovane età, rischia di essere selvatico. Ma non bisogna confondere selvatico con timido: preso per il collo, un gatto timido rilasserà i muscoli, mentre invece un gatto mal portato a vivere in società, contrarrà ed arcuerà il corpo: probabilmente, sarà molto difficile da rendere socievole. Infine, scegliete secondo il vostro gusto, secondo la sua bellezza, il suo carattere o secondo altri criteri di vostra scelta. Non dimenticate che un gattino non deve venire separato dalla madre prima di tre mesi di vita, se no la sua educazione sarà incompleta.

Assicuratevi pure che il gattino sia stato vaccinato (tifo e rinite acuta). In genere, la prima vaccinazione si fa a due mesi. La seconda, un mese dopo. Non è possibile fare la seconda prima, poichè il sistema immunitario del gatto non è ancora completo prima dei tre mesi. Voi potete comunque acquistare il gattino prima della seconda vaccinazione a patto che gliela facciate voi a tempo debito. Se viaggiate all’estero, puo’ essere obbligatorio vaccinarlo pure contro la rabbia; questo è pure una buona precauzione se il vostro gatto è suscettibile di venire a contatto con gatti sconosciuti (per esempio in una esposizione).

Il gatto puo’ venire identificato con un chip, che in certi paesi è obbligatorio. E lo è pure per passare le frontiere. I documenti indispensabili che il vostro gatto deve avere sono: libretto sanitario, atto di vendita o di cessione e pedigree se si tratta di un gatto di razza. Se acquistate un gatto all’estero, il suo passaporto europeo vi permetterà di portarvelo a casa. A questo punto, non vi resta altro da fare che trasportare il vostro compagno (avete pensato alla gabbietta per il trasporto?).

British Longhair © Giuseppe Mazza

British Longhair © Giuseppe Mazza

Se l’allevatore non l’ha già fatto, fatelo testare per il FIV FeLV (leucemia felina, “AIDS dei gatti” – non trasmissibile all’uomo) ed eventualmente fatelo vaccinare contro il FeLV (il vaccino contro il FIV non esiste). Non dimenticate nemmeno di trattarlo regolarmente contro i vermi. Se avete dei dubbi circa il suo stato di salute, fatelo visitare dal vostro veterinario prima di metterlo in contatto con gli altri vostri animali.

Appena arrivato in casa, bisogna fargliela visitare. Mostrategli subito la lettiera ed il nutrimento. Poi fatelo passeggiare ovunque avrà il diritto di andare, affinchè cominci a vedere il suo nuovo territorio. Non dimenticate di presentarlo ai suoi nuovi compagni se ce ne sono (ma non metteteli mai muso a muso!). Lasciateli brontolare, fiutarsi, ma non forzate mai il contatto se preferiscono evitarlo: alcuni possono essere gelosi ed avranno quindi bisogno di un po’ di tempo.

Se si tratta di un gatto di una certa età ed un po’ timido, lasciatelo che si scelga lui il proprio rifugio (sotto il letto?) ed installategli il cibo e la lettiera vicino: ne uscirà quando sentirà di aver trovato un focolare duraturo ed affettuoso (per un gatto che abbia vissuto più abbandoni, cio’ puo’ prendere dei mesi, non perdete la pazienza).

E poi, già dalla prima sera, dategli delle cattive abitudini, installandolo con voi nel letto… In seguito, non ci sarà altro da fare che coccolarlo regolarmente. Più sarà amato, più sarà affettuoso. Se ci sono già altri animali in casa, puo’ essere cosa saggia tenere il neo-arrivato qualche giorno in camera con voi, separato dagli altri. Avrà cosi’ il tempo di abituarsi a voi ed al nuovo ambiente e sarà preparato alla presenza degli altri, di cui, comunque, avrà già sentito l’odore. Il primo contatto ne sarà facilitato per tutti.

Se un gatto non è stato abituato ad uscire, la vita esterna non gli mancherà. Il gatto si attacca all’ambiente dove vive, più che ai grandi bisogni di spazio. Per contro, se il vostro gatto ha sempre vissuto per strada, sarà difficile abituarlo a non uscire. Il gatto è curioso. Ama sapere cio’ che succede dall’altra parte della porta. Come ha preso conoscenza del suo territorio, ama ampliarlo per esplorare nuovi orizzonti. Ma uno spazio più limitato gli piace pure e soddisfa il suo bisogno di sicurezza. Ciascuno ha diritto alle proprie contraddizioni…

Un gatto puo’ vivere molto felicemente in un appartamento. Ma se prende l’abitudine di uscire, non sopporterà più il confinamento. Dapprima, resterà nei pressi della casa (a meno che non si perda già alla prima uscita…), ma poco a poco, ingrandirà il territorio e potrà avventurarsi molto lontano. Il freddo non lo disturba, mentre l’umidità e la pioggia possono essere dannosi per i soggetti meno resistenti. Comunque, bisogna sapere che se esce regolarmente, rischia, un bel giorno, di non tornare: puo’ perdersi, venire adottato, essere rubato, finire schiacciato sotto una macchina.

Gli occhi del Devon Rex sono finestre aperte su un altro mondo © Mazza

Gli occhi del Devon Rex sono finestre aperte su un altro mondo © Mazza

Puo’ pure fare dei brutti incontri. Vicino a casa nostra, in città, un gatto è stato ferito da una faina. Puo’ pure incontrare altri felini, lottare con loro, o prendere il PIF, il FIV od il FeLV (prima causa di mortalità per i felini, si dice), o contaminare gli altri gatti di casa. Bisogna sapere che la durata media di un gatto di strada è di 2 o 3 anni, mentre in appartamento può vivere 15-20 anni.

Quindi se l’amate, se tenete a lui, custoditelo in sicurezza, a casa. Se potete farlo, preparategli un pezzetto di giardino recintato e coperto da una rete. Alcuni raccomandano una recinzione elettrificata. Se non avete giardino e lui ha la tendenza ad uscire, potete mettere una rete o una zanzariera alle finestre. Potete pure recintare un balcone se abitate in appartamento (e se la coproprietà ve lo permette). Non dimenticate che se è stato operato, sarà meno attratto dall’esterno e preferirà il calore del suo tenero alloggio.

Qualche consiglio per mantenerlo in forma

Questi non sono altro che dei consigli elementari ed incompleti. Ma, forse, vi troverete delle idee. Non esitate ad informarvi pure dal vostro veterinario, dall’allevatore che vi ha venduto il gatto o da amici che abbiano gatti già da lungo tempo.

La pulizia non è obbligatoria per il gatto a pelo corto. È comunque molto utile per la bellezza e la salute del vostro gatto, e un momento privilegiato tra voi due (anche se certi gatti sono restii all’inizio, essi sono riconoscenti per queste cure che non possono farsi da soli). Voi potete fare la pulizia da soli o farvi aiutare per tenere il gatto. Basta un po’ di fermezza perchè non scappi, ma senza esagerare. Secondo il suo carattere, sarà totalmente cooperativo o un po’ selvaggio …

Gli occhi: pulire gli occhi con una compressa umida per togliere le piccole secrezioni. Se il gatto ha gli occhi che colano un poco, mettete delle gocce di siero fisiologico in ciascun occhio. Se gli occhi colano sovente e se la terza palpebra è visibile, consultate il veterinario.

Le orecchie: si puliscono con un bastoncino cotonato imbevuto di acqua calda. Cosi’ potete togliere il cerume. Se il cotone esce con tracce bruno scure o nere, puo’ essere della rogna delle orecchie, niente di grave, ma consultate il veterinario. Naturalmente, non spingete a fondo i bastoncini dentro nell’orecchio.

Gli artigli: non toglierli mai ad un gatto, è una pratica invalidante (ed è pure proibita). Ma voi potete tagliargli le unghie. Per fare cio’, tenetegli con fermezza la zampa, appoggiate per fare uscire le unghie una per una e spuntatele con un taglia unghie senza toccare la parte rosa. Voi potete contentarvi delle due zampe anteriori. Cosi’, farà meno danni facendosi gli artigli lui stesso ovunque. È d’altronde obbligatorio prima di andare ad una esposizione.

Scottish Fold © Giuseppe Mazza

Scottish Fold © Giuseppe Mazza

Il pelo: si tratta anzitutto di togliere il pelo morto. Il gatto puo’ farlo lui stesso, ma i peli allora gli ingombrano il tubo digestivo e causargli del vomito sul vostro tappeto più bello (non gli altri, naturalmente). Curare la pelliccia è particolarmente utile in tempo di muta. Un gatto dal pelo mezzo-lungo dovrebbe essere tolettato almeno una o due volte la settimana. Un gatto a pelo corto dovrebbe esserlo almeno una o due volte al mese. Per i peli corti, usare una carda o una spazzola con i denti in caucciù. Spazzolate su e giù o a contro pelo per togliere il pelo morto poi nel senso naturale del pelo per lisciare il manto. Per i peli di media lunghezza, utilizzate un pettine con i denti abbastanza lunghi (esistono dei pettini con denti rotativi che sono particolarmente ben adatti) per sbrogliare la pelliccia e togliere i peli morti. Non dimenticate il ventre. Alla fine, fate sbuffare il collaretto e la coda.

Il bagno: più o meno apprezzato secondo i gatti. Indispensabile quando è troppo sporco, o se ha avuto una diarrea e se ne è abbondantemente sporcato, o quando si vuole che sia particolarmente bello (angora bianchi prima delle esposizioni). Utilizzate acqua tepida ed uno shampoo dolce tenendo fermamente il gatto (avete spuntato gli artigli?). Sciacquate abbondantemente al fine di togliere ogni traccia di shampoo. Seccatelo bene avvolgendolo in un asciugamano e fregando. Poi terminate l’asciugatura col fon (con precauzione poichè non ne amano molto il rumore, e non troppo vicino, se no è troppo caldo). Poi lasciatelo andare, si ripulirà lui stesso nei momenti che seguono…

La lettiera. Ha bisogno di una vaschetta per lettiera. Una cassetta con coperchio e porta eviterà in parte i cattivi odori, ma in certi casi esigeranno che voi togliate la porta. Bisogna calcolare una vaschetta per ogni due o tre gatti. Per il contenuto, esistono numerosi tipi di prodotti. Non esitate a scegliere la qualità, vi troverete meglio. Le sabbie a base di argilla agglomerano bene gli escrementi e basta togliere le palline che si formano. Certe sabbie di qualità mediocre si incollano alle zampe. I granulati si trasformano in polvere con l’urina. Non c’è che da togliere questa sabbia. Esistono delle lettiere in silicati sotto forma di piccoli cristalli trasparenti: di qualità ed utilizzo comparabili alle sabbie, hanno il vantaggio di essere molto leggere. In ogni caso, vuotate la lettiera di tanto in tanto per pulire la vaschetta e cambiare il prodotto. Fate la lettiera mattino e sera, il vostro gatto l’apprezzerà.

Se avete molti gatti, mettete un numero sufficiente di lettiere. E non esitate a controllarle più volte al giorno, poichè possono essere in parecchi ad usare la stessa. Il gatto è un animale molto pulito. Se la sua lettiera non gli piace, se è sporca, andrà altrove… Alcuni sono molto attirati dai lavandini. Non potete farci niente.

Maine Coon © Giuseppe Mazza

Maine Coon © Giuseppe Mazza

E se fa pipì dappertutto ? Di solito, c’è un motivo. Se la lettiera è sporca, è il suo modo di protestare. Il gatto agisce cosi’ pure per segnalare una diarrea od altri problemi di salute.

Puo’ essere un problema comportamentale (troppi gatti, territorio troppo vasto, ubicazione della lettiera mal scelta). Una prima soluzione è di piazzare la lettiera là dove fa la pipi’ (più tardi, si potrà forse rimetterla in un altro posto). Se cio’ non è sufficiente, bisogna forse praticare la restrizione del territorio: una stanza non troppo grande, dove avrà la sua cuccia, la lettiera, il suo cibo (e le sue coccole). Quando sarà ridiventato pulito, gli si potrà ingrandire il territorio in maniera progressiva.

Se è un maschio adulto, spruzzare urina è un comportamento normale. Per evitare cio’, si castrano i maschi non destinati alla riproduzione. È molto più gradevole per loro e per voi. La castrazione puo’ essere praticata senza inconvenienti a partire dal terzo mese. Cio’ non ha conseguenze sullo sviluppo del gatto.

Il cibo. Ci sono dei paté e delle crocchette. Le crocchette d’oggi sono adattate alla saluta del gatto. I nutrimenti per gatti contengono della taurina che è loro indispensabile (e danno dei pruriti ai cani). Le crocchette hanno il vantaggio di far produrre meno escrementi….

Gli alimenti trovati negli allevamenti o dal veterinario sono più equilibrati e poveri di appetenti: il gatto mangerà solo quello che gli è necessario e resterà più svelto. Il vostro gatto puo’ apprezzare gli alimenti dei supermercati, ma, attenzione, se è sensibile, avrà delle diarree. In questo caso, passate ai cibi degli allevamenti o del vostro veterinario. Il gatto non ama cambiamenti di cibo: procedete progressiavmente. Variare i sapori non lo interessa: è sopratutto al padrone che cio’ fa piacere. In ogni caso, se è goloso, verrà a rubarvi il cibo dal vostro piatto. Non dategli latte: una volta adulto, lo digerisce male. Per quanto riguarda i gattini non svezzati, date loro del latte speciale per gattini.

L’affetto. Sopratutto, ha un grande bisogno di affetto. Più gliene darete, più ve ne ricambierà. Già dalla prima sera, accoglietelo sul vostro letto. Là egli sarà alla vostra altezza e non si sentirà più sovrastato. E quello è allora il momento speciale delle coccole. Amatelo cosi’ com’è (ghiottone? ladruncolo? tranquillo o vivace, che cerca tenerezza o calmo, secondo le ore, forse addirittura mascalzone ed insolente). Sappiate che un gatto non lo si ammaestra, ma lo si puo’ educare (non rinuncerà comunque a fare delle sciocchezze, ma saprà che lo sono e si fermerà al vostro intervento). Parlategli. Sente il vostro affetto e talvolta vi risponderà.

Exotic Shorthair © Giuseppe Mazza

Exotic Shorthair © Giuseppe Mazza

Se fa troppe cose che non vanno quando non siete presenti, è perchè si annoia. Forse ha bisogno di un piccolo compagno. Se avete due gattini, essi passeranno il loro tempo giocando tra loro invece che a fare cose che non vanno.

E se è veramente impossibile, siete sicuro di di essere voi adatto per avere un gatto?

Le diarree. Quando un gatto ha la diarrea, fa frequentemente i suoi bisogni fuori della lettiera. È cosi’ che fa vedere che è malato.

Cio’ è sovente dovuto ad una nutrizione inadatta. Domandate consiglio al veterinario o ad un amico allevatore. Le crocchette che si trovano da loro sono spesso la risposta giusta. Il problema puo’ essere dovuto alla mancanza di vermifugazione: contraollate sul suo libretto sanitario.

Febbre, raffreddotri etc. Se il vostro gatto è ammalato, consultate il veterinario.

Il primo sintomo che vi metterà in stato di allerta è un cambiamento di comportamento, è meno reattivo, resta nel suo cantuccio invece di venire a fare delle coccole, è troppo tranquillo.

Se ha la febbre, il tartufo e le orecchie sono più caldi. Voi potete controllare la temperatura con un termometro clinico.

Se gli viene prescritto un trattamento antibiotico, non scordatevi che lo stesso, per essere pienamente efficace, deve durare almeno cinque giorni.

Classificazione dei gatti di razza

Le categorie

La classificazione dei gatti di razza non ubbidisce a regole biologiche o zoologiche. Essa è stata stabilita in funzione delle esigenze delle esposizioni feline. Questa classificazione fa parte degli standard stabiliti dalle grandi associazioni feline e può differire da una associazione ad un’altra.

È così che i gatti di razza sono classificati in categorie, e queste concorrono sepratamente nelle esposizioni. Le categorie sono basate sulla lunghezza del pelo.

Devon Rex © Giuseppe Mazza

Devon Rex © Giuseppe Mazza

Esse sono: Gatti a pelo lungo, Gatti a pelo semilungo, Gatti a pelo corto. Il Persiano con tutte le sue varietà è piazzato nei gatti a pelo lungo. Le razze dei gatti nudi sono classificate nella categoria a pelo corto.

Le associazioni americane quali la CFA e la TICA classificano i gatti a pelo lungo e quelli a pelo corto in un’unica categoria. Alcune associazioni quali la FIFé classificano i Siamesi e gli Orientali in una categoria separata.

In un grande numero di razze esistono varietà a pelo corto e varietà a pelo lungo. Queste varietà sono trattate in maniera differente a seconda delle associazioni, ciò per ragioni storiche connesse essenzialmente ai criteri di organizzazione delle esposizioni.

Come principio, le varietà a pelo lungo od a pelo corto dovrebbero essere classificate come razze distinte in categorie separate. Ma esse sono sovente classificate come varietà di un’unica razza nella categoria corrispondente alla varietà più antica.

E così, l’Exotic shorthair, varietà a pelo corto del Persan, è sovente classificato con i Persiani nella categoria dei gatti a pelo lungo. Ugualmente, il Somalo, varietà a pelo semilungo dell’Abissino, è sovente classificato con gli Abissini nella categoria dei gatti a pelo corto.

Infine, in alcune razze sono autorizzati accoppiamenti tra la varietà a pelo lungo e quella a pelo corto. Tali unioni generano, in particolare, esemplari a pelo corto portatori del gene del pelo lungo. Vengono chiamati varianti. Certe associazioni non fanno distinzione tra questi varianti e le varietà a pelo corto. Altre, li classificano con i soggetti a pelo lungo e li fanno concorrere come tali…

La nozione di razza

L’addomesticamento del gatto ha la sua origine nell’Egitto dei faraoni. Il suo ruolo di protettore dei raccolti sedusse gli egizi che gli dedicarono un culto a traverso della dea Bastet. Le mummie dei gatti ritrovate a Bubastis ci mostrano che già da quel tempo il gatto esisteva in svariati colori. Pertanto, tutte le rappresentazioni fatte di esso su affreschi e papiri ci fanno vedere un gatto bruno-rossastro la cui pelliccia è maculata di macchie nere. Gatti simili si trovano ancora per le strade in Egitto, dove vengono chiamati gatti faraonici. Si può supporre che questi gatti erano sotto la protezione dei faraoni e costituivano l’élite dei gatti del tempo.

Thai Seal Point © Giuseppe Mazza

Thai Seal Point © Giuseppe Mazza

È probabilmente il primo approccio alla nozione di razza presso il gatto. Al giorno d’oggi, i loro discendenti si chiamano Mau egiziani.

Malgrado le proibizioni, i gatti sono stati esportati dall’ Egitto. È così che, seguendo la Via della Seta, si sono moltiplicati in Asia. Hanno egualmente seguito il cammino delle carovane per installarsi in tutta l’Africa del Nord. Imbarcati su battelli, dove eccellevano nella lotta contro i ratti, essi hanno popolato le zone costiere del Mediterraneo, si sono installati a Roma e da lì si sono espansi in tutta Europa e quindi sono giunti nel nuovo mondo. Durante questa lenta migrazione, hanno conservato la loro diversità originale seppur acquisendo a volte dei caratteri specifici per adattarsi ad ambienti ben differenti dai bordi del Nilo.

Durante tutto questo periodo, il gatto è rimasto un animale utile profittando della sua collaborazione con l’uomo. Nel XVII secolo, dei viaggiatori portarono dalla Turchia dei gatti dal pelo lungo e sericeo, provocando così un vero e proprio entusiasmo. Il gatto fu chiamato angora turco. È probabilmente la prima volta che un tipo di gatto fu identificato con una denominazione specifica. Questa infatuazione ebbe un’altra conseguenza: fu l’inizio di un lento processo che fece del gatto un animale di piacere, processo che accelerò nel XX secolo grazie ai progressi della lotta contro i roditori, processo che ridusse il suo ruolo di animale di utilità.

È nel corso del XIX secolo che furono organizzati i primi concorsi di bellezza per felini (Crystal Palace, Londra, 1871). È grazie a queste esposizioni feline che gli appassionati si misero a produrre dei gatti originali e che nacque veramente la nozione di razza riguardo il gatto. Al Crystal Palace furono presentati solo dei British e dei Persiani. Le altre razze vennero successivamente. All’inizio, le razze riconosciute erano poche ed i criteri che definivano una razza erano alquanto rudimentali. Così, un Persiano era un gatto a pelo lungo, ed un Abissino un gatto dal mantello con ticking.

Nel ventesimo secolo, il gatto prende veramente il suo posto di animale di piacere ed il mondo delle esposizioni feline si organizza. Numerosi allevatori che lavorano per produrre gatti di una bellezza originale vogliono che il gatto che allevano sia riconosciuto come differente. È così che furono progressivamente codificate le differenti razze di gatto. La formazione di organizzazioni feline permise di strutturare le esposizioni di gatti e di codificare le differenti razze per mezzo degli standard che le descrivevano ed i pedigree che tracciavano la filiazione. Al giorno d’oggi, delle nuove razze vengono create regolarmente per mettere in evidenza una od un’altra caratteristica che non condividono con altre razze.

Burmese anglais © Giuseppe Mazza

Burmese anglais © Giuseppe Mazza

Le differenti razze sono definite attraverso uno standard. Questo descrive la morfologia ed i colori che costituiscono la razza in questione. L’arte dell’allevamento è di provvedere dei gatti che si avvicinino al massimo a questo ideale definito per la razza.

Per essere un gatto di razza, questo deve corrispondere a codesto standard e giustificare una filiazione di gatti di questa razza attraverso un pedigree.

Per le razze recenti, è possibile ammettere un gatto sprovvisto di pedigree a condizione che sia giudicato conforme allo standard della razza. Questi gatti sono inscritti in un registro di origine specifica chiamato RIEX (registro sperimentale). I suoi discendenti vengono ugualmente inscritti in questo riex e divengono gatti di razza a pieno titolo alla quarta generazione.

Per le nuove razze, quese sono dapprima riconosciute a titolo sperimentale ed inscritte su un libro di origine chiamato RIA. Lo standard della razza viene definito ed allorchè vi sono abbastanza gatti, la razza viene definitivamente riconosciuta.

La definizione di razza

Ogni razza è definita a partire da caratteristiche morfologiche e genetiche specifiche. Alcune di queste caratteristiche possono sembrare casuali nella popolazione felina e dare ad alcuni di questi soggetti l’apparenza di razze così definite, ma ciò non ne fa comunque dei gatti di razza. Alcune razze sono definite alla partenza per l’apparizione d’una caratteristica genetica particolare in una razza particolare: pelo riccio, orecchie piegate, coda a pompon, gambe corte, gatto nudo, ecc…

Come principio, gli incroci tra razze non sono autorizzati: i gattini così ottenuti sono dei semplici gatti di casa, anche se hanno un carattere meraviglioso e considerati dal loro padrone come aventi una grandissima bellezza…

Persian Blue © Giuseppe Mazza

Persian Blue © Giuseppe Mazza

Ciononostante, nelle razze recenti, alcune unioni vengono autorizzate al fine di permettere di stabilizzare la razza senza essere costretti a praticare una eccessiva consanguineità.

In numerosi casi, una stessa razza può declinarsi in pelo corto ed in pelo (semi-)lungo. Queste due variazioni portano a volte nomi differenti. Secondo le organizzazioni feline, esse possono venire considerate come razze differenti o come varietà differenti di una stessa razza.

Alcune razze non sono riconosciute da tutte le organizzazioni feline.

Gli standard che definiscono una razza differiscono da una organizzazione all’ altra. Esse evolvono pure nel tempo….

Le varietà

Ogni razza è suddivisa in varietà. Queste varietà permettono di far concorrere assieme gatti di apparenza omogenea affinchè la comparazione possa essere fatta con criterii obiettivi basati sugli standard, piuttosto che su criterii basati sul gusto. La principale suddivisione in varietà è basata sul colore. In certe razze, un grande numero di colori viene accettato. In altre, il numero di colori è molto ristretto. Alcuni colori non sono accettati da tutte le organizzazioni feline. Un’altra suddivisione in varietà è la lunghezza del pelo.

Sovente, quando esistono varietà a pelo corto ed a pelo lungo (talvolta sotto nome di razze diverse), le unioni vengono autorizzate. Dato che il gene del pelo lungo è un gene recessivo, nascono allora gattini a pelo corto portatori del gene a pelo lungo e suscettibili di generare dei discendenti a pelo lungo. Questi gatti sono chiamati varianti e sono identificati come tali in modo da facilitare il lavoro di selezione nella razza. Le seguenti regole vengono applicate per le unioni interessate:

Norwegian © Giuseppe Mazza

Norwegian © Giuseppe Mazza

Pelo corto + pelo corto = pelo corto

Pelo lungo + pelo lungo = pelo lungo

Pelo corto + pelo lungo = variante

Pelo corto + variante = variante

Pelo lungo + variante = variante o pelo lungo

Variante + variante = variante o pelo lungo

I varianti non sono identificati come tali in tutti i libri di origine.

CATEGORIE A PELO LUNGO

Razze a pelo lungo

PERSIANOCHINCHILLA (PERSIANO della divisione TIPPED)IMALAIANO (PERSIANO della divisione POINTED)EXOTIC SHORTHAIR

Per i comuni mortali (che, poveri esseri umani non hanno che una vita contrariamente ai gatti), vi sono gatti a pelo lungo ed altri a pelo corto. D’altronde, alcune associazioni feline come la CFA adottano questo punto di vista. Ciononostante, di tutte le razze a pelo lungo, il manto del persiano (pelo intermedio) è davvero più lungo. Inoltre, il pelo di taglia media (pelo esterno) è abbondante, cosa che aumenta la densità del pelame e dà questa apparenza vaporosa in un persiano ben tolettato. È per questo che alcune associazioni feline considerano separatamente i gatti a pelo lungo (il persiano) ed i gatti a pelo semilungo (gli altri). Numerose generazioni di allevamento hanno conferito al persiano la sua aria particolare col viso appiattito che non può farlo confondere con alcun altro. Ed è questo look ben specifico che si ritrova nalla sua varietà a pelo corto, l’exotic shorthair. Tradizionalmente, l’exotic shorthair viene giudicato assime al persiano col quale condivide lo standard invece di venire giudicato con i gatti a pelo corto. Alcuni colori di persiani beneficiano di una denominazione specifica: chinchilla, himalayano, cameo.

CATEGORIE A PELO SEMILUNGO

Razze esclusivamente a pelo semilungo :

ANGORA TURCO – MAINE COONNORVEGESE – TURCO DEL LAGO DI VAN – SACRO DI BIRMANIASIBERIANOYORK CHOCOLATE

Singapura Sepia Agouti © Giuseppe Mazza

Singapura Sepia Agouti © Giuseppe Mazza

Nelle razze a pelo semilungo, i peli di taglia media (pelo esterno) sono più o meno della stessa misura di quelli più lunghi (pelo intermedio), il che dà una pelliccia che aderisce meglio al corpo, aumentando la loro assomiglianza con quelli a pelo corto.

Inoltre, questa assicura l’impermeabilità di questa pelliccia, il che ha valso all’Angora turco ed al Turco di Van la reputazione di gatti nuotatori. In più, nella maggior parte delle razze a pelo semilungo, il sottopelo è quasi inesistente, il che dà loro una pelliccia non soggetta ad aggrovigliamenti.

Razze a volte con pelo semilungo ed a volte con pelo corto :

AMERICAN BOBTAIL – AMERICAN CURL – BRITISH – BOBTAIL GIAPPONESE – KURILIAN BOBTAIL – LAPERM – MUNCHKIN – PIXIE BOB – SELKIRK REX – SELKIRK STRAIGHT – TONKINESE

Le razze a pelo corto sono le più numerose. Ognuna ha i suoi appassionati ed esse presentano il vantaggio non indifferente di un pelo facile da mantenere. Ciò non impedisce che le pelliccie a pelo lungo continuino a sedurre per la loro bellezza… Ed alcuni allevatori si sono a volte chiesti “come sarebbe con i peli lunghi…”

Alcuni hanno preso la decisione ed hanno introdotto il gene del pelo lungo con l’aiuto di incroci, poi hanno selezionato i risultati così ottenuti per ritrovare le caratteristiche della razza originale. È così che numerose razze a pelo corto hanno una varietà a pelo lungo, sotto lo stesso nome o con uno differente. In alcune razze, la leggenda parla di una mutazione spontanea. Comunque sia, è per mezzo del lavoro di selezione degli allevatori che si ottiene la qualità necessaria affinche la varietà a pelo lungo possa essere riconosciuta.

Razze aventi una corrispondenza a pelo corto :

SOMALOTIFFANYCALIFORNIAN REX – CYMRIC – SHIRAZIMANDARINNEBELUNGBALINESEHIGHLAND FOLDHIGHLAND STRAIGHT

Abissino © Giuseppe Mazza

Abissino © Giuseppe Mazza

CATEGORIE A PELO CORTO

Nel gatto, il pelame è composto da tre tipi di pelo: il pelo esterno (I peli più lunghi, quelli che compongono la copertura), il pelo intermedio (pelo di taglia media che forma un cuscino isolante) ed il sottopelo. Il sottopelo ed il pelo intermedio sono di colore unito. Il pelo intermedio è formato da bande colorate che danno alla pelliccia le sue tinte differenti. Certi geni specifici modificano la struttura del pelo. La selezione dei gatti che presentano queste particolarità genetiche ha permesso la creazione di razze specifiche.

La forma recessiva del gene R è responsabile dell’assenza di peli intermedi. Il gatto ha dunque soltanto i peli più corti (sottopelo e pelo esterno) che sono corti ed ondulati. Questo gene è caratteristico del Cornish Rex. La forma recessiva del gene Re dà una lunghezza ridotta ai tre tipi di pelo che di fatto sono ondulati. Questo gene è caratteristico del Devon Rex. La forma dominante del gene Se rende i peli arricciati ed abbondanti. Questo gene è caratteristico del Selkirk Rex. La forma dominante del gene Wh rende il pelo molto riccio e duro al tatto. È tipico dell’American Wirehair. La forma recessiva del gene hr è responsabile della quasi totale assenza dei tre tipi di pelo. Codesto gene è caratteristico dello Sphynx. La forma recessiva del gene Hp è pure essa responsabile dell’assenza quasi totale dei tre tipi di pelo. Questo gene è caratteristico del Donskoy e del Peterbald.

Razze esclusivamente a pelo corto :

AMERICAN SHORTHAIR – AMERICAN WIREHAIR – BENGALA – BOMBAY – BURMESE AMERICAIN – CALIFORNIA SPANGLED – CEYLAN – CERTOSINOCHAUSIEDEVON REX – DONSKOY – GATTO EUROPEO – GERMAN REX – HAVANA BROWN – KORAT – OCICAT – PETERBALD RAGDOLLSAVANNAH SINGAPURA – SNOWSHOE – SOKOKE – SPHYNXTHAI

Razze con una corrispondenza a pelo lungo :

EXOTIC SHORTHAIR

Razze che hanno una corrispondenza a pelo semilungo :

ABISSINOASIATICOBURMESE INGLESEBLU DI RUSSIABURMILLACORNISH REX – MANX – MAU EGIZIANOORIENTALSIAMESESCOTTISH FOLDSCOTTISH STRAIGHT

 

Razze corrispondenti:
jpg_Les_correspondance_entre_races.jpg

 

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