Famiglia : Accipitridae

Testo © Dr. Gianfranco Colombo

Per la pupilla nerissima con iride gialla o perlacea, Haliaeetus albicilla ha uno sguardo terrificante e nessun nemico perché il suo enorme becco può lacerare qualunque preda © Wolfgang Bettighofer
Tra i numerosi nomi comuni dati a questa immensa e possente aquila, uno è particolarmente affascinante e nel contempo romantico: Regina delle nebbie.
In effetti vedere questa grande aquila sbucare all’improvviso dalla foschia, con quel suo spettacolare volo pesante e vigoroso e con quel becco così sproporzionato tenuto abitualmente spalancato come se volesse assalire chiunque si trovi sul suo percorso, è un’immagine che potrebbe aver suggestionato coloro che gli hanno appioppato questo nomignolo.
Tuttavia l’origine non ha nulla di poetico o di strano ma è dovuta semplicemente all’habitat che questo uccello frequenta, un ambiente continentale, freddo ed umido, con corsi d’acqua perenni e vasti laghi dove la nebbia e le foschie sono di casa.
L’Aquila di mare o Aquila di mare dalla coda bianca od ancora Aquila grigia (Haliaeetus albicilla Linnaeus, 1758) appartiene all’ordine degli Accipitriformes ed alla famiglia degli Accipitridae ed è considerata nel continente europeo, l’aquila di maggiori dimensioni.
Appena superiore, come misure, alla più elegante e conosciuta Aquila reale (Aquila chrysaetos) è superata nel paleartico dall’Aquila di Steller (Haliaeetus pelagicus) ed eguagliata nel neartico, dall’Aquila calva (Haliaeetus leucocephalus), i pesi massimi in questa famiglia.

Per vivere ha bisogno di almeno mezzo chilo di carne al giorno, e dove il cibo non manca raggiunge anche i 7 kg con 240 cm d’apertura alare © Mikhail Ezdakov
Nei secoli scorsi era chiamata genericamente Pigargo, dal latino “pygargus” e derivato dal termine greco “pugargos” dall’unione dei nomi “puge”, sedere, e “argos”, bianco, lucente, un nome volgare rimasto tuttora in alcuni nomi comuni europei.
L’etimologia del binomio scientifico trae essa stessa origine da termini greci e latini.
Il genere Haliaeetus dal greco “hali”, mare, e “aetos”, aquila mentre la specie albicilla dal latino “albi”, bianco e “cilla”, coda.
Come ben sanno anche i più preparati ornitologi, spesso non è facile ricordarsi prontamente i nomi scientifici delle specie presenti nel nostro mondo oltretutto quando si è di fronte ad una moltitudine di varietà che non sempre si ha la possibilità di incontrare. Nella nomenclatura ornitologica gli accipitriformi non rappresentano un ordine vastissimo ma raggruppa all’interno delle sue tre famiglie ben 72 generi e 250 specie di uccelli.
Tra questi ci sono le tradizionali aquile (Aquila spp.) e tanti altri generi che nella tassonomia hanno ripreso il riferimento greco “aetos-aetus”, aquila, seppur comprendenti specie non propriamente considerate tali.
Una curiosità tassonomica che facilita a grandi linee gli ornitologi in una rapida e sicura collocazione di un’aquila nel giusto genere di appartenenza, è quella di basarsi sulle abitudini o la morfologia della specie analizzata.

Si nutre di uccelli, mammiferi, rettili, carogne ma soprattutto di pesci afferrati in superficie, maestro com’è di pesca al volo © Jacob Spinks
Così accade che se un’aquila porta il ciuffo è collocata abitualmente nel genere Lophaetus come Lophaetus occipitalis, una corona è una Stephanoaetus, se è snella come un grosso falco una Hieraaetus, per esempio l’ Aquila del Bonelli (Hieraeetus fasciatus), se attinente ad uno sparviere una Nisaetus, se ad un falchetto Spizaetus, se mangia principalmente pesce una Ichtinaetus, se è possente e marziale una Polemaetus come Polemaetus bellicosus e se frequenta i mari una Haliaeetus come l’Aquila urlatrice (Haliaeetus vocifer) e la nostra Regina delle nebbie, anche se, per onor del vero, il mare occupa nella realtà solo una piccola porzione del suo habitat.
In Europa viene chiamata White-tailed Eagle in inglese, Seeadler in tedesco, Pigargo Europeo in spagnolo, Pygargue à queue blanche in francese e Águia-rabalva in portoghese.
Zoogeografia
L’Aquila di mare non appartiene all’avifauna italiana e tantomeno all’Europa sud occidentale se non con apparizioni rare e molto diradate nel tempo.
Manca totalmente nell’area mediterranea ed in Africa. Nidifica in tutto il paleartico, dalla penisola scandinava fino alle coste del Pacifico occupando tutta la Siberia e la parte centrosettentrionale dell’Asia in un’ampia fascia che, lambendo solo parzialmente le coste del Mare Glaciale Artico, scende mediamente fino al 45° parallelo.

Valido concorrente per la pesca al volo è il Falco pescatore (Pandion haliaetus) e sorgono quindi spesso dispute territoriali © Tobias S. Radmer
Piccole colonie sono presenti anche in Islanda, in Groenlandia, nell’area Baltica, nelle pianure attorno al Mar Caspio e isolatamente in alcune regioni balcaniche anche se in termini quantitativi, queste ultime rappresentano solo una minima percentuale della popolazione mondiale.
Vivendo in ambienti molto ostili, durante l’inverno artico gran parte delle popolazioni più settentrionali sverna a latitudine più temperate, toccando le coste europee del Mare del Nord, il Golfo Persico, il bacino del fiume Indo, le sponde sull’Oceano indiano e nell’estremo sud est asiatico, le coste orientali della Cina fino al Golfo del Tonchino ed in Giappone.
Sull’orlo dell’estinzione, alcuni decenni orsono, le popolazioni di questa aquila si sono riprese in tutto l’areale occupato, consolidando le vecchie posizioni ed in alcuni casi conquistando nuovi territori.
Convive in alcune aree dell’estremo oriente con la gigantesca Aquila di Steller, specie però ben distinguibile per la testa, il collo e gran parte del corpo totalmente bianchi.
L’Aquila di mare dalla coda bianca è considerata specie monotipica ma alcuni ritengono le popolazioni proprie della Groenlandia, una sottospecie a parte, classificandola come Haliaeetus albicilla groenlandicus.

Qui ha afferrato un’Oca facciabianca (Branta leucopsis), ma è solo l’aperitivo e la caccia continua in pratica tutto il giorno © MrStaggerLee
Ecologia-Habitat
Sebbene chiamata genericamente aquila di mare, il suo habitat principale non contempla solo il mare ma piuttosto laghi, ampie paludi, grandi fiumi, estuari, lagune, valli coperte da foreste anche dense ma punteggiate a loro volta da ampie radure aperte, dove muoversi in completa libertà.
Forse l’esasperazione di questi habitat è la puszta ungherese, notoriamente una landa erbosa vastissima, appiattita e senza ostacoli di sorta, con orizzonti illimitati e punteggiata da boschetti di querce o da occasionali pioppeti, luoghi che sceglierà per nidificare. Anche tutte le popolazioni asiatiche abitano territori ben distanti da ogni mare.
Ciò non di meno, nei territori costieri, diviene effettivamente un’aquila marina con un’attività prettamente pelagica che la coinvolgono in continui sorvoli delle coste scoscese e selvagge, delle isole boscose e dei dirupi a mare, alla ricerca di prede ed in difesa del suo territorio.
In ogni modo la maggior parte delle popolazioni spesso non ha mai visto un mare e non conosce quindi questo habitat.
Morfofisiologia
Risulta facile riconoscere l’aquila di mare.

Un cerbiatto che nuota in difficoltà potrebbe essere una grossa preda, e spianando i suoi artigli affilati che raggiungono i 4 cm questo Haliaeetus albicilla tenta il colpo © mari4971
Un’apertura alare che negli esemplari adulti, supera d’abitudine i due metri, fino ad arrivare a 240 cm, ali particolarmente ampie per tutta la loro lunghezza tanto da essere da alcuni paragonata quando in volo, ad un “tappeto volante” o, come dicono i fantasiosi ornitologi inglesi, ad una “porta di granaio”.
Il battito delle ali è pesante e possente, forse anche un po’ impacciato.
Un becco giallo spropositato, molto pronunciato, quasi abnorme se paragonato alla testa, accentuato da un’ampia cera del medesimo colore che esalta ancor più la sua già eccezionale misura. L’altezza del becco è quasi pari all’altezza del cranio e la sua lunghezza è perfino superiore.
E’ un becco molto adunco, con un rostro di tre centimetri che scende come un pugnale in perpendicolare dalla mandibola superiore, un’arma che può lacerare qualsiasi tipo di preda.
A questa terribile minaccia si aggiunge uno sguardo terrificante, raggelante nel suo insieme, con grandi occhi con iride gialla a volte perlacea, con pupilla talmente nera ed accentuata da essere visibile da molto lontano. A tutto questo va aggiunta l’abitudine di volare, quando in caccia, con il becco socchiuso od anche totalmente spalancato, tanto per aggiungere più grinta al suo procedere.

Molto più facile è rubare il cibo a queste cornacchie (Corvus cornix) intente al pasto © Ulf Teghammar

Spessa tattica con i corvi (Corvus corax), ma entrambi questi uccelli hanno la forza del numero e sono particolarmente fastidiosi © Gianfranco Colombo
Le zampe e le dita, anch’esse gialle, sono possenti e fornite di grossi ed appuntiti artigli che possono superare i quattro centimetri di lunghezza, molto adunchi ed affilati, tipici attrezzi di rapaci pescatori.
La livrea di quest’aquila non è particolarmente entusiasmante e sicuramente la meno elegante fra le congeneri che mostrano invece o la testa o il corpo o le ali variegate di grosse fasce candide.
La nostra aquila di mare ha un piumaggio grigio marrone uniforme su tutto il corpo, spolverato da piume grigiastre più chiare, in particolare sulla testa ed il collo e corredato, solo a maturità raggiunta, da una coda bianca da cui è derivato il nome scientifico della specie.
Le timoniere, anche se superano i 30 cm, non sono così allungate come quelle delle congeneri, per cui la coda contribuisce in misura minore a formare la lunghezza totale di questa specie, seppure nel complesso abbia dimensioni ben superiori alle sue simili.
La coda ha una forma cuneiforme ben accentuata, caratteristica che la rende inconfondibile quando in volo.
Misura da 70 a 90 cm di lunghezza e raggiunge un peso da 3 a 7 kg condizionato principalmente dalla disponibilità del cibo. La femmina è leggermente più grossa del maschio.

Meglio allora afferrare il bottino e volar via per assaporarlo con calma altrove © Gianfranco Colombo
Non vi è dimorfismo sessuale nel piumaggio e solo i giovani mostrano una picchiettatura accentuata sulle ali e sui fianchi che li fanno vagamente assomigliare alle due specie di aquile anatraie (Clanga sp.) con le quali spesso convive, anche se più piccole nelle dimensioni e con becco notevolmente diverso.
Nei primi anni i giovani mostrano becco e zampe di colore scuro che diverranno gialli al raggiungimento della maturità verso il quarto anno.
Etologia e Biologia riproduttiva
Un corpo così robusto e pesante richiede circa 500 g di cibo al giorno per cui questa aquila deve dedicare molto del suo tempo per procacciarsi di che sopravvivere.
Lo fa nutrendosi di ogni possibile preda che intercetta durante la caccia, passando con facilità dalla pesca in volo, orgogliosamente da vera aquila di mare, con planate mirabolanti e picchiate sull’acqua per acchiappare grossi pesci oppure di mammiferi anche di grossa taglia, rettili ed uccelli.
Non manca poi di nutrirsi di carogne, in qualsiasi stagione dell’anno, un nutrimento che copre spesso la maggior parte della sua alimentazione.

Nella stagione propizia, le coppie si riformano occupando i medesimi areali degli anni precedenti. Il corteggiamento, con forti vocalizzi udibili a distanze notevoli, consiste in volteggi sul proprio territorio ed esibizioni spettacolari tra le quali la caduta libera dei due partner avvinghiati l’un l’altro con gli artigli, in spericolati e lunghi avvitamenti © Вячеслав Ложкин
La sua mole le concede di affrontare ed allontanare anche tanti carnivori necrofagi, facendosi gioco forza della sua potenza e temerarietà. In effetti, solo i lupi e gli orsi possono competere nella lotta. Pur tuttavia è molto timida e titubante quando si trova a combattere attorno ad una carcassa in particolare con gli onnipresenti corvidi.
Pur prendendo una posizione predominante nell’accesso al cibo, facendosi strada fra ogni altro concorrente, questa aquila sopporta malamente la continua molestia ed i piccoli sotterfugi che questi uccelli, pur insignificanti nelle dimensioni, coraggiosamente attuano come diversivo per allontanarla dalla preda.
Le stanno a ridosso accerchiandola dappresso, allungando ogni tanto il collo becchettando qualche rimasuglio rimasto a pochissimi centimetri dal suo terribile becco, le svolazzano a pochi centimetri dal corpo ma ancor più si divertono continuamente a tirarle le penne della coda, irritandola fino ad invogliarla spesso ad allontanarsi con un semplice pezzo della carcassa conquistata.
Anche le stesse gru, quando già presenti sul loro potenziale territorio di nidificazione, non esitano ad affrontarla in gruppo ed allontanarla.
La coppia è monogama e l’unione è indissolubile fino alla morte di uno dei due partner, nel qual caso una nuova coppia viene riformata.
Probabilmente anche durante la brutta stagione i partner non si perdono di vista e raggiungono i medesimi quartieri invernali pur mostrando un parziale allontanamento e quell’accanimento intraspecifico invernale necessario per la sopravvivenza.

Ecco i due sul nido, posto su roccioni prospicienti il mare o grossi alberi ad altezze spesso notevoli. Arricchito con rami, aumenta di volume ogni anno, talora fino a collassare © Alexis Tinker-Tsavalas
Nella stagione propizia, che varia secondo le latitudini, le coppie si riformano occupando i medesimi areali degli anni precedenti, territori piuttosto vasti e variabili in funzione della disponibilità di cibo e che possono comprendere intere vallate, o territori paludosi o parte di coste marine.
Il corteggiamento è quello tipico di certe aquile e di altri rapaci e consiste in vari volteggi sul proprio territorio ed esibizioni spettacolari tra le quali la caduta libera dei due partner avvinghiati l’un l’altro con gli artigli, in spericolati e lunghi avvitamenti.
Il corteggiamento è accompagnato da molti vocalizzi udibili da distanze notevoli.
Il nido viene collocato, quando sulle coste, su cenge rocciose prospicienti il mare oppure quando all’interno, su grossi alberi generalmente ad altezze notevoli. Tuttavia in alcune aree dove gli alberi non raggiungono le abituali altezze, non disdegna collocarlo su rami bassi a pochi metri dal terreno. D’altra parte non hanno praticamente nemici in qualsiasi parte del mondo esse vivano.
Un ammasso di grossi rami ammucchiati anno per anno fino a raggiungere nel tempo cumuli impressionanti e tali da autocollassare spesso su se stessi od addirittura spezzare i rami sui quali è collocato.
Essendo un uccello molto fedele al proprio territorio e vantando una durata della vita di almeno un paio di decadi, oltretutto assommate all’abitudine delle nuove coppie di sfruttare i nidi precedentemente costruiti da altre, ecco spiegata la motivazione di nidi di così grosse dimensioni.

Vengono deposte fino a tre uova incubate a turno per circa 6 settimane da entrambi i genitori. Qui a sinistra un nido con tre piccoli e a destra un pullo affamato in crescita © Владимир Тарасов (a sinistra) e © Юрий Янкевич (a destra)
Vengono deposte fino a tre uova di colore bianco crema, incubate per circa 6 settimane da entrambi i partner.
Al contrario di alcune aquile, in questa specie non si assiste al tradizionale cainismo fra i nidiacei, per cui tendenzialmente tutti i piccoli prenderanno il volo se non interverranno altre difficoltà.
I piccoli rimarranno nel nido molto a lungo non avendo quella forte necessità di abbandonare un rifugio che risulta spesso insicuro per altre specie e solo dopo circa 70/80 giorni saranno in grado di volare.
Gli aquilotti involati saranno comunque seguiti dai genitori per molto altro tempo finché pronti ad affrontare da soli la loro vita.
L’aquila di mare ha vissuto nel secolo scorso un periodo alquanto delicato.
Pur essendo all’apice della catena dei predatori non avendo praticamente nemici naturali, è sparita in molte aree occupate storicamente ed ha visto un calo preoccupante e generalizzato delle popolazioni, in particolare in alcune aree periferiche dell’areale europeo.
È probabile che la sua posizione primaria non l’abbia messa al riparo da pesticidi ed avvelenamenti ma anche da prelievi illegali di piccoli e da una caccia spietata da parte di allevatori e di cercatori di trofei.
Irlanda, Norvegia, Scozia, Olanda e sud Europa furono gradualmente abbandonate e le già piccole comunità presenti, sparirono in pochi decenni. Si pensò quindi a programmi di reinserimento nel tentativo di ripristinare quelle storiche popolazioni ed in certi casi i tentativi portarono a buoni risultati.

Due giovani, ormai grandi, stanno per abbandonare il nido. Haliaeetus albicilla vive bene in cattività e non è considerato oggi una specie a rischio © Ilya Burylov
Così l’Irlanda rivide la sua “Iolar mara”, aquila di mare, e la Scozia la sua “Iolair suile na greine”, aquila dagli occhi illuminati dal sole, ma il sud Europa non riuscì a ricostituire le rade popolazioni preesistenti e solo nella penisola Balcanica si riformarono gruppi in grado di autosostenersi.
Quest’aquila è tuttora a forte rischio in certe aree periferiche del suo grande territorio e nelle colonie isolate ma risulta ben consolidata in tutto il resto dell’areale. L’aquila di mare viene facilmente tenuta in cattività per cui molti zoo e parchi naturalistici ne conservano esemplari addomesticati.
Come molte specie di uccelli che mostrano morfologie particolari o distinte peculiarità comportamentali, anche l’aquila di mare è stata adottata dall’araldica e nella simbologia di molti paesi. Compare negli stemmi della Polonia, della Serbia ma anche le leggende e le tradizioni celtiche rammentano spesso questo uccello.
A quei tempi riferivano che dopo le battaglie, questi volatili si nutrissero dei cadaveri dei soldati, altri ricordano l’uso del grasso di quest’aquila coma panacea farmaceutica contro ogni male ma risulta evidente che nei secoli passati l’uomo, ancora incapace di trovare rimedi a qualsiasi sua afflizione, si è sempre rivolto alla natura per trovare improbabili e fantasiose soluzioni ai propri irrisolvibili problemi d’amore, di salute o di forza.
È ritenuta specie vulnerabile anche se globalmente, dal 2021, Haliaeetus albicilla figura come “LC, Least Concern”, cioè come “Minima Preoccupazione”, nella Lista Rossa IUCN delle specie in pericolo.
Sinonimi
Falco albicilla Linnaeus, 1759.
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